Christian, il santo picchiatore della serie Sky. Chiara di Susanna Nicchiarelli. Padre Pio secondo Abel Ferrara, Il miracolo di Niccolò Ammaniti, Beata te di Paola Randi, The Young Pope e The New Pope di Paolo Sorrentino. E Il Vangelo secondo Maria di Paolo Zucca, con Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann, prossimamente su Sky. Mentre la tv generalista celebra il trionfo di tonache e veli, con 13 stagioni di Don Matteo (la quattordicesima si farà) e le suore di Che Dio ci aiuti 7 che volano sopra ai 4 milioni di ascolto, anche il cinema e le piattaforme guardano al sacro.
Figure ricorrenti nell’immaginario audiovisivo italiano, i santi e le loro controparti terrene – Papi, preti, suore, parroci e predicatori – sono una delle proprietà intellettuali più fertili del paese. Locali per tradizione e globali per vocazione, profondamente radicati nell’immaginario del paese, i supersanti sono la risposta italiana ai supereroi americani: figure identitarie, ontologicamente schierate dalla parte del bene, capaci di imprese straordinarie contro “cattivi” dalle dimensioni infernali. Credibili, sempre: anche quando compiono l’impossibile.
Supersanti e supereroi italiani
Christian, il santo picchiatore, guarisce con l’imposizione delle mani. Sconfigge la morte e ripara le ferite del corpo meglio di qualsiasi supereroe, perché la sua “magia” trascende i limiti del potere rigenerativo di un Wolverine qualsiasi. Chiara di Susanna Nicchiarelli, fondatrice delle Clarisse, è una ragazza sorpresa dalla sua stessa capacità di fare miracoli: moltiplica il cibo, sopravvive alla morte, controlla gli elementi naturali – come Crystal della Marvel, ma con più grazia. L’irresistibile Arcangelo Gabriele di Paola Randi, accento argentino e occhiali da aviatore, ha il dono del teletrasporto e vola. E il Padre Pio di Abel Ferrara, visto alla scorsa Mostra di Venezia, si scaglia fisicamente sul demonio in un corpo a corpo alla cui drammaticità non servono effetti speciali.
L’epica – fondamento delle saghe Marvel dagli anni Trenta a oggi – in Italia appartiene più ai supersanti che ai supereroi. Enzo Ceccotti in Lo chiamavano Jeeg Robot è forte come Hulk, ma è il primo a non credere ai propri poteri. Gli eroi di Freaks Out, Matilde e Cencio, manipolano l’elettricità e il volo degli insetti, ma sono outsider, costretti a vivere ai margini della società. Michele de Il ragazzo invisibile è un adolescente bullizzato, Omar della serie Netflix Zero un ragazzo afroitaliano che fa le consegne a domicilio: hanno lo stesso potere, diventare invisibili, ma lo usano entrambi controvoglia.
Legati a doppio filo alla realtà, i nostri supereroi mantengono un basso profilo: non sparano ragnatele, non viaggiano nel tempo, non distruggono il mondo con uno schiocco di dita. E il pubblico, spesso, non li premia.
Alle origini di Don Matteo
Diverso il destino del santo-eroe, specifico audiovisivo italiano per eccellenza. L’imprinting sulla tv generalista arriva prestissimo, nel 1955, con la rubrica domenicale Sguardi sul mondo, uno dei primi fenomeni tv in onda sul Programma Nazionale (Rai 1): punte di sedici milioni di spettatori e uno spin off ante litteram, La posta di padre Mariano, che trasforma il conduttore – un frate cappuccino – in un’icona involontaria del piccolo schermo.
Il primo film realizzato dalla Rai per la televisione, e trasmesso nel 1966, è la vita di un santo: Francesco D’Assisi di Liliana Cavani, opera che apre la grande stagione dello sceneggiato a tema religioso, con i lavori per la tv di Roberto Rossellini (Atti degli Apostoli, 1969, Agostino D’Ippona 1972), e i kolossal Mosè di Gianfranco De Bosio (1974) e Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli (1977).
A questo periodo risalgono anche i primi preti-detective della tv italiana, modelli di riferimento per il futuro titano d’ascolti Don Matteo: la serie del 1968 I ragazzi di padre Tobia di Italo Alfaro (dagli autori del Tenente Sheridan, Casacci e Ciambricco) e I racconti di padre Brown di Vittorio Cottafavi, nel 1970, con Renato Rascel in toga.
Gli Avengers degli ascolti
Dopo una pausa fisiologica negli anni Ottanta, le serie sui supersanti diventano dal decennio successivo il prodotto più richiesto dal mercato tv.
In dieci anni, tra il 1996 e il 2006, 10 delle 15 prime posizioni in termini di ascolti sono occupate da fiction a contenuto religioso (studio di Sergio Perugini per l’Università Roma Tre). A trionfare sono soprattutto due santi, San Francesco e Padre Pio (Madre Teresa e Maria Goretti per le donne), con il beato di Petralcina protagonista nel 2000 di una singolare contesa tra Rai e Mediaset, produttrici in contemporanea di due fiction sullo stesso argomento: Padre Pio di Mediaset, di Carlo Carlei con Sergio Castellitto, e Padre Pio tra cielo e terra di Rai1, diretta da Giulio Base con Michele Placido. Vincerà Rai1, ma sarà comunque un successo: 13 milioni di telespettatori contro i quasi 12 di Canale 5.
Nella proliferazione millennial di fiction sui Papi (Giovanni XXIII, Giovanni XXIII, Il Papa buono, Giovanni Paolo II, Karol. Un uomo diventato Papa, Karol. Un Papa rimasto uomo), anche i preti trovano una nuova primavera tv: quelli “veri” – don Lorenzo Milano, don Bosco, don Carlo Gnocchi – e quelli per fiction, Dio vede e provvede con Angela Finocchiaro, la sit-com Don Luca con Luca Laurenti e Un prete tra noi con Massimo Dapporto.
Del 2000 è il primo Don Matteo di Terence Hill con Nino Frassica, in onda da 23 anni, 7 milioni d’ascolti di media per 13 stagioni, un epigono (la serie Canonico, Tv2000) e un’irresistibile parodia dei The Jackal, ospiti come guest star della stagione 12.
Don Matteo resiste a tutto: al cambio dei costumi, alla rivoluzione tecnologica, persino all’ingresso nella serie di un prete nuovo e aitante, il Don Massimo di Raoul Bova.
Se l’Italia avesse un Captain America, senza dubbio, andrebbe in bicicletta come lui.
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