Urla, strepiti, liti, tragedie, melodrammi, ancora urla, burnout, tradimenti, sesso, liti, corse. Urla. No, non è Il caso Alex Schwazer. Non è neanche un nuovo capitolo de Il Trono di Spade. È la seconda stagione di A casa tutti bene. Per la precisione i primi nove minuti della prima puntata.
A casa tutti bene 2, la trama
Raccontare la trama della prima stagione di A casa tutti bene è impossibile almeno quanto ricordarsi quante volte è morta Taylor in Beautiful. Vi basti sapere che le due famiglie protagoniste sono a un passo dall’implosione, una per la morte del patriarca, l’altra perché non è che si sia mai trovata in una situazione diversa. Non aiuta, ovviamente, il fatto che nell’ultima puntata dell’ottima prima stagione Ginevra sia fuggita. Ha un peso nel cuore, che dovrebbe liberare con la polizia. Ma quanto è più comodo farla rimanere vittima di un incidente stradale?
A casa tutti bene, la recensione
Si riparte da qui e capisci che la seconda stagione di A casa tutti bene sarà un Gabriele Muccino purissimo, non contaminato, perché se nella prima ha presentato personaggi, situazioni e intrighi, adesso può davvero scatenare il loro personale inferno. Tirare le somme delle psicosi familiari e individuali di ogni personaggio (diciannove! Ognuno con una sua precisa evoluzione) sarebbe complicato e improbo per qualsiasi cineasta, ma non per uno che ama sporcarsi le mani con il dolore dei suoi protagonisti. Uno che usa la macchina da presa come un jab dritto al volto dello spettatore, che non si accontenta di una sfumatura, ma le vuole tutte.
Avvertenza: Gabriele Muccino o si odia o si ama. Chi lo ama, vuole tutto, vuole troppo, vuole i primi nove minuti in cui si urla e si corre e si scopa e si corre e si tira e si strepita. Vuole il finale della quarta puntata, che ha un cliffhanger da denuncia al Tribunale dell’Aja per tortura verso lo spettatore. Vuole l’amore della purezza, la ferocia della vendetta, il sarcasmo dell’inadeguatezza familiare, l’irrazionalità dell’attrazione, l’egoismo della sopravvivenza. Tutte insieme, meglio se contemporaneamente. Nel film – da cui questo universo ha origine – tutto era compresso, zippato a un livello che finivi il film con il fiatone e un vago senso di labirintite. Queste due stagioni almeno ti lasciano respirare, anche se poco.
Se lo odi, dovresti non vederlo. Sai cosa ti darà, e se non ti piace perché indignarti? Non lo fa più neanche Nanni Moretti, con le opere che sa già che disprezzerà. Ma Gabriele Muccino sta al cinema (e ora alla tv) come Howard Stern alla radio: se ti piace lo vedi, se non ti piace pure, per vedere fin dove arriva. E qui, in questa seconda stagione, rompe le barriere del suono dell’emotività: come se Scola avesse girato Festen, mentre un Succession all’amatriciana si incontra con un universo parallelo e italiano di Il Trono di Spade. Gli Avengers del melodramma dell’alta borghesia (i Lannister ai Mariani e ai Ristuccia gli spicciano casa). Anche nel caso in cui non ti piaccia, non puoi non ammettere la carica unica di un linguaggio muscolare e enfatico che può domare solo lui e che in mano ad altri può risultare (come è) grottesco.
Come forse solo Sergio Castellitto, vince la prova pugnetti. Cos’è la prova pugnetti? State guardando un film e una serie. Avete una buona conoscenza del mezzo e dei suoi contenuti e siete abbastanza raffinati (o snob) da criticare eccessi, sporcature, movimenti violenti della macchina da presa e la sceneggiatura a toni troppo alti. Lo fate con dovizia di argomentazioni. Ma nel frattempo guardate, senza staccare gli occhi dal televisore, e le vostre mani si stringono in un pugno. State empatizzando. E la schiena la appoggerete al divano solo a fine puntata, o serie. Ecco, se avete l’onestà intellettuale di ricordarlo e riconoscerlo, hanno vinto loro.
Il resto è la maestria di un uomo che sa gestire una complessità artistica – e di conseguenza anche produttiva – incomparabile rispetto ai colleghi, che ha scelto un cast perfetto e per molti versi imprevedibile, facendolo rendere al 150% e portando i reparti a dare il massimo (fotografia e montaggio su tutti, ma anche suono e costumi non scherzano).
Il cast scelto da Gabriele Muccino
Non lo rielenchiamo, lo trovate qui insieme alla lunga intervista in esclusiva rilasciata a The Hollywood Reporter Roma. Chiacchierata in cui ci ha detto che li sceglie per talento ma anche per carattere, “devono avere l’attitudine a scoprirsi, rivelarsi, arrivare al punto di rottura. I miei attori li amo, ma li sfido su un terreno difficile, a me non basta la simulazione della realtà, devono soffrire davvero”. E si sente, addosso, quella sofferenza.
Soprattutto se affidati ai due, non ce ne vogliano gli altri, che spiccano su tutti: Milena Mancini e Valerio Aprea. La voglia di vivere di lei e la malattia di lui sono un cocktail dolente e lacerante, l’inevitabile cinismo dettato dalla sopravvivenza del desiderio di amare e soprattutto essere amata, di non soffrire più, unito al declino straziante di un uomo perduto che resiste a ciò che lo sta mangiando dentro, senza avere il coraggio di arrendersi. Un affresco dell’amore proprio laddove si sta sgretolando.
Questi interpreti, da sempre sottovalutati rispetto al loro monumentale valore (non esageriamo, a Hollywood le loro qualità li porterebbero nel cast dei film d’autore più importanti), sono capaci di andare oltre, senza paura. Pensate solo ad Aprea a teatro, o a Mancini nella scena dell’urlo nel bellissimo Mia di Ivano De Matteo.
Ne abbiamo scelti due per elogiarne una dozzina (su 19, cinque o sei se la cavano e niente di più: Emma Marrone sulla lunga distanza non regge, molto meglio, protetta e in scena il giusto, ne Gli anni più belli), tutti ad alti livelli. Magari, per dire, in un altro pezzo parleremo di Silvia D’Amico, così sexy e romanticamente spietata nel suo volersi vendicare e riprendersi la vita e il corpo, o Alessio Moneta, anima fragile irresistibile nella sua goffa inadeguatezza
Dove vedere A casa tutti bene 2
Torna dal 5 maggio, con 8 nuovi episodi in esclusiva su Sky e in streaming solo su Now, la serie tv Sky Original di Gabriele Muccino. E sarà un ottimo argomento di conversazione, perché state sicuri che in una tavolata ci si dividerà tra chi ne sarà entusiasta e chi chiederà l’esilio per il regista. Proprio come in un film di Gabriele Muccino.
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