Il 19 dicembre Evgeniya Chernyshova stava guidando per scegliere un albero di Natale vicino a casa sua a Los Angeles quando ricevette un messaggio. Lo aspettava. Da cinque anni. “Abbiamo un verdetto”, recitava il messaggio del suo avvocato Dave Ring. Chernyshova, nata in Russia, 43 anni, madre di tre figli, si fermò in mezzo alla strada con le quattro frecce e scoppiò in lacrime. Mentre sedeva in macchina con la figlia di 16 anni e il figlio di 23, attraverso quel messaggio, scopriva che una giuria aveva appena condannato Harvey Weinstein per averla violentata in una stanza d’albergo nel 2013. “Ho dovuto chiedere a mia figlia se avessi capito bene l’inglese”, racconta a THR Chernyshova. “E poi lei mi ha detto: mamma perché piangi? È una cosa bella”.
Il processo di Weinstein a Los Angeles ha avuto un esito contrastante per le sue vittime. Il caso di Chernyshova è stato l’unico a portare a una condanna per l’ex magnate accusato di stupro e aggressione da altre quattro donne a Los Angeles. Lei fu la prima dei 44 testimoni chiamati dall’accusa a testimoniare e l’unica a essere stata autorizzata dalla corte a rilasciare una dichiarazione dopo la sentenza di Weinstein del 23 febbraio. Il giudice ha condannato Weinstein a 16 anni per “stupro, copulazione orale forzata e penetrazione con oggetto estraneo”. La pena si aggiunge ai 23 anni che l’ex produttore sta già scontando a New York. Un risultato che gli garantisce, a settant’anni, la morte in prigione. Weinstein ha a lungo negato le accuse.
Jane Doe 1, la scelta dell’anononimato
Da quando ha denunciato il crimine alla polizia nel 2017, Chernyshova, ex modella e attrice, ha affrontato il processo in modo anonimo, conosciuta come Jane Doe 1. Fin a ora. “Sono stanca di nascondermi. Rivoglio la mia vita. Sono Evgeniya, sono stata violentata. Questa è la mia storia”. Durante l’intervista con THR, Chernyshova ha parlato del suo incontro con Weinstein, della decisione di farsi avanti dopo l’incoraggiamento di sua figlia e dell’esperienza solitaria di essere Jane Doe 1, che le ha impedito di entrare in contatto con le altre vittime e di confidarsi con gli altri. “L’ho fatto perché mi vergognavo e mi sentivo umiliata”, ha detto. “Ho pensato che fosse una buona decisione proteggere i miei figli. Ma è stato orribile. Non è giusto attraversare questo inferno da soli”.
Oggi Chernyshova gestisce un’attività di design floreale a Beverly Hills chiamata Bottega Bouquet. Ha raccontato dello stupro che 10 anni fa ha cambiato la sua vita solo a una ristretta cerchia di persone, tra cui il suo sacerdote e la tata dei suoi figli. “Una parte di me teme per il futuro”, dice a proposito dell’opportunità di parlare in pubblico. “Ma sono orgogliosa di me stessa. Se continuo a nascondermi, non posso fare nulla. Sarò solo lì con il mio dolore”. Chernyshova è nata in Siberia e ha iniziato a fare la modella a 15 anni. Da bambina aspirava a diventare ostetrica ma dopo aver vinto un concorso di bellezza, ha iniziato a fare la modella girando tutto il mondo, per poi stabilirsi in Italia, sposarsi e ottenere alcuni piccoli ruoli come attrice. “Ero piena di energia ed entusiasta della mia vita. In Italia ho avuto una bella carriera. Sono stata molto fortunata”.
L’incontro di Chernyshova con Weinstein e lo stupro
Durante la settimana degli Oscar del 2013, Chernyshova vide Weinstein al Chinese Theatre di LA, al Los Angeles Italia Film Festival, dove si celebrava Al Pacino. Lo aveva incontrato solo una volta prima, durante un evento a Roma. Weinstein le strinse la mano, ignaro che si fossero già presentati in precedenza. Quella sera, Chernyshova rientrò da sola nella sua stanza al Mr. C Beverly Hills Hotel. Si tolse l’abito da red carpet e indossò l’accappatoio, quando ricevette una telefonata dalla reception che le comunicava che c’era un ospite al piano di sotto. “Ho sentito qualcuno che parlava ad alta voce in sottofondo, poi ha preso il telefono e ha detto: ‘Sono Harvey e dobbiamo parlare’, ‘Cosa?’ Ero confusa. Ho risposto: ‘Possiamo parlare domani'”. Pochi minuti dopo, sentì bussare forte alla porta della sua stanza. “Lui disse: ‘Sono Harvey Weinstein. Apri la porta. Dobbiamo parlare. Non ho intenzione di scoparti, devo solo parlarti'”.
