Era dal 2 giugno del 1953 che non si assisteva all’incoronazione di un reale inglese. Quel giorno Lilibet – così erano soliti chiamarla i suoi genitori – salì al trono e divenne Elisabetta II, la Regina di Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri reami del Commonwealth. Un titolo non da poco per una ragazza che non avrebbe mai dovuto indossare la corona se non fosse stato per l’abdicazione (per amore) di suo zio Edoardo VIII.
Settant’anni di regno – in cui è successo di tutto, tra guerre e prime pagine dei tabloid – finiti con la sua morte, lo scorso 8 settembre. Otto mesi dopo è stato il turno di Carlo III, l’eterno erede al trono, di attraversare la navata dell’Abbazia di Westminster sottobraccio alla regina consorte Camilla e impugnare lo scettro e il bastone del sovrano, simboli del suo (nuovo e tanto atteso) potere.
Sul The Mall, il lungo viale che da Trafalgar Square porta fino a Buckingham Palace per giorni decine e decine di persone, giunte da tutte le parti del Regno Unito (e non solo), si sono accampate per avere un posto in prima fila a quella che, a tutti gli effetti, è una pagina della nostra Storia contemporanea.
E poco importa che la monarchia sia per molti un’istituzione ormai fuori dal tempo. Un gruppo di persone privilegiate che spende soldi pubblici mentre è al centro di scandali dai quali riesce sempre, più o meno, a farla franca. C’è una parte di noi che di quei saluti reali dalla carrozza non riesce proprio a fare a meno. Nonostante non sia un suddito di sua Maestà. Sarà per questo che film e serie tv che parlano di re e regine continuano a proliferare senza sosta?
L’ora più buia, la corona di Giorgio VI e i pisolini di Winston Churchill
Lo chiamavano il re riluttante. Forse perché lui a quella corona, stando alle linee dinastiche, non era destinato. O forse perché la sua balbuzie non si addiceva molto bene a un sovrano. Ma Giorgio VI quel ruolo dovette ricoprirlo, senza se e senza ma. E lo fece in un periodo complesso per le sorti del mondo: quello della seconda guerra mondiale. Lo racconta anche Joe Wright ne L’ora più buia, film del 2017 in cui Ben Mendelsohn presta il volto al capo della famiglia reale (già portato sullo schermo nel 2010 da Colin Firth ne Il discorso del re di Tom Hooper).
Ma il vero protagonista del film è lo straordinario Winston Churchill (da Oscar) di Gary Oldman. Un uomo ormai adulto, pieno di dubbi, chiamato a portare sulle sue spalle le sorti del mondo. Non prima, però, del suo sonnellino pomeridiano.
C’è una scena emblematica de L’ora più buia in cui il sovrano e il primo ministro si ritrovano a conversare dopo che il leader del partito conservatore è stato designato alla guida del Parlamento inglese. “Credo che ci incontreremo regolarmente” afferma il re. “Una volta alla settimana, temo”, replica Churchill. “Il lunedì?” continua il sovrano. “Cercherò di essere disponibile il lunedì” ribatte il primo ministro. “Alle 16?” prova a chiosare Giorgio VI. “Faccio un pisolino alle 16:00” è la replica di Churchill a cui risponde, tra il sorpreso e l’allibito, il re.”È permesso?”. “No. Ma necessario. Lavoro fino a tardi” è il commento squisitamente british del politico.
In questo scambio di battute si racchiude quel distacco ironico e vagamente surreale che accompagna da sempre il nostro immaginario legato ai protagonisti della storia coronata inglese.
Peter Morgan: storia di un’ossessione (reale)
Tutto è iniziato da un’incontro. Quello tra Stephen Frears e Peter Morgan. Regista il primo, sceneggiatore il secondo. I due insieme danno vita a una trilogia: The Deal, dedicato alla figura di Tony Blair, The Queen, incentrato sulla figura della regina Elisabetta II, e I due presidenti, dietro le quinte dell’amicizia tra il primo ministro laburista e Bill Clinton.
