E insomma la principessa-giornalista non sbaglia niente. Sfonda la porta di Netflix, taglia la tela di netto, fa cascare la corona senza sporcare per terra. Lascia dimenticare tutto di sé: Beatrice Borromeo, figlia di papà, moglie di Pierre Casiraghi. Frullato di mille cose. Modella, studentessa modello, enfant prodige della tv d’assalto. Pupilla dei Santoro e dei Travaglio. Ricercatrice intrepida di notizie bomba, facile all’eccellenza quanto alla copertina. Serviva Il Principe, per fare un po’ d’ordine e di giustizia, anche di lei: una regista da applausi e basta.
Per il rigore delle fonti, la pulizia del racconto, la qualità della fotografia. La profondità di campo di una galleria di personaggi dai mille rivoli eppure senza sbavature. Il protagonista sbilenco: Vittorio Emanuele di Savoia. Imbalsamato nel suo chalet in Svizzera in un’inquadratura perfetta: un veliero, una foto della madre con corona in una grande cornice d’argento, un quadro da museo sullo sfondo, con figura nobiliare a cavallo. Gonfio di una brillante ambiguità. Dà la sua versione, resta indifendibile a se stesso.
Due colpi di fucile
L’antagonista distrutta e incrollabile, insieme: Birgit Hamer, sorella del diciannovenne Dirk, morto ammazzato nella scabrosa sparatoria di Cavallo, in Corsica, avvenuta nella notte tra il 17 e il 18 agosto 1978. Perché il fuoco della docuserie di Borromeo Casiraghi (così, a doppio cognome, firma il suo lavoro, coprodotto insieme a Francesco Melziper) punta lì: scrivere la verità sull’omicidio di un giovane tedesco in vacanza a Porto Rotondo, che era salito con sua sorella su una barca per una gita tra gli scogli con un gruppo di sfavillanti e innocenti pariolini guidato da un giovanissimo Giovanni Malagò e dall’aitante medico Nicky Pende, cugino della giornalista Stella ed ex marito di Stefania Sandrelli.
Giovani ricchi in vacanza (la qual cosa, tuttavia, non è né colpa né reato), che avevano pensato di sbarcare il post ferragosto di un anno bollente andando a sbirciare i reali in esilio. Dovevano tornare in giornata, ma il mare grosso li ha tenuti fermi davanti al ristorante dove cenavano Vittorio Emanuele e Marina Doria. Canzonamenti, sfottò, battibecchi. Poi trasbordi dalla riva a largo con il piccolo canotto-appendice dello yacht reale. Da lì le ire del “principe sparatore”: due colpi di fucile, la corsa in ospedale, il trasferimento di Dirk a Marsiglia, i 19 interventi, l’amputazione, la morte.
Filmati di repertorio
Borromeo lavora di ago e di filo, di filmati di repertorio e ricostruzioni notturne mozzafiato. Esagera in grafica, talvolta sbarella in musica, si rialza sempre: due redini sulla storia. Un coro di testimonianze in presa diretta che ci riportano al centro di quella notte, con le due voci narranti del principe e di Birgit Hamer a scandire il nero e il bianco. Le luci: il ritratto di Dirk, il dolore di lava di mamma Hamer, che sopravvivrà non molto tempo alla tragedia, il soccorso emotivo di Paola Marzotto (figlia di Marta e madre della regista, migliore amica di Birgit da prima della sparatoria, fino a organizzare il funerale del fratello), financo l’innocenza di un Emanuele Filiberto bambino incolpevole e l’amore cieco di Marina Doria verso un uomo clamorosamente minuscolo, che lei difende sempre e comunque.
Le ombre: il cammeo su papà Hamer, medico santone, la balbuzie bugiarda dei personaggi minori – il guardiano, i primi inquirenti della gendarmerie locale, gli amici dei Savoia, testimoni numerosi di un’integrità immaginaria. E poi via, col circo del processo. La giustizia francese che non fa giustizia. L’assoluzione, della Corte d’Assise di Parigi (1991), la riabilitazione, la marcia trionfale verso la fine dell’esilio.
Corone di plastica per il Principe
Scorre la sceneggiatura, tra l’esattezza impeccabile della ricostruzione e i colpi di scena che a ogni tornante fanno fare un balzo. E quando a metà degli anni Duemila il principe “toro di corrida” sembra quasi declassato a un malinconico turista expat, eccoci sul lago di Como tra gioco d’azzardo e prostituzione: il petardo di Vallettopoli, il viaggio Lombardia-Potenza, di nuovo prigione, di nuovo assoluzione. E però la trappola delle video intercettazioni, recuperate da Birgit e dalla stessa Borromeo e pubblicate dal Fatto Quotidiano. E però la verità storica, finalmente (con tanto di sentenza della Corte di Cassazione, nel 2019), sull’omicidio del ’78. La liberazione di Birgit, rafforzata oggi dalla condanna cinematografica del principe tarocco, corona di plastica e champagnino.
Quante aperture, un po’ dappertutto. Quanti figli a fare da controcanto alle guerre giuste e ingiuste di madri e padri. Le danze di Sigrid e Delia, figlie di Birgit, sulla spiaggia delle verità ritrovata e quelle di Emanuele Filiberto nella prima serata della tv pubblica italiana. Figli sbattuti sugli scogli di una storia tremenda. Condannati alla mediocrità o all’eroismo per discendenza familiare. Figli che scandiscono, sul finale, parole semplici: futuro, libertà. Dice Beatrice Borromeo Casiraghi che insieme ai Principi di Monaco (Pierre, ma anche Andrea) ha scritto un kolossal di cui sogna sette stagioni in dieci anni. Si chiama The Rock, sull’epica della più antica famiglia nobiliare regnante d’Europa.
Un dream team intergalattico
Per produrlo ha arruolato un dream team intergalattico che fa un po’ tremare: Martha Hillier, la scrittrice di The Last Kingdom e Versailles, Morgan O’Sullivan, produttore di Vikings, Dimitri Rassam, produttore dei Tre Moschettieri, peraltro marito della sorella di Pierre e Andrea, Charlotte. Grande film, grande budget, grandi distributori. E quindi i Savoia erano un po’ il teaser. Destino destinato da esterne comparse. Prototipo sbeccato di un esperimento in streaming francamente da manuale.
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