Chernyshova, che all’epoca era sposata, racconta di essersi sentita a disagio con un uomo che parlava a voce alta alla porta della sua camera. Non si sentiva in pericolo, dice, ma in imbarazzo, così aprì la porta. “E questa è la cosa di cui mi sono pentita negli ultimi 10 anni: di aver aperto la porta”, dice. “Lui è passato accanto a me e si è diretto verso una sedia. ‘Stiamo solo parlando. Non succede niente. Perché sei così nervosa?, mi disse”. Lui si tolse la giacca e iniziò a infastidirsi. “Scattò qualcosa, come un cambiamento nei suoi occhi”, racconta lei. “Ho capito che c’era qualcosa che non andava”.
All’inizio Chernyshova diede la colpa al suo inglese stentato. Mostrò a Weinstein la fede al dito e parlò dei suoi figli, per fargli capire che voleva che se ne andasse. “Lui si slacciò i pantaloni, a quel punto diventai isterica”, racconta. “Continuai a mostrare quelle foto, ‘ho dei figli, per favore non farlo'”. Ma lui andò avanti. Mi aggredì in camera da letto, poi mi trascinò in bagno e lì mi ha violentato”. Dopo aver finito, Weinstein disse a Chernyshova che le avrebbe inviato dei biglietti per un evento e se ne è andò. Lei si fece una doccia, pulì la stanza e chiamò la tata dei figli in Italia. “Mi sono sentita sporca e come se dovessi morire”.
Il perché della denuncia di Chernyshova
Dopo lo stupro, ha lottato contro la depressione, a volte bevendo, e si è separata dal marito, che nel frattempo è morto. “Mi odiavo”, racconta Chernyshova. “Pensavo di continuo: “c’erano tante belle donne e star lì e lui ha scelto te. Quindi sei tu che hai fatto qualcosa’. Ero depressa, non ero stabile. Ero fuori di testa”. Chernyshova ritiene di aver provato questo senso di colpa per ragioni culturali e generazionali. “Voglio bene a mia madre ma sono cresciuta con una frase in testa: “Se ti è successo qualcosa di brutto, sei tu che hai sbagliato. È una tua responsabilità'”.
Nel settembre del 2017, grazie a una conversazione con la figlia Maria, allora sedicenne, Chernyshova ha cambiato idea. “Tutto è iniziato quando ho raccontato a mia madre delle violenze sessuali subite al secondo anno di liceo”, racconta Maria, che oggi ha 21 anni. Chernyshova voleva che Maria raccontasse alla polizia del ragazzo che l’aveva aggredita e che continuava a fare il bullo ma Maria protestò. “Le dissi che non sarebbe mai stata in grado di capirmi”, racconta Maria. “E lei mi ha detto che invece mi può capire, perché è stata violentata. Abbiamo pianto entrambe”, dice Maria, “ho capito che doveva aver sofferto molto”.
Il lungo cammino verso la giustizia
Maria ha stretto un accordo con la madre. “Le dissi che c’era solo una condizione per cui sarei stata in grado di denunciare, e cioè se anche lei si fosse fatta avanti con il suo”. Maria si è fatta avanti per prima ed è stato consigliato a Chernyshova Ring, un avvocato che spesso rappresenta le vittime di violenza sessuale, per rappresentare la figlia. Chernyshova si sentiva ancora troppo nervosa per parlare con la polizia della propria aggressione ma in una straordinaria coincidenza di tempi, poche settimane dopo che Maria aveva parlato con la polizia, il New York Times e il New Yorker pubblicarono articoli che parlavano delle accuse di violenza sessuale contro Weinstein. Evgeniya capì che il suo stupro non era stato un episodio isolato. Raccontò tutto a Ring e alla polizia di Los Angeles nell’ottobre 2017. “Era spaventata, confusa, sopraffatta”, racconta Ring. “Sapeva che doveva fare qualcosa con queste informazioni”.
