Challengers, Dune 2, la terza stagione di Euphoria. Zendaya non c’è, eppure è dappertutto. Al centro di ogni dibattito sulla prossima stagione di cinema e serie tv. Copertine di giornali, gallery social, premiazioni, promozioni. Sirena contemporanea da tutto e il contrario di tutto, perfetta in sneakers o abito lungo. Stupisce, stranisce, ha come addosso incorporato un permanente riflettore. Occhio di bue acceso sul collo, che al momento, però, non la guasta e non la sciupa.
Febbre da Zendaya
Venezia, diciamocelo, era tutta sua. La pubblicità per Bulgari, con la laguna alle spalle, era stato un teaser da capogiro e già la febbre Zendaya era iniziata a salire. In un mix elettropop di quelli a cui arrendersi e basta. Un flipper che teneva insieme la Rue Bennet di Euphoria che le è rimasta addosso, amica immaginaria perfetta dei ragazzi di Chioggia del We are who we are di Luca Guadagnino. Guadagnino pronto a far scoppiare un’altra tennis mania cinematografica (“It’s not tennis, it’s relationship” scandisce il trailer sul trio di Challenger, e il 15 settembre in sala andremo a vedere esattamente cosa vuol dire).
E intanto il 3 novembre arriva Dune 2. E intanto su Euphoria 3 cresce l’attesa, perché nonostante una seconda stagione venuta male non si può mica mollare.
L’arte di lambire il baratro
Cosa c’è dietro Zendaya Maree Stoermer Coleman – attrice, cantante e pure ballerina, 27 anni il 1 settembre, da sette anni al centro della scena – ha a che fare per forza con qualcosa che cade ma non si rompe, lambisce il baratro senza finirci dentro.
Indistruttibile eroina Marvel nell’ultima trilogia di Spider Man, che tra un abbraccio e una presa l’Uomo Ragno, alla fine, se l’è pure portato a casa (l’attore Tom Holland, con cui Zendaya fa coppia fissa e innamorata persa da qualche anno). Creatura fragile e intensa nelle 16 puntate della serie tv scritta da Sam Levinson per HBO, che resiste alla depressione e a ogni forma di dipendenza, rovesciando stereotipi, ribaltando canoni e tabù, mettendo a nudo l’adolescenza come girone d’inferno e pure di campo libero dal grande limite dell’ipocrisia e ostinata ricerca di verità più che di felicità.
Sabbia negli occhi, ancora, nel deserto epico di Dune, dove con Timothée Chalamet vendica la banalità di alcuni blockbuster e disegna i mondi nuovi e antichi del romanzo di Frank Herbert tradotto in cinema da Denis Villeneuve.
Entrare ed uscire dal mainstream
Zendaya, in ogni ruolo, sa cosa c’è da fare. Entra ed esce dal mainstream svolazzando, 183 milioni di follower Instagram e non sentirli. Il suo autunno parte d’autore con Guadagnino e plana sugli effetti speciali di Dune 2 senza fare una piega. Capello lungo, capello corto. Tuta da guerra, t shirt, giacca e cravatta, gioielli e abito da sera.
Era partita da Disney Channel e se Zendaya fosse o un fumetto o un cartone sarebbe Vaiana di Oceania, esperta ed esotica navigatrice con addosso la sapienza degli antenati. Ai ragazzi dei 2020 insegna senza volerlo più o meno la stessa cosa di questa principessa indigena del mare: “Diventa ciò che sei, qualunque cosa sei”.
C’entra non poco quel volto potente: il collo lungo, la faccia corta e piccola. Il corpo fantastico da leopardo della savana. Più di tutto c’entra quello che le sta succedendo attorno: la rivoluzione dei ventenni come lei senza paura di pulsare di luce propria, quale che sia, e tirare il freno quando serve, nonostante il rischio testacoda. Zendaya giovane, donna non bianca, con la sua galleria di personaggi contro, si porta dietro le spalle senza fatica una generazione in corteo. Noialtri l’aspettiamo in Italia presto e un’altra volta. Tanto ormai no Zendaya no party.
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