“Ho fatto del bene al mondo o ho aggiunto una minaccia?”. Se lo chiedeva Guglielmo Marconi, premio Nobel per la fisica e padre delle moderne telecomunicazioni, quando i regimi fascisti iniziarono a fare largo uso della radio per la loro propaganda poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Un dilemma molto simile a quello di Robert Oppenheimer raccontato recentemente da Christopher Nolan.
“Ci sono una serie di analogie. È la storia di un uomo e del rapporto di quest’uomo con il regime che in quel periodo è alla ricerca di un’arma potente. I venti di guerra si stanno espandendo sull’Europa e lui, a differenza forse di Oppenheimer, decide di non lavorare in quella direzione” racconta a THR Roma Lucio Pellegrini, regista della miniserie – ancora senza titolo definitivo – dedicata all’inventore con il volto di Stefano Accorsi, quando lo incontriamo sul set allestito negli Studios di via Tiburtina.
“Quello che è successo negli anni successivi alla sua morte era il suo peggiore incubo. Quello cioè che l’Italia entrasse in guerra e che ci fosse la persecuzione dei ebrei. Quando ho visto Oppenheimer stavamo per iniziare con le riprese e ho ritrovato questi elementi. Poi ovviamente la potenza di fuoco e il talento di Nolan sono un’altra cosa” continua il regista.
“Probabilmente in quel momento è stata una condizione comune a tanti scienziati. Dalla parte di Marconi c’era poi anche la consapevolezza, da un certo punto di vista, di non trovarsi dalla parte del bene. Perché c’era il regime, con Mussolini che correva dietro a Hitler. In Italia è stato anche parzialmente rimosso proprio perché era un uomo del ventennio. Però poi, come tutti gli esseri umani e scienziati, ha avuto la sua crisi. Nell’ultima parte della sua vita ci è andato anche fortemente in conflitto”.
Marconi, una mini-serie dalle atmosfere da spy-story
Ambientata nel 1937, la mini-serie – scritta da Salvatore De Mola e Bernardo Pellegrini e in onda su Rai Uno nella primavera 2024 in occasione del 150° anniversario della sua nascita – vede Marconi come un imprenditore affermato, uno degli uomini più famosi al mondo grazie alle sue invenzioni. In questa cornice si inserisce un arco narrativo da spy story ispirato a una storia vera.
L’intervista concessa da Marconi a una giornalista italo-americana – nella finzione chiamata Isabella Gordon – che fa il doppio gioco perché incaricata dal regime fascista di spiarlo per capire a quali invenzioni stia lavorando e quali siano i suoi progressi. L’intervista sarà un pretesto per raccontare i suoi inizi, i primi esperimenti e gli anni vissuti a Villa Griffone, in Emilia-Romagna, con i genitori.
“Tutto, inclusa la spy story, ha delle radici nella realtà e nei fatti storici”, sottolinea Riccardo Chiattelli di Stand by me, la casa di produzione a cui fa capo Simona Ercolani produce per Rai Fiction. “Poi chiaramente abbiamo cercato di costruire una drammaturgia narrativa che fosse più efficace per l’adattamento televisivo. Ma nulla è stato inventato completamente. Tutta la storia e i personaggi sono basati su fatti e consulenze storiche. Dentro c’è Marconi e la sua vita avventurosa”.
Aiutati nella ricostruzione da Barbara Valotti, direttrice del museo Marconi chiamata come consulente storica per essere il più fedeli possibili alla realtà, la miniserie ha sfruttato quanto più possibile vere location, da Sasso Marconi a Villa Griffone, sede della Fondazione Guglielmo Marconi – Museo Marconi, da Palazzo Venezia a Villa Mondragone passando per Villa Torlonia e il museo storico della comunicazione dell’Eur.