Ma è con The Queen che si compie la magia. La sceneggiatura di Peter Morgan è un congegno oleato alla perfezione capace di intrecciare storia pubblica e privata di una delle figure più emblematiche del Novecento. Una donna, dietro il cui apparente distacco, si cela un’enigma pari forse solo a quello della Gioconda. Morgan ci restituisce un ritratto di Elisabetta II – interpretata da Helen Mirren che per la sua prova attoriale vinse l’Oscar – in uno dei momenti più bui del suo regno: la morte di Lady D.
Se dovessimo rintracciare uno dei motivi per i quali film e serie tv dedicate alle storie dei reali ci ossessionano così tanto, non sarà forse perché mettono in scena anche parte della nostra di storia?
Quegli avvenimenti divenuti parte integrante anche delle nostre di vite – chi di noi non ricorda quella notte dell’agosto ’97 sotto il ponte dell’Alma? – possiamo riviverli sul grande e piccolo schermo e magari scoprine angolazioni inedite grazie alla penna brillante di uno sceneggiatore.
O magari la rigidità delle regole imposte dal loro lignaggio ci rassicura? In un mondo in cui tutti possono ormai essere ciò che vogliono, come e quando vogliono, quella realtà fatta riti, formalità e ordine prestabilito ci restituisce un senso di certezza e adesione collettivi?
The Crown, la serie definitiva sulla royal family inglese
In realtà, ancor prima che sul piccolo schermo, tutto è iniziato sulle assi di un teatro. Quello del Gielgud Theatre di Londra dove, nel 2013, andò in scena la prima di The Audience. Uno spettacolo teatrale ideato e scritto da Peter Morgan in cui la sovrana parla con gli uomini a governo del paese che lei, dal giorno della sua incoronazione, ha incontrato con cadenza regolare a Buckingham Palace.
Da quella pièce è nata l’idea per The Crown. Una serie di sei stagioni – il capitolo conclusivo debutterà entro la fine dell’anno su Netflix – incentrata sulla vita di Elisabetta II e sulla famiglia reale. La produzione più costosa e riuscita della piattaforma. Una perla rara in fatto di scrittura e messa in scena. Pura gioia per ogni spettatore anche solo vagamente incuriosito da quello che accade tra i corridoi di Buckingham Palace.
Claire Foy, Olivia Colman e Imelda Staunton: tutti i volti di Elisabetta
Nel progetto di Morgan, ogni due stagioni tutti gli attori chiamati a interpretare i vari membri della famiglia reale devono essere sostituiti. Una scelta saggia, dettata dalle ellissi temporali che caratterizzano i vari capitoli. Questo ha fatto sì che il ruolo della sovrana venisse rivestito da tre attrici in diversi momenti della sua vita: Claire Foy, Olivia Colman e Imelda Staunton.
Rossetto nella borsetta, completi pastello, corgi sempre tra i piedi e una scatola rossa sulla scrivania usata per i documenti governativi. Sono solo alcuni degli elementi che ritornano nel ritratto della regina voluto da Peter Morgan.
Se la stampa nel corso di settant’anni di regno ha analizzato quotidianamente ogni passo (falso) dei Windsor, è anche vero che ha contribuito ad alimentarne il mito.
La regina che per le Olimpiadi di Londra recita con i suoi amati cani diretta da Danny Boyle insieme allo 007 di Daniel Craig è forse la prova lampate di come la sua figura abbia superato i confini meramente politici per diventare icona pop. Per non parlare del sandwich alla marmellata di arance nella borsetta condiviso con Paddington durante l’ora del tè per celebrare il suo Giubileo di Platino.
The Crown però ha il grande merito di averci mostrato, tra realtà e finzione, il volto privato di una donna chiamata a ricoprire un ruolo al quale non era destinata ma che ha abbracciato con totale abnegazione.
Le conseguenze sono state, nel bene e nel male, innumerevoli. Ma è impossibile non vedere in Elisabetta II un sovrana “affidabile e costante, in grado di resistere a qualsiasi tempesta”. Anche a quelle, ripetute, causate dagli scandali dei suoi familiari.
