Il tempo ha un buffo modo di scorrere ne Le piccole cose della vita, serie adattamento di Liz Tigelaar tratta dal libro di memorie di Cheryl Strayed, Piccole cose meravigliose. Quando la quarantanovenne Clare (Kathryn Hahn) ricade nelle cattive abitudini della giovinezza, scorge la se stessa ventiduenne (Sarah Pidgeon) in uno specchietto retrovisore. Quando suo marito, Danny (Quentin Plair), le tende la mano in un momento di difficoltà, lo vede brevemente non come l’esausto uomo di mezza età che è ora, ma come il ventenne speranzoso (SteVonté Hart) che era all’inizio della loro storia d’amore.
Non si tratta di un viaggio nel tempo alla Ritorno al futuro; Le piccole cose della vita è saldamente radicato nel mondo reale, dove il tempo si muove solo in una direzione, per quanto ne sappiamo. Ma, proprio come nei due esempi citati, l’approccio della serie vuole essere “empatico”: capace cioè di farci apprezzare i personaggi non solo per quello che sono ora, ma anche per chi sono stati in passato. Forte di questo rapporto con il tempo, la serie finisce per avere un impatto più forte di quello che la sua premessa apparentemente semplice, o la durata ridotta di 30 minuti per episodio, potrebbe suggerire.
Le piccole cose della vita è rigenerante
La narrazione del presente si svolge in modo lineare e, all’inizio, non sembra dissimile da altri prodotti di Hulu su donne incasinate alle prese con traumi del passato, come UnPrisoned o Life & Beth (il film Wild del 2014, sempre basato sulla vita di Strayed, sarebbe in realtà il paragone migliore). La Clare che incontriamo per la prima volta nell’episodio pilota è un disastro: spericolata, volubile e pronta a giurare che non è colpa sua se Danny l’ha cacciata di casa dopo aver prosciugato il fondo per il college della figlia adolescente.
In questo caos arriva come un’improbabile ancora di salvezza una rubrica di consigli per una rivista, Dear Sugar, che le viene affidata. Nonostante lo “schifo” che è la sua attuale esistenza, Clare rifiorisce come scrittrice, per la prima volta da anni, dispensando risposte e interrogandosi sulla natura della fede, sull’impossibilità di avere certezze, sull’importanza dell’amore.
Kathryn Hanh protagonista della serialità
Se in alcuni adattamenti letterari la voce fuori campo può sembrare una scorciatoia, la toccante interpretazione di Hahn valorizza al massimo la prosa di Clare, in gran parte tratta dalle vere rubriche di Dear Sugar di Strayed. La forza delle sue parole si manifesta immediatamente, ancor prima di aver avuto la possibilità di affezionarsi a Clare, o di farsi conquistare dalla miscela di lucidità e sentimento della serie. Hahn interpreta Clare con la disinvoltura di un’attrice che, forte di un solido copione, è consapevole di non dover elemosinare affetto. E la sua fiducia è ampiamente ricompensata: man mano che la serie si addentra negli angoli spigolosi di Clare, diventa impossibile non provare compassione per la sua anima ferita.
Ai flashback sono affidati i ricordi preziosi che giacciono sotto il presente tormentato di Clare: la casa malandata ma accogliente, il rapporto problematico con un padre assente, il legame con il fratello minore, Lucas (Owen Painter), e l’amore di una madre, Frankie (Merritt Wever), morta per cancro a 45 anni.
Nel 2023, durante un litigio con la figlia Rae (Tanzyn Crawford), Clare le urla che, se domani dovesse morire, non si perdonerebbe mai di aver detto a sua madre cose così offensive. Per Rae è la reazione esagerata di una madre sempre più fuori di testa. Per noi, reduci da una scena devastante in cui i giovani Clare e Lucas si preparano per il funerale della madre, si tratta di un’espressione impaurita dei più profondi rimpianti di Clare.
Le piccole gioie quotidiane
Il fatto che Le piccole cose della vita sia una serie strappalacrime non sorprende. E le emozioni si amplificano nel corso delle otto puntate. Se il secondo episodio fa venire un groppo in gola, mostrando Frankie e la giovane Clare che discutono del tempo che passano insieme, il finale invita decisamente al pianto con l’inevitabile morte di Frankie. Gran parte del sentimentalismo della serie, però, è legato a momenti più banali.
Frankie, tenera da far male (la serie la descrive quasi come una figura di santa, è una delle sue piccole lacune), è interpretata da Wever con tanto dolore e sentimento da farla sembrare credibilmente umana. D’altro canto Clare e la sua amica Amy (Michaela Watkins) hanno un autentico affiatamento comico, che regala alcuni dei momenti più brillanti della serie. Quando Clare insiste con Amy sul fatto di non aver davvero tradito Danny con l’autista di Uber la sera prima, perché tecnicamente non hanno fatto sesso, la risposta automatica di Amy, senza peli sulla lingua, è: “Ok, fantastico. Allora perché sei qui?”. E questo la dice lunga sulla dinamica ormai consolidata tra le due.
Imparare a camminare da soli
Fedele al suo nome, Le piccole cose della vita è attenta ai dettagli, ai momenti più strani o particolari della vita, persino a quelli più strazianti, come la discussione che Clare e Lucas hanno con una mortificata assistente delle pompe funebri, costretta a spiegare che per legge devono trovare un paio di mutande per il corpo della madre se vogliono una bara aperta.
L’appetito della serie per la gentilezza e la grazia, tuttavia, è più grande del suo stomaco per il dolore. “Spero che con la morte di tua sorella tu possa fare qualcosa che io non ho fatto. Fare qualcosa della sua vita. Rendila bella”, scrive Claire prima di diventare Sugar. “E poi, per favore, dimmi come hai fatto”. Il resto di Le piccole cose della vita è Clare, che capisce come fare da sola, un agrodolce passo alla volta.
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