Elettra, il panfilo ricostruito
Ma lo Studio 10 all’interno degli stabilimenti di via Tiburtina custodisce una sorpresa. Dietro una porta antipanico si staglia maestosa la ricostruzione del panfilo/laboratorio di Marconi ribattezzato Elettra in onore della figlia avuta con Maria Cristina Bezzi-Scali. “È venuta sul set a Bologna” ricorda Pellegrini. “Una donna di 93 anni che si è ritrovata precipitata in un mondo antico che, in qualche modo, le suona molto familiare. Anche se sono momenti che non ha vissuto lei in prima persona ma suo padre. Abbiamo lavorato con la famiglia per cercare di trovare più notizie possibili su cui costruire quella che poi è la nostra finzione”. Lungo 27 metri e alto 9 fino al comignolo, il panfilo è il set che da qualche settimana – e per circa dieci giorni ancora – fa da sfondo alle riprese iniziate tra fine settembre e inizio ottobre.
Un green screen percorre, alle sue spalle, tutta la lunghezza del panfilo, tre piccole mongolfiere ad elio illuminano lo studio insieme a faretti posizionati strategicamente un po’ ovunque. Carrelli, decine di lampadine pronte all’occorrenza, cavi elettrici, pannelli. Stefano Accorsi, in piedi sulla prua e in costume d’epoca, controlla le notifiche sul cellulare prima che uno dei membri della troupe chiami tutti ai propri posti. Si prova prima di iniziare a girare.
Due monitor – campo lungo e campo stretto – permettono di osservare da lontano le riprese. “Stringi tutto. Dai che adesso ce tocca lavorà” si sente nelle cuffie. La scena prevede un confronto tra la moglie di Marconi e la giornalista doppiogiochista interpretate da due attrici non ancora svelate dalla produzione.
“Ma come si teneva la tazzina del tè?” chiede una delle interpreti. “Poggiata sul piattino. Maggie Smith insegna!” si sente da una voce maschile fuori campo. “Azioneeee”. In un secondo le due interpreti si calano nei personaggi. Entra in scena anche Accorsi. Dietro di lui un telo blu che in post produzione darà l’impressione di trovarsi in mare aperto. Un ritocco al trucco mentre si ripetono le battute e si scherza con la piccola attrice che interpreta Elettra.
Una storia per due linee narrative
“In questa storia raccontiamo due linee. Una è quella delle relazioni interpersonali e quindi del problema morale di un protagonista che ha un’inclinazione a lavorare per rendere il mondo un posto migliore e allo stesso tempo sentire che intorno a sé il mondo sta diventando qualcosa di molto diverso da quello che si era immaginato” prosegue Pellegrini in una pausa dalle riprese. “Una parte molto psicologica anche nella messa in scena a cui si contrappone una parte più spettacolare. Quella legata al cercare di rappresentare le invenzioni, che sono assolutamente astratte. Abbiamo lavorato sul mettere in scena un’onda corta che vola nell’etere. Partendo dalle bellissime strumentazioni vintage che per l’epoca erano super moderne”.
La mini-serie sottolinea tutta la modernità di un personaggio che ha contribuito a plasmare il mondo in cui viviamo. “Nel corso della sua vita Marconi ha fatto delle cose gigantesche, veramente poco conosciute nel nostro Paese. Tutta la tecnologia wireless che nasce con i suoi primi esperimenti e che diventerà la base per la radio e i telefoni cellulari” sottolinea il regista.
“Era un visionario capace di immaginare quello che sarebbe successo ai giorni nostri. Ci sono sue dichiarazioni in alcune delle interviste che parlano di come sarebbe diventato il mondo, raccontando più o meno quello che viviamo oggi in termini di comunicazioni interpersonali”.
Una storia ambientata nel 1937 ma che finisce per parlare anche del nostro presente. “C’è un tema che ci unisce. Viviamo in un momento in cui abbiamo tutti paura di ciò che può accadere. Basta guardare all’Ucraina e a Israele” conclude Pellegrini.
“La modernità di Marconi è proprio questa. Un personaggio che aveva dentro temi e domande molto contemporanee. La paura della guerra e delle conseguenze che potrebbe avere un’arma di distruzione di massa c’era allora. E oggi, forse, è ancora più forte”.
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