La storia di Elisa Claps, la ragazza di sedici anni uccisa nel 1993 e ritrovata cadavere nel 2010, nella chiesa della Santissima Trinità a Potenza, è stata molte cose. Una tragedia per la famiglia, i genitori e i due fratelli, distrutta dal dolore. Un lutto per la comunità, che ancora oggi non perdona alla Chiesa il colpevole silenzio su una vicenda che tocca e scuote – letteralmente – le coscienze dei fedeli. Una miniserie di Rai1, Per Elisa – Il caso Claps di Marco Pontecorvo, in onda proprio in questi giorni. Infine un podcast del giornalista Pablo Trincia, molto amato e molto ascoltato, in cima alle classifiche dei migliori prodotti audio del 2023 (nel primo mese di lancio in vetta alla classifica “top podcast” di Spotify).
Adesso, il 13 e il 14 novembre, la storia di Elisa Claps diventerà anche una docu-serie, firmata sempre da Trincia con lo stesso titolo del podcast uscito lo scorso agosto: Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps la serie, su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries e in streaming su NOW. Quattro puntate dirette da Riccardo Spagnoli e dedicate a quattro diversi aspetti dell’intricato caso – il ritrovamento in Inghilterra del corpo di un’altra vittima dell’assassino Danilo Restivo, Heather Barnett; l’infanzia del killer; lo svelamento del corpo di Elisa; i sospetti sull’omertà della Chiesa – con il racconto dei protagonisti della vicenda, atti giudiziari non divulgati, video del killer mai riportati pubblicamente. Un caso che ancora oggi suscita l’indignazione di un’intera comunità, che domenica scorsa ha contestato davanti alla chiesa la decisione dell’arcivescovo, monsignor Salvatore Ligorio, di tornare a celebrare Messa in quel luogo. “E dire – sostiene Trincia – che per la Chiesa era davvero difficile sbagliare, in questa situazione”.
Che intende?
Il loro silenzio mi ha stupito. Mi sono occupato spesso di storie, fatti e scandali legati alla Chiesa. Ma qui era difficile sbagliare, da parte loro: bastava non dico aprire un centro antiviolenza, ma almeno mettere una targa in ricordo, una foto di Elisa, qualcosa. Non hanno fatto niente, ed è stato un enorme affronto: credo che la diocesi di Potenza dovrebbe quanto meno assumere delle persone che si occupino delle pubbliche relazioni. Quanto alla risposta della gente davanti alla chiesa, è stata straordinaria e insperata: è stato a suo modo bello vedere le persone riunirsi intorno alla famiglia Claps. Le hanno fatto un regalo inconsapevole.
Cosa aggiunge al racconto della storia di Elisa il passaggio dal podcast alla serie?
Le immagini. I due prodotti sono molto diversi: il rischio era quello di ripetersi seguendo lo stesso tracciato del podcast, di ri-raccontare qualcosa di già sentito. Ma avevamo a disposizione un patrimonio di immagini incredibili, raccolte nel corso di mesi di lavoro: alla fine mi pare che ne esca un racconto complementare, che si aggiunge e non si sovrappone a quello del podcast. Il materiale visivo è impressionante, basti pensare all’arco trentennale della storia: dal 1993 al 2023.
Ci sono altre testimonianze inedite, nella serie?
Non c’è niente di inedito: quel che volevamo dire è già nel podcast, e devo ammettere che quando abbiamo iniziato a prepararlo non pensavamo nemmeno di trovare elementi nuovi in una storia che si era già chiusa, portandosi dietro i suoi misteri. Qui, nella serie, ci serviamo di un formato agile, da 30 minuti a puntata, che offre una visione a 360 gradi del caso. Non è una questione di fare rivelazioni o fornire dettagli in più: le fotografie semplicemente raccontano ciò che la voce non può dire. Restivo, il suo matrimonio (con Fiamma Giannini, sposata nel 2004, ndr), basterebbe quello.
Cosa rende questo caso così spaventoso e impossibile da dimenticare?
Questo caso è incredibile perché ha a che fare con due storie (quella di Elisa e quella di Heather Barnett, le due vittime di Restivo, ndr) che si ripetono identiche in due paesi diversi. E con un assassino che è quasi uno spirito, con la capacita di passare sempre sotto ai radar, di non essere mai notato, come se avesse un superpotere. Un potere che è capace di sfruttare. Gli errori, poi, non li ha fatti solo l’Italia: in Inghilterra avevano tutto per fermare Restivo. Ma non l’hanno fatto.
Sì, ma cosa dice questa storia dell’Italia?
Racconta una specie di reazione chimica avvenuta all’interno della società. Uno di quegli shock che la comunità subisce quando si scontrano alcuni elementi. La chiesa che si chiude. La giustizia che sbaglia. La polizia che non fa bene il suo lavoro. Questa storia dice molto di chi siamo.
Perché, secondo lei, il pubblico è così attratto dalle storie vere, il cosiddetto “true crime”?
Spiace dirlo, ma abbiamo bisogno di ricordarci che la nostra vita non è brutta come quella degli altri. Non è l’unico elemento, ovviamente, ma è uno dei motivi che ci rende voyeur e spioni. Non si tratta di godere delle disgrazie altrui, ma di dire: a noi non è successo, quindi la nostra vita non è cosi terribile.
Farà altre serie? Pensa alla regia?
Nell’audiovisivo mi sento a mio agio, sono naturale. Mi sposto con serenità da un mezzo all’altro, il minimo comune denominatore che unisce video e podcast è la narrazione: sono tecniche e strumenti diversi, ma dietro c’è sempre un pensiero creativo, la volontà di applicare alla realtà un racconto non romanzato ma romanzesco. La regia l’ho sempre fatta nei documentari, mi piace molto e devo dire che con questo lavoro ho ritrovato il gusto per il video, che avevo perso.
In Italia abbiamo capito, finalmente, come funzionano i podcast?
Dal punto di vista del pubblico, mi pare che la gente si sia innamorata del mezzo. Si tratta proprio di un amore viscerale, appassionato. Ma ci vorrebbero più prodotti. Spesso gli autori in Italia hanno poco coraggio nel buttarsi in un progetto che comporti dei rischi. Quando parti per un’avventura così, come questa per esempio, lo fai con pochi bagagli: e sai che non ti basteranno. È un salto nel vuoto. Ci vuole coraggio, intraprendenza e fortuna. Più facile tirare i remi in barca e navigare sotto costa senza osare.
Alla conduzione di un programma suo ci tornerebbe (l’ultima volta fu Cacciatori, sul Nove dal 2017)?
Mi piacerebbe. Andrei dove c’è la possibilità di narrare e raccontare storie con un taglio creativo e originale. Non è escluso che faccia ancora cose in video in futuro. Progetti certi non ce ne sono. Nel senso che spesso mi trovo a lavorare a cose che magari non partono nell’immediato.
La famiglia Claps cosa ha detto dopo aver visto la sua serie?
Abbiamo lavorato in parallelo. Credo che la loro vita stia cambiando, anche grazie alla reazione e all’ondata emotiva che ha scatenato questa storia. Ma siamo noi a ringraziare loro.
Mai tentato di tirarsi indietro davanti a una storia particolarmente dura?
Mai. Se c’è passione vai avanti e lo fai. Il mio cassetto dei sogni è sempre vuoto: se voglio fare una cosa, la faccio. O almeno ci provo.
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