Gal Rosenbluth e Nayef Hammoud si dividono il divano in un appartamento di Tel Aviv, seduti davanti al computer per la videochiamata. Fuori campo, accucciato ai loro piedi, c’è il cane. Un cane israeliano, precisano. E il dettaglio non è secondario, visto che per decidere in che lingua parlargli, se in arabo o in ebraico, si sono piantati il muso a vicenda per giorni. Alla fine ha vinto lei, Gal: 34 anni compiuti lunedì, nata negli Stati Uniti da genitori israeliani, è cresciuta a Tel Aviv e fa la montatrice. Nayef è il suo compagno: 33 anni, sceneggiatore, palestinese nato nella città israeliana di Haifa, ha conosciuto Gal in una scuola di cinema e da otto anni i due condividono la quotidianità e il lavoro. La coppia ha firmato a quattro mani la dramedy Non Issue, il progetto vincitore del Paramount+ Award alla scorsa edizione del MIA a Roma: una serie in otto episodi, prodotta da Efrat Drol per l’israeliana Herzelia Studios, che prende spunto dalla loro relazione per raccontare la storia di una coppia mista israelo-palestinese che decide di emigrare a Berlino.
“Il punto di vista è quello di una coppia che vive in Medio Oriente – racconta lui – che a un certo punto decide di andarsene via. Pensano che all’estero potranno finalmente vivere come una coppia normale, senza portarsi sulle spalle il peso della storia, senza essere visti sempre come parte di un ‘contesto’”. Le cose naturalmente non saranno così semplici: come tutti gli expat del mondo, anche loro finiranno per frequentare le comunità d’origine – quella israeliana e quella palestinese – e il conflitto, ancora una volta, tornerà a inquinare la relazione. “Diventeranno ciò da cui erano scappati”.
La serie, che prevede di svilupparsi in tre stagioni, è stata selezionata al MIA prima dell’attacco a Israele dello scorso 7 ottobre. Il pilot è pronto, e nei prossimi giorni, spiega il produttore Ohad Ashkenazi, di Unites Studios Israel, “incontrerò produttori, investitori e broadcaster. Metà del budget è già stato assicurato in Israele”. Il conflitto divampato in questi giorni non impedirà, secondo produttore e autori, lo sviluppo della serie.
Ma certamente influirà sul modo con cui sarà percepita nel resto del mondo. “Nayef e Gal, in questo momento, vivono la stessa situazione dei loro personaggi. Come loro, non vogliono diventare i volti del conflitto, né essere messi su un piedistallo come rappresentanti di qualcosa, di un popolo o di una guerra. Vorrebbero essere solo accettati per quello che sono. Senza trasformarsi nel simbolo di niente”.
La sceneggiatura è ancora aperta: la cronaca di questi giorni entrerà nella storia?
Rosenbluth: Ne stiamo parlando, sarà difficile evitarlo. Ma è qualcosa che sta succedendo qui e adesso. Stiamo attraversando momenti durissimi e molto dolorosi. È difficile dire come e se farà parte della storia, perché non abbiamo ancora la distanza per capirlo. Quel che posso dire è che la realtà di questo paese, durissima, è una delle ragioni che spinge i nostri personaggi a emigrare. Insomma, non abbiamo bisogno della cronaca di questi giorni per raccontare il conflitto: qui ogni giorno succede qualcosa.
Che ripercussioni vi aspettate, sullo sviluppo della serie, dagli eventi recenti?
Hammoud: Di ostacoli ne abbiamo dovuti affrontare già tanti. La stessa idea di raccontare la storia di una coppia mista, e di farlo per la tv israeliana, è stato un ostacolo non indifferente da superare. Lavoriamo a questa storia da sei anni. Nel corso delle puntate a un certo punto accade un evento drammatico che colpisce il paese. Bene: ogni anno lo riscriviamo da capo, perché succede continuamente qualcosa di nuovo e terribile. È normale, fa parte della nostra quotidianità.