Questo è stato solo il primo passo di quella che sarebbe stata una strada molto lunga, poiché la polizia di Los Angeles intraprese un’indagine durante la quale i procuratori cambiarono. Nel gennaio 2020, il primo giorno dell’atteso processo di Weinstein a New York, l’uomo fu accusato dello stupro di Chernyshova a Los Angeles. “Il sistema giudiziario non dovrebbe mai impiegare così tanto tempo, ma è successo per molte ragioni diverse, e lei ha sopportato e superato tutto questo”, dice Ring. “Per Evgeniya è stato frustrante, perché continuava a sentirsi dire: ‘Succederà in primavera, in estate’, e poi passava un anno. E così ha vissuto quasi in incognito per tutto questo tempo”.
Il processo e la testimonianza
Nell’ottobre del 2022, Chernyshova è salita sul banco degli imputati come Jane Doe 1 per tre giorni di testimonianza nel processo a Weinstein, che lei definisce “la peggiore esperienza della mia vita”. In quel periodo non riusciva a dormire e vomitava per lo stress. “Le tecniche degli avvocati della difesa, il modo in cui ti molestano e ti umiliano, sono brutali”, ha detto.
L’avvocato di Weinstein, Alan Jackson, ha chiesto a Chernyshova perché avesse postato una foto su Instagram poco dopo l’aggressione in cui si mostrava sorridente con Al Pacino all’evento dell’Italia Film Festival di Los Angeles, con tanto di emoji di sorriso. Chernyshova ha detto che stava cercando di dimostrare, almeno all’apparenza, di stare bene. “Voleva farmi sembrare non credibile”, racconta. “Non esci, non sorridi, devi morire. Se sei stata violentata, devi morire, tutto qui. Non c’è vita dopo”.
La condanna e le parole
Subito dopo il processo, i giurati hanno dichiarato all’Associated Press che la compostezza di Chernyshova alla sbarra è stata fondamentale per la condanna di Weinstein nel suo caso. L’esito è stato diverso per le altre tre donne: la giuria ha votato per l’assoluzione di Weinstein per uno dei casi delle altre vittime e non ha raggiunto un verdetto per gli altri due. “Credo a tutte le vittime che hanno testimoniato”, dice Chernyshova. “Tutte. E voglio dire questo: questa non è solo la mia vittoria, è la nostra vittoria”. Il 9 febbraio, poco prima che scattasse la prescrizione di 10 anni, Chernyshova ha intentato una causa civile contro Weinstein chiedendo i danni per violenza sessuale e inflizione intenzionale di stress emotivo.
Anche dopo il verdetto della giuria, il team di difesa di Weinstein ha sollevato dubbi sul carattere di Chernyshova nel tentativo di ottenere un nuovo processo. Alla sentenza di Weinstein, la difesa ha suggerito che la sua causa civile fosse una prova di un movente finanziario e ha detto che la corte ha sbagliato quando non ha permesso alla giuria di considerare quelli che Jackson ha definito “messaggi di testo sessualmente espliciti” tra Chernyshova e Pascal Vicedomini, il fondatore del festival cinematografico a cui stava partecipando. Il giudice ha respinto la mozione, osservando che “non credo che questo renda la sua testimonianza falsa”.
Chernyshova, che ha assistito alla sentenza insieme a Maria, ha rilasciato in lacrime una dichiarazione dicendo al giudice: “Vivrò con questo per il resto della mia vita. E così dovrebbe fare anche lui”. Anche Weinstein ha parlato, sostenendo la sua innocenza. “È una storia inventata”, ha detto Weinstein, seduto su una sedia a rotelle e indossando una tuta grigia della prigione della contea di Los Angeles. “Jane Doe 1 è un’attrice e ha pianto a comando”.
Il futuro per Chernyshova è positivo
Subito dopo la sentenza, Chernyshova ha dichiarato: “Mi sento libera e mi sono tolta un grosso peso dal petto. Non vedo l’ora di dormire bene”. Dopo lo stupro, Chernyshova ha cambiato lavoro, avviando un’attività di design floreale e ottenendo la certificazione come doula, aiutando a far nascere più di 60 bambini. A volte le donne incinte cercavano Chernyshova su Google e si confondevano. “Mi dicevano: Non sei una doula. Sei un’attrice. Sei una persona pubblica. Perché lo fai? Ho dovuto rispondere a molte domande”.
Chernyshova non vede l’ora di poter condividere l’intera storia con le persone che incontrerà d’ora in poi. “Finalmente ho una voce e posso parlare”, dice. “Per quanto abbia cercato di distruggermi, di punirmi, farò altrettanto per ricostruirmi. E per aiutare altre persone”. Insieme a Maria, sta pensando di creare una fondazione per aiutare altre Jane Does. “Vedo un futuro bellissimo”, dice Chernyshova. “È un futuro positivo”.
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