Spotify, nel suo ennesimo tentativo di incrementare le entrate e ridurre le perdite, ha svelato la sua prossima (e ampiamente anticipata) mossa: l’aumento dei prezzi degli abbonamenti.
L’azienda ha dichiarato che il nuovo costo mensile per gli utenti in diversi mercati (Italia compresa) sarà di 10,99 euro. Questo aumento allinea Spotify con i rivali Apple Music (10,99 euro al mese) e Amazon Music (10,99 euro, anche se più economico per i membri Prime), che hanno entrambi aumentato le proprie tariffe l’anno scorso. Leggermente più economico è invece YouTube Music (9,99 euro al mese), che si è ritagliato una fetta importante nel mercato, con più di 80 milioni di abbonati tra musica e premium.
Il prezzo del piano “Premium Duo” aumenterà invece di 2 euro, passando a 14,99 euro al mese. Infine il piano “Famiglia”, che passa a 17,99 euro, mentre l’abbonamento per studenti aumenterà di 1 euro, arrivando a 5,99 euro.
Un cambio di tariffa
“Il mercato è in continua evoluzione dal nostro lancio. Per poter continuare a innovare, stiamo modificando i prezzi di Premium in diversi mercati del mondo”, ha dichiarato la società in un comunicato. E continua: “Questi aggiornamenti ci aiuteranno a continuare a fornire valore agli appassionati e agli artisti sulla nostra piattaforma”.
Al 31 marzo, Spotify contava 210 milioni di abbonati a livello globale (con un aumento del 15% rispetto all’anno precedente) e 515 milioni di utenti attivi ogni mese. Tuttavia, il gigante dello streaming musicale ha operato in perdita ed è stato alla ricerca di metodi per tagliare i costi, in quello che il direttore finanziario Paul Vogel ha definito a fine aprile una “modesta performance negativa nelle entrate pubblicitarie” nel primo trimestre del 2023.
La mossa sarà probabilmente una notizia gradita ai principali partner di Spotify, come Universal Music Group e Warner Music Group, che a loro volta beneficiano di una maggiore monetizzazione dello streaming audio dei loro artisti. Nel suo rapporto annuale, la società ha rilevato che UMG, WMG, Sony Music e Music and Entertainment Rights Licensing Independent Network rappresentano il 75% di tutti gli streaming audio delle etichette discografiche su Spotify nel 2022. Inoltre, la piattaforma paga il 70% delle tariffe di abbonamento e pubblicità ai detentori dei diritti.
La crisi di Spotify
L’azienda con sede a Stoccolma, che l’anno scorso contava 9.800 dipendenti, ha presentato un piano di taglio del personale a gennaio. Lasciando a casa 600 persone, e seguito a giugno da un consolidamento delle divisioni podcast, con un taglio di 200 posti di lavoro. Tagli inquadrati dall’amministratore delegato Daniel Ek come “necessità di diventare più efficienti” e quindi parte di un’iniziativa più ampia delineata all’inizio del 2023. In questa iniziativa c’era anche un cambiamento organizzativo, che ha de-enfatizzato alcuni dei suoi sforzi originari nel campo dei podcast.
A marzo, l’azienda ha presentato una home feed ridisegnata che, tra le altre modifiche, ha dato maggiore risalto ai video: un tentativo di diventare una destinazione per i creatori e i podcaster. L’azienda ha anche capitalizzato il clamore suscitato dall’intelligenza artificiale a Wall Street, presentando un “DJ AI” per gli utenti con la promessa di conoscere “i vostri gusti musicali così bene da poter scegliere cosa riprodurre per voi”.
Mentre alcuni accordi esclusivi con i talenti sono terminati per Spotify durante la sua corsa all’efficienza – tra cui quelli di Meghan Markle e del principe Harry e di Barack e Michelle Obama – il servizio ha appena presentato un nuovo podcast settimanale con Trevor Noah, anche se lo show apparirà su più servizi audio. Spotify, che presenterà i risultati del secondo trimestre il 25 luglio, ha visto raddoppiare il prezzo delle sue azioni nei primi sei mesi dell’anno.
Traduzione di Pietro Cecioni
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