La produttrice esecutiva e regista Deborah Chow ha affrontato una sfida monumentale quando ha accettato di continuare la storia di Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor) e Darth Vader (Hayden Christensen), a cavallo tra la trilogia prequel e quella originale del franchise di Star Wars.
Lo sviluppo del progetto, guidato da McGregor, era già diventato una saga a sé stante, a partire dal 2017, con Stephan Daldry alle prese con un film stand-alone proprio su Obi-Wan. Nel 2019, quando il film si è trasformato in una miniserie per Disney+, Chow ha preso il posto di Daldry, guidando il progetto attraverso numerose riscritture e affrontando le restrizioni causate dal Covid, fino a quando le riprese sono cominciate nella primavera del 2021.
Appena Chow ha firmato, la più grande sorpresa della serie era già in cantiere: il rapimento della piccolissima Leia Organa ha costretto Obi-Wan a partire da Tatooine, lasciando il giovane Luke Skywalker temporaneamente senza protezione. Per Chow e McGregor era inoltre essenziale che Christensen ottenesse una seconda occasione per interpretare Darth Vader, il signore dei Sith precedentemente noto come Anakin Skywalker.
All’epoca della loro uscita, i prequel erano piuttosto controversi e l’interpretazione di Christensen ha subito pesanti critiche. Con il passare del tempo, però, le vecchie generazioni di fan hanno imparato ad apprezzare la trilogia, unendosi ai giovani millennials e alla generazione Z per dare il bentornato a Christensen durante il suo mandato per Obi-Wan.
Chow ha parlato con The Hollywood Reporter del ritorno di Christensen all’ovile di Star Wars, della ricerca a livello mondiale della giovane Leia e della sorprendente sfida nel dirigere Darth Vader.
Quanto è stato difficile affrontare una saga che i fan conoscono a menadito?
È stata una sfida enorme, per questo anche la scrittura ha richiesto molto tempo. Ci trovavamo tra due trilogie, popolate da personaggi iconici. Tutti sanno cosa è successo loro, prima e dopo, e si inizia con un personaggio che, secondo la percezione del pubblico, dovrebbe rimanere seduto su una roccia per vent’anni. Ma quei vent’anni (tra La vendetta dei Sith e Una nuova speranza) offrono molto da poter esplorare a livello emotivo.
La battuta di Alec Guinness “vero, da un certo punto di vista”, quando dice a Luke che Darth Vader ha ucciso suo padre, le ha dato la possibilità di immaginare che ci fosse dell’altro dietro le parole di Obi-Wan?
Credo che nessuno saprà mai esattamente cosa intendeva George Lucas o quale fosse l’intenzione di alcune battute. C’è talmente tanto spazio di lettura con altrettante interpretazioni diverse. Per noi la cosa più importante è stata restituire la genuinità delle emozioni. Anche la consapevolezza che si trattava del giusto percorso per questi personaggi, che uscivano dai prequel e arrivavano a Una nuova speranza.
L’esempio più lampante del fatto che la storia di Obi-Wan sia più complessa è il coinvolgimento di Leia Organa (interpretata da Vivien Lyra Blair), una bambina di 10 anni, in questa serie. Come è avvenuto questo grande cambiamento?
Prima che io partecipassi al progetto, era una cosa che avevano già sviluppato. Se ne è discusso molto e non sapevamo come avrebbero reagito i fan e se avrebbero detto che stavamo infrangendo il canone. È difficile, perché, a un certo livello, tutto potrebbe essere percepito come una violazione del canone, ma bisogna prendere qualche rischio. Del resto, non c’era nulla che dicesse che non si erano mai incontrati prima. Quindi ci siamo ovviamente presi qualche licenza, ma abbiamo cercato di ricollegarlo a Una nuova speranza.
Carrie Fisher era unica nel suo genere. Trovare la giovane Leia è stato il processo di casting più impegnativo che abbia mai affrontato?
