“Stavo pensando all’elegia funebre di Kendall per il padre. Quando parla della sua magnifica e terribile forza di volontà. Volontà di essere, di essere visto, di fare. Sarebbe perfetta anche per Silvio”. Così la sceneggiatrice Ludovica Rampoldi commenta a caldo, ripensando all’ultima stagione di Succession, la morte di Silvio Berlusconi. Una figura con cui ha avuto a che fare, professionalmente parlando, per lungo tempo, tra il 2015 e il 2019, lavorando alla sceneggiatura di 1992 e soprattutto dei sequel, 1993 e 1994, scritti insieme ad Alessandro Fabbri e Stefano Sardo e girati da Giuseppe Gagliardi.
Tra il Nanni Moretti de Il Caimano e il Paolo Sorrentino di Loro, Berlusconi è arrivato anche in tv con la saga di 1992, trasmessa da Sky (la trilogia è on demand e in streaming per Now) e venduta in 100 paesi, dedicata all’ascesa in politica di Berlusconi, alla stagione di Tangentopoli e al mondo – di pubblicitari, politici, artisti, showgirl, imprenditori, faccendieri – che circondava in quegli anni il Cavaliere.
Mattatore e protagonista della serie è Stefano Accorsi, nei panni dell’uomo di Publitalia ’80 Leonardo Notte, mentre a interpretare il Cavaliere, a partire dalla seconda stagione, 1993, è Paolo Pierobon. Nel cast anche Guido Caprino, nel ruolo del leghista Pietro Bosco, e Miriam Leone, con il personaggio che ne avrebbe lanciato la carriera, quello dell’ambiziosa showgirl, poi convertita alla politica, Veronica Castello.
La serie, nel 2015, inaugurò la neonata seziona dedicata alla serialità della Berlinale, il festival cinematografico della capitale tedesca. “L’aspetto più interessante del progetto, credo, fu quello di aver scelto di raccontare il punto di vista delle persone che gli stavano accanto – ricorda Gagliardi – E questo ci ha permesso uno sguardo laico su personaggi come Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Antonio Di Pietro. Ci siamo focalizzati sul Berlusconi privato più che su quello pubblico. Un uomo con l’animo combattuto di chi, ancora nel 1993, non era sicuro di voler entrare in politica e aveva mille dubbi. Abbiamo cercato le sue debolezze, la fragilità dell’uomo che si vendeva come un superuomo”.
Reazioni immediate, dal Cavaliere, non ne arrivarono. Arrivò però un invito a pranzo, cui parteciparono proprio gli sceneggiatori, “tra 1992 e 1993. Ci ricevette dicendo che non aveva visto la serie, e che comunque, in ogni caso, non gli sarebbe piaciuta. Fu gentile e desideroso di raccontare il suo punto di vista. Usciti da lì, Sardo disse: ‘Incontrare Berlusconi è come andare a New York per la prima volta, non lo conosci ma hai l’impressione di averlo già visto mille volte’”.
Gagliardi racconta la difficoltà “tecnica” di mettere in scena Berlusconi, “un personaggio strarappresentato dalla satira. Dovevamo trovare l’equilibrio, non scadere nella macchietta. Abbiamo cercato di tenere a bada la nostra opinione su di lui, che era comunque un uomo dal carisma sorprendente. Il giorno in cui giravamo accanto a Villa Certosa, venne a trovarci sul set l’architetto della villa originale, paventando la possibilità che Silvio si presentasse da un momento all’altro. Ed ecco che all’improvviso persino noi eravamo tutti là, eccitatissimi all’idea che potesse arrivare”.
Il parallelo con Succession – che cita brevemente Berlusconi, con una battuta acida, proprio nel corso della terza stagione – è particolarmente calzante nel momento della scomparsa dell’imprenditore: “’He made life happen’, come dice Kendall in Succession. Non gli si può negare una vitalità strabordante – prosegue Rampoldi – Dal punto di vista narrativo, un personaggio gigantesco. Scrivere le scene con lui era sempre un grande godimento per noi sceneggiatori. Anche perché, quando scrivi, il giudizio politico, personale, umano, deve restare fuori dalla stanza. Entrare nella testa di un uomo così complesso, provare a indossare il suo punto di vista, spesso così lontano dal nostro, è stata una bellissima sfida”.
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