Il caso Alex Schwazer, Sandro Donati: “Vivrò sempre col senso di colpa che abbiano squalificato Alex per vendicarsi di me”

Tra i protagonisti della docuserie che sta sbancando su Netflix c'è anche Sandro Donati, prima inquisitore e poi allenatore del campione olimpico di marcia a Pechino 2008, al centro del più incredibile complotto della storia dell'antidoping

Il caso Alex Schwazer, la docuserie Netflix (sulla piattaforma dal 13 aprile) che racconta l’Odissea dell’atleta campione olimpico a Pechino 2008, ha tra i protagonisti un personaggio shakespeariano, Sandro Donati. Classe 1947, tra gli allenatori migliori della storia dell’atletica italiana, è stato tra i primi a sollevare il coperchio del vaso di Pandora delle malefatte delle classi dirigenti dello sport mondiale.

Nel suo curriculum troviamo le prestazioni di Stefano Mei e Stefano Tilli, il primo mezzofondista e il secondo velocista, ma anche, tra le altre cose, l’aver scoperto l’inganno da Armata Brancaleone con cui a Roma 1987, fu assegnato il bronzo mondiale al saltatore in lungo Giovanni Evangelisti (poi revocato, proprio grazie a lui e al provvidenziale aiuto di Gianni Minà). Un uomo di sport che trovandosi di fronte Alex Schwazer, scoperto e condannato anche grazie alle sue ricerche e alla sua raccolta dati, ha poi creduto in lui, nella sua rinascita e ha accettato di allenarlo per il suo ritorno alla marcia.

Sandro Donati, il profeta dell’antidoping

Non avrebbe mai pensato, Sandro Donati, di allenare un marciatore e di essere costretto a farlo sulla pista d’atletica del Parco delle Valli di Roma, nel suo quartiere, Montesacro. Di legarsi fraternamente, anzi con un rapporto quasi paterno, all’uomo che sospettò fin dall’inizio di aver barato. Di amarlo come un figlio e vivere con lui la storia più bella e straziante dello sport moderno. Lo ha fatto dopo una carriera in cui implacabilmente ha messo alla gogna atleti dopati e soprattutto tutti quei medici e allenatori che mettono a repentaglio quotidianamente la salute dei loro assistiti solo per una vittoria in più. Anzi, a volte per migliorare i propri tempi di qualche secondo o minuto.

Così si è fatto tanti nemici, così la sua carriera è stata stroncata, così è finito ai margini del mondo che ama, per non aver mai accettato compromessi. Così è diventato consulente della Wada, l’agenzia mondiale antidoping, per scoprirla poi cinica pedina dei poteri forti dell’atletica, che hanno spezzato il sogno suo e di Alex Schwazer. Per ritrovarsi a vedere riconosciuta in tribunale (ma non nel suo mondo) l’innocenza di quel ragazzo che ha imparato ad amare – “rifarei tutto, nessuno ci può togliere il meraviglioso rapporto che abbiamo costruito” – e a convivere con il più assurdo e ingiusto dei dubbi. “Vivrò sempre con il senso di colpa che abbiano squalificato Alex per vendicarsi di me”.