C’era una volta un erede al trono. Un principe, il primogenito di una stirpe composta da re e conquistatori. Da uomini di potere, grandi menti di una discendenza di pensatori, di strateghi, di comandanti. Peccato, però, che non sia affatto all’altezza del suo nobile ruolo. È il dramma di Kendall Roy, del personaggio interpretato da Jeremy Strong in Succession, primo di una famiglia di magnati dove non basta possedere lo stesso cognome del patriarca per guadagnarne il rispetto. Anche se il patriarca, Logan Roy, rispetto non ne ha per nessuno. Men che meno per i membri della sua famiglia.
Kendall, antieroe triste
Succession è una tragedia shakespeariana trasformata in serie televisiva da Jesse Armstrong. La pièce teatrale del contenitore televisivo della HBO che l’emittente mette in scena dal 2018 e che, dopo quattro stagioni, raggiunge il suo epilogo. Kendall Roy, smilzo dal muso lungo, è il suo protagonista triste, il suo eroe sconfitto. Il concentrato di tutte le frustrazioni e le delusioni che si insinuano nelle dinamiche economiche e personali della famiglia al centro degli eventi.
È l’uomo per cui facciamo il tifo, per cui a volte ci imbarazziamo, per il quale trionfiamo per i successi, ma che vediamo inciampare sempre nei soliti, prevedibili e urticanti errori. Quelli da cui vorremmo si traesse in salvo, anche se non possiamo che ammettere di provare un piacere un po’ sadico nel vederlo ancora una volta crollare. Un personaggio che nel corso delle puntate è diventato il perdente per eccellenza, l’emblema del “fallito”. Il principe del reame che diventa il buffone di corte.
Succession e un’ironia più fredda di una lama
Una parabola che segna una tratta in continua pendenza per un personaggio condotto fino a ripetuti punti di rottura. Nella quale ci si domanda quale sarà l’innesco che lo farà scoppiare, tratteggiando il destino sfortunato e ridicolo che gli vediamo compiere. Il cammino di Kendall ha un’alternanza che lo vede raggiungere l’illusione dell’apice, troncato da un incidente stradale che lo costringerà a rimettersi ancora una volta alla mercé del padre, che aveva scansato dal piedistallo sottraendogli il potere dalle mani. Un Logan Roy che un po’ ci gode nel constatare (un altro) fallimento del figlio grande, visto che la vita “sometime it is a big dick competition”. E a quanto pare lo è anche stare in famiglia.
Un disagio intimo da cui l’uomo cerca di uscire, non riuscendoci affatto e trasmettendolo al pubblico. Che ne ride, ne ironizza. Più Kendall diventa serio, più lo spettatore lo sbeffeggia. Lo fa anche la scrittura, col suo creatore Armstrong. Un derisione che fa parte del piacere di Succession, un piacere affilato come una lama, che trafigge e schernisce i personaggi. Pronti a prendersi in giro anche tra di loro, tutto pur di non finire per pugnalarsi.
Il bacio di Giuda e la vendetta
Certo è ammirevole la costanza di Kendall, così come il suo continuo tentativo di assalto alla Bastiglia. Soprattutto dopo essere stato sacrificato per l’ennesima volta dal genitore. Con un bacio sulla guancia, che riporta all’iconografia cristiana del tradimento di Giuda, il personaggio volta le spalle al padre definendolo un bullo davanti alla stampa, accusandolo di aver insabbiato denunce e passi falsi commessi dalla sua azienda, la Waystar-Royco. Un’invettiva accolta con un sorrisetto dal patriarca, che forse per la prima volta sente un briciolo di orgoglio per quel primogenito che gli ha voltato le spalle.
Una vendetta che non tarderà ad arrivare e giungerà al suo culmine col bigliettino del genitore nella puntata Un compleanno intenso, momento più straziante in cui Kendall si trasformerà in maniera definitiva da uomo a barzelletta. Una festa di quarant’anni dove riceverà dal padre non un messaggio d’affetto, ma un’offerta per acquistare le sue azioni della Waystar così da estrometterlo definitivamente. Un altro colpo basso mortale.
Il re nudo di Succession
È incredibile poi come realtà e finzione abbiano la possibilità di fondersi, all’occorrenza, con l’interprete Jeremy Strong, preso di mira nel dicembre del 2021 in un pezzo dell’autorevolissimo New Yorker, venendo definito un attore difficile con cui lavorare, che declama le sue battute come fosse l’Amleto e che tende a non mischiarsi col resto dei colleghi per non uscire mai dalla propria parte. Uno di quegli attacchi di cui è solitamente vittima Kendall Roy, solo che nella serie non c’è alcuna Anne Hathaway che possa difenderlo.
Così la corona cade, anche se in verità Kendall non l’ha mai avuta sulla testa. Il trono è sempre più distante per quell’erede che, come ne I vestiti nuovi dell’imperatore, pensa di aver trovato un abito che è visibile solo a chi ne sarebbe “degno”, ma che in realtà è inesistente. E tutti noi non possiamo che additarlo e urlare: “Ma il re è nudo!”. Una realtà che il nostro eroe rifiuta di accettare, proprio come il re della favola.
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