“Tre ragazzi, una località: Ponticelli. Sono stati condannati nei tre gradi del processo a tre ergastoli per un delitto atroce. Vennero subito etichettati come “i mostri di Ponticelli”. La voce che scandisce la breve sigla de Il delitto di Ponticelli. L’ombra del dubbio è quella di Enzo Tortora, le immagini sono del 1983, il caso “atroce” è l’omicidio di due bambine, Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, trovate carbonizzate nel greto di un torrente a pochi chilometri dal centro di Napoli.
A poco più di un mese dal servizio de Le Iene che ha riacceso i riflettori sul caso, la docu-serie in quattro puntate di Sky Original – dal 22 aprile su Sky Documentaries, in streaming su NOW – torna a parlare del massacro di Ponticelli e delle ombre che persistono sulla vicenda, chiusa nel 1983 con la condanna all’ergastolo di tre ragazzi incensurati. Dopo aver trascorso 27 anni in carcere, Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo – appena ventenni all’epoca dei fatti – dal 2015 sono tornati in libertà. Oggi vivono in un paese nel centro Italia, hanno famiglie e figli, e fin dal giorno dell’arresto, il 4 settembre 1983, non hanno mai smesso di dichiararsi innocenti.
Il caso Ponticelli nelle cronache del 1983, foto d’archivio
Il legame con il caso Tortora
Nell’estate 2022, dopo tre richieste di revisione respinte, la Commissione antimafia ha votato all’unanimità la proposta di indagare sulle infiltrazioni camorriste che avrebbero inquinato le indagini: se così fosse, l’assassino delle bambine potrebbe essere ancora libero.
Non a caso il primo ad avanzare in televisione l’indicibile dubbio fu proprio la vittima di uno degli errori giudiziari più clamorosi della storia italiana: il giornalista e conduttore Enzo Tortora. “Nella serie ricomponiamo il legame del suo caso con quello di Ponticelli: la caserma Pastrengo, dove il conduttore viene incastrato da un boss del giro di Raffaele Cutolo, è la stessa in cui vengono interrogati i tre ragazzi di Ponticelli – racconta Leonardo Godano, che con Groenlandia produce insieme a Sky la docuserie – Non solo: tra gli accusatori di Tortora c’è il boss della camorra Mario Incarnato, lo stesso che gioca un ruolo di rilievo anche nella storia delle bambine uccise. Infatti Tortora, tornato in tv da innocente dopo la fine del calvario giudiziario, dedica a Ponticelli una puntata del suo programma, Giallo”.
Ponticelli e l’ombra della camorra
La docu-serie in quattro puntate, scritta da Matteo Billi, Emanuele Cava e Shadi Cioffi per la regia di Christian Letruria, nasce da un’idea di Cava, incuriosito dal caso dopo aver letto un libro a tesi innocentista scritto da una giornalista de Il Mattino. “La cronista mi ha passato i contatti dei tre ragazzi, che non parlavano con la stampa da almeno vent’anni – spiega – ma avevano molta voglia di raccontarsi. È stato difficile convincerli a metterci la faccia: le loro ultime immagini pubbliche risalivano agli anni Ottanta”.
Oltre alle loro testimonianze, la serie dà spazio ai giornalisti che si occuparono del caso, al pm che chiuse le indagini, all’avvocato delle famiglie delle vittime. Che di quei fatti, oggi, non vogliono più parlare: “Ci siamo scritti con la famiglia di una delle due bambine, ci hanno risposto che non hanno niente da dire – dice cava – Chiaramente hanno sempre dato piena fiducia alla magistratura. Ma come dissero in una puntata di Chi l’ha visto?, se i magistrati dovessero riaprire il caso sarebbero pronti ad ascoltarli”.
La tesi innocentista, che vorrebbe la camorra responsabile di un depistaggio, è dominante: “Ma non è stra-innocentista, abbiamo cercato di bilanciare. C’è una verità giudiziaria che non si scalfisce. Per Le Iene è diverso. Sono andati da loro un mercoledì, e dopo tre giorni è uscito il servizio. È un prodotto diverso, hanno la possibilità di schierarsi e lo fanno. Personalmente mi auguro che la commissione antimafia venga ricomposta e che prosegua il loro interesse per il caso”.
La primavera delle docuserie
Distribuita internazionalmente da Banijaay Rights, Il delitto di Ponticelli. L’ombra del dubbio è l’ultimo titolo di genere “true crime” sviluppato da Groenlandia, dopo Mostri senza nome, Il mostro di Udine e Sarah. La ragazza di Avetrana.
“I documentari seriali stanno vivendo un momento straordinario anche in Italia, grazie a Sanpa (la docuserie Netflix del 2020, ndr) che ha segnato un importante spartiacque”, racconta Godano, al lavoro per Groenlandia su tre nuovi documentari, tra cui il primo progetto con Netflix (riprese tra l’estate e l’autunno).
“Oggi il mercato è alla costante ricerca di storie sorprendenti, aumenta la qualità delle storie e aumentano i budget. Oggi una docuserie in quattro episodi ha un budget tra gli 800.000 euro e un milione e 200.000. Prima con 200.000 euro si facevano quattro puntate. Ponticelli ha avuto un budget più piccolo, ma l’obiettivo resta quello di concentrarsi sulla qualità: un bravo regista, una sigla ben fatta, la musica. Non avremo il budget del cinema, ma cerchiamo di avvicinarci a quella dimensione”.
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