La serie unisce il dramma alla commedia. Come si può ridere di una situazione simile?
Hammoud: Il nostro mantra, come artisti, è questo: se c’è troppa oscurità, aggiungi la commedia. Se il copione è troppo divertente, mettici il dramma. Direi che rispecchia il nostro atteggiamento nella vita, in generale. La migliore commedia nasce dal dolore. Cerchiamo di essere estremamente seri e responsabili quando parliamo di politica, di rapporti fra persone, società e nazioni. Ma allo stesso tempo vorremmo intrattenere e coinvolgere tutti. Non solo israeliani e palestinesi. La nostra è una storia d’amore, di vita e di immigrazione.
Come vi siete conosciuti?
Rosenbluth: Abbiamo background simili: entrambi siamo cresciuti in città grandi, da famiglie laiche, con la mentalità aperta e valori democratici. Solo, proveniamo da contesti diametralmente opposti. Ci siamo conosciuti in una scuola di cinema, non in un corteo o una manifestazione.
Conoscete altre coppie come voi?
Rosenbluth: Qualcuna. Nessuna è rimasta qui.
Avete mai pensato anche voi di andarvene?
Hammoud: Tutti i giorni. In ogni momento. Per noi è un tema. Abbiamo cominciato a scrivere la serie pensando di mettere in scena il nostro futuro. Ma man mano che andavamo avanti, i conflitti fra i nostri personaggi aumentavano. Non avendo abbastanza soldi per una terapia di coppia, abbiamo usato la sceneggiatura per sedare la tensione.
Difficile lavorare in coppia. Come fate?
Rosenbluth: Scriviamo metà e metà. Io mi occupo delle parti degli israeliani, Nayef dei palestinesi. In questo modo, nella storia, entrano entrambe le prospettive. Noi funzioniamo così. Anche come coppia: ogni volta che litighiamo, usiamo gli argomenti dell’uno e dell’altra per metterli nella sceneggiatura.
E le questioni politiche? Adesso, per esempio: ne parlate?
Hammoud: Sì. Ci capiamo. Ci rispettiamo. Anche se non abbiamo la stessa opinione o lo stesso punto di vista sulle cose. Va bene così. Accettiamo che l’altro possa pensarla diversamente. Io ho imparato moltissimo da Gal su politica, vita e società. E spero che lei abbia imparato da me.
Rosenbluth: Devi avere la mente aperta. Quando hai questo tipo di relazioni, devi essere pronto a sovvertire la narrativa con cui sei cresciuto. Io non credo più alle idee che avevo da piccola. Naturalmente devi avere una certa inclinazione, anche un po’sadica, per le situazioni complicate. Altrimenti la relazione non sopravviverebbe. A volte me lo dico: cazzo, avrei potuto sposare un ebreo ricchissimo che lavora nell’high-tech con un sacco di case a Tel Aviv. La vita sarebbe più semplice.
Hammoud: Ovviamente la relazione richiede impegno. A volte basta una gita all’IKEA per innescare un problema di negoziazione tra territori. Adottare il cane è stato un inferno. Abbiamo fatto dei litigi terribili per decidere in che lingua dovessimo parlarci.
Che idea vi siete fatti di quello che sta succedendo? Come finirà?
Rosenbluth: Posso solo dire che siamo pieni di dolore per quel che sta accadendo. Per chiunque viva in questa regione. Ansia, paura: viviamo tutti in questo stato. È persino difficile descriverlo.
Hammoud: Ma non siamo politici e non vogliamo parlare di politica. Per noi è molto complicato. E non parliamo da palestinese e israeliana, ma come semplici cittadini, individui, persone che hanno amici e persone care che stanno soffrendo. Il nostro dolore non è locale: è esteso. Proviamo a guardare la situazione dall’alto, ma è impossibile. Come dice Gal: abbiamo continuamente a che fare con situazioni complicate.
Almeno la serie avrà un lieto fine?
Rosenbluth: Lieto fine non so. Diciamo dolce-amaro?
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