Abbiamo attraversato diverse fasi, perché ci siamo dovuti fermare per il Covid, e i bambini crescono molto in fretta. In realtà abbiamo affrontato l’intero processo due volte. Abbiamo cercato in tutto il mondo ed è stata dura perché non volevamo che i bambini sapessero che stavamo facendo un casting per Star Wars. Stavamo facendo il casting sotto falso nome e con falsi ruoli, e cercare di trovare un bambino che incarnasse naturalmente alcune delle caratteristiche di Leia e Carrie Fisher non è stato facile. Non si potevano trovare due donne più specifiche e singolarmente straordinarie.
Una decina di anni fa, la Lucasfilm sembrava voler tenere a distanza i prequel, con l’obiettivo di recuperare lo spirito della trilogia originale con Il risveglio della forza del 2015. Ma tra il ritorno di Hayden Christensen in Obi-Wan e Ahmed Best, avete l’impressione che sia cambiato qualcosa sui prequel?
Non posso parlare per tutti, ma la mia sensazione è stata quella. Ci sono tantissime generazioni di fan della Lucasfilm. Ce n’è una che è cresciuta con gli originali e un’altra che è cresciuta con i prequel. Quando abbiamo annunciato che avremmo riportato Hayden, la generazione dei prequel è diventata improvvisamente molto chiara. Amavano i prequel e Hayden era il loro uomo. È stato molto bello, onestamente, lavorare a qualcosa che fosse per un’altra generazione di fan di Star Wars.
I fan hanno mostrato ad Hayden un livello di apprezzamento che probabilmente non aveva percepito durante la sua prima prova. Questo caloroso abbraccio è stato uno dei punti di forza?
Assolutamente sì, e non solo perché siamo entrambi di Toronto. Questo è un franchise difficile. È molto conosciuto e molto internazionale. Molti degli attori sono stati sottoposti a un esame approfondito per il loro ruolo. Il fatto che Hayden emerga e veda l’amore per lui e per il suo personaggio è stata una delle cose più gratificanti. Onestamente, non mi sarei sentita bene se non avesse avuto una buona esperienza.
Tutti coloro che lavorano a Star Wars hanno una serie di momenti in cui si sentono colpiti, qual è quello che l’ha impressionata di più?
Devo dire che è stato Vader. Non pensi mai che stai per dirigere Darth Vader. Mi sedevo sul set e pensavo: “Non so come sia successo”. Quando è entrato in scena per la prima volta, mi è sembrato che fosse quasi il doppio di me. È stato molto intenso. E quando sei responsabile di rendere Fener come Fener, non è così facile come sembra. C’è molto lavoro da fare per permettere al personaggio di funzionare, ma è stato davvero fantastico. Ho potuto dirigere Darth Vader.
Lei e Ewan vi siete scambiati qualche idea sul set per una potenziale seconda stagione?
Uno pensa sempre di concludere una serie come questa in un modo magnifico, ma invece si finisce in un parcheggio con la seconda unità di regia e quasi nessuno. È sempre così anticlimatico, ma mentre io ed Ewan finivamo l’ultima ripresa con la seconda unità – mi stavo letteralmente togliendo le cuffie – lui mi stava già proponendo idee per la seconda stagione.
Ci sono altri 10 anni con un sacco di storie, e non credo che sia fuori discussione. È una situazione da “mai dire mai”, ma abbiamo davvero concepito questa serie come una miniserie.
Che consiglio darebbe al prossimo regista di un progetto di Star Wars?
Assicurati che tutte le creature vadano in bagno prima di portarle sul set, altrimenti dovrai aspettare 45 minuti (ride). La cosa più importante che ho imparato da The Mandalorian è che non devo fissarmi troppo sul fatto che si tratta di Star Wars. È difficile in un progetto in cui c’è così tanto canone e così tanta responsabilità nei confronti dei fan, ma mi chiedevo sempre: “Se togli Star Wars da questo progetto e ci sono solo persone ed emozioni umane, questa storia regge ancora?”.
Traduzione di Pietro Cecioni
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