Tutta la luce che non vediamo, miniserie Netflix disponibile dal 2 novembre, è diventata molto più attuale di quanto il regista Shawn Levy avesse potuto immaginare. È lui stesso a raccontarlo in occasione di un incontro con il pubblico.
Adattamento del romanzo premio Pulitzer di Anthony Doerr sulla seconda guerra mondiale, Tutta la luce che non vediamo è la storia di una ragazza francese cieca che si rifugia a Saint-Malo dopo l’invasione di Parigi da parte della Germania nazista e di un ragazzo tedesco che viene reclutato dall’esercito per le sue abilità nella tecnologia radio.
Le origini del progetto
Levy ha raccontato agli spettatori presenti a Los Angeles di aver letto e di essersi innamorato del libro per la prima volta come fan. Solo molto tempo dopo è riuscito ad acquisire i diritti, decaduti alla produzione di un precedente film mai realizzato.
Il primo passo è stato riuscire a trovare un’attrice cieca adatta al ruolo di protagonista, per cui è stato lanciato un casting mondiale, con la scelta che è ricaduta sull’esordiente Aria Mia Loberti. In seguito la sfida più grande, ha affermato Levy, è stata riuscire a gestire l’impatto dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sul set della serie, ricostruito a Budapest. “L’invasione è stata vissuta in tempo reale e non potevamo ignorare l’attualità”, ha proseguito il regista.
L’impatto della guerra in Ucraina
“Non si tratta di storia, ma di esseri umani, di ciò che l’umanità fa a se stessa”, ha aggiunto lo sceneggiatore e produttore esecutivo Steven Knight. “Abbiamo tutti pensato che fosse importante che questo si riflettesse in qualche modo nelle sceneggiature e nelle interpretazioni ma è orribile che una storia come questa possa diventare attuale quasi da un giorno all’altro. Sta arrivando una generazione per cui la seconda guerra mondiale sembra storia antica, ma l’invasione dell’Ucraina no, è il presente, e sottolinea il fatto che questo è ciò che gli esseri umani si fanno a vicenda a volte”.
Knight ha continuato: “È molto importante che, come scrittori e artisti, riflettiamo il fatto che gli esseri umani reagiscono anche con magnificenza, bellezza, amore e tenerezza, non solo con violenza. Spero che sia evidente il messaggio della serie è che alla fine gli esseri umani prevarranno. E niente ha reso questo messaggio tanto toccante come gli eventi in Ucraina”.
La scena della fuga
Levy ha anche ricordato una scena in cui il personaggio di Loberti e suo padre, interpretato da Mark Ruffalo, si uniscono a un gruppo che lascia Parigi a piedi dopo l’invasione nazista: “Sul set i nostri rifugiati parigini erano veri rifugiati ucraini, scappati da un nemico che attaccava da est, proprio come accadde nella Francia occupata dai nazisti. Una storia vera”.
Durante l’incontro infine si è scherzato su Ruffalo, che oltre a interpretare un artigiano nella serie lo è nella vita reale: “È la tua peggiore paura quando un attore conosce i nomi degli attrezzi”, ha affermato lo scenografo Simon Elliott. “È venuto a vedere il modellino che avrebbe usato sul set e ha avuto una conversazione privata con il nostro attrezzista, in modo da saper maneggiare gli attrezzi al momento delle riprese. Ovviamente, questo ha reso la scena ancora più bella”.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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