Amati o odiati a dismisura poco importa. I reali ci incuriosiscono da sempre. Molto probabilmente poterli “spiare” attraverso lo schermo e scoprirne segreti, dolori o errori contribuisce ad alimentare quei due sentimenti agli antipodi. E ci ricorda, tra l’altro, che il peso della corona, dei titoli e delle responsabilità rende quei pomeriggi passati tra castelli e residenze estive non sempre idilliaci.
La corona inglese tra film e serie tv in costume
Ma prima di The Crown sono stati innumerevoli i film e le serie tv ispirate alle storie delle teste coronate. E va detto che l’ossessione collettiva per re e regine non ha risparmiato nessun genere. Dai drammi ai film sentimentali, rigorosamente in costume, ne abbiamo viste di ogni.
Su tutti svetta Elizabeth di Shekhar Kapur. Il film scritto da Michael Hirst con protagonista una sempre divina Cate Blanchett nei panni (sontuosi) della Gloriosa, ultima regina della dinastia Tudor (protagonista di un’omonima – e molto romanzata – serie tv ideata dallo stesso Hirst). Sebbene ricco di inesattezze storiche, il film è l’esempio di come la vita dei monarchi sia stata scandagliata nel privato, tra ragion di stato e sentimenti, per alimentarne la leggenda.
Una sorta di pozzo infinito da cui attingere tra storie sconosciute ai più, come quella dell’amicizia tra la Regina Vittoria e il suo segretario indiano in Vittoria e Abdul, o veri e propri passaggi chiave per la corona. Ne sono un esempio, tra i tanti, L’altra donna del re e Maria regina di Scozia. Il primo con protagonisti Eric Bana, Natalie Portman e Scarlett Johansson racconta la storia delle due sorelle Bolena e della relazione tra Anna ed Enrico VIII che porterà allo scisma dalla chiesa cattolica. Mentre il secondo si concentra sul rapporto conflittuale, tra troni rivendicati e linee di successione, tra Maria Stuarda (Saoirse Ronan) ed Elisabetta I (Margot Robbie).
La lista poi potrebbe continuare con titoli recenti come La favorita di Yorgos Lanthimos dedicato alla regina Anna o Il re con Timothée Chalamet nei panni di Enrico V d’Inghilterra. La riprova che l’interesse per le teste coronate, di ieri e di oggi, non sembra dare segni di cedimento.
Bridgerton: la Reggenza secondo Shonda Rhimes
Un capitolo a parte meritano il fenomeno Bridgerton e il suo spin off La regina Carlotta. La serie Netflix creata da Chris Van Dusen e prodotta da Shonda Rhimes è basata sui romanzi di Julia Quinn ambientati durante la Reggenza inglese.
Un decennio, dal 1811 al 1820 – vivace ed eccessivo – che vide a capo Giorgio III. Ma la serie racconta quel periodo immaginando un’epoca dove il razzismo non esiste e sul trono siede una sovrana nera: la regina Carlotta (consorte del sovrano realmente esistita ma probabilmente di origine caucasica).
Un tripudio di colori pastello, balli, boccoli, piume e corteggiamenti. Bridgerton è una parentesi frivola e leggera che parte dalla storia dei reali inglesi e la reimmagina a suo piacimento. Come se Jane Austen incontrasse Sex and the city.
Sissi-mania, tra finzione e realtà
Ma ammettiamolo pure: la regina delle regine, quella capace di diventare icona popolare prima di qualsiasi altra sovrana è stata Elisabetta di Baviera, meglio conosciuta come Sissi. Imperatrice d’Austria, regina d’Ungheria, Boemia e Croazia.
È stata lei la prima, fin dagli anni Venti, ha conquistare il grande schermo e a diventare mito oltre la storia (anche grazie all’interpretazione di Romy Schneider nelle pellicole della metà degli anni Cinquanta). Lunghissimi capelli castani e sguardo amabile. La Sissi cinematografica e televisiva è più vicina a una principessa da fiaba che alla realtà storica.
A regalarle un nuovo profilo ci ha pensato Marie Kreutzer ne Il corsetto dell’imperatrice. Film presentato a Cannes 75 in cui Vicky Krieps ci consegna la versione inedita di un’imperatrice ossessionata dagli anni che passano e dal bisogno di essere amata. La sua Sissi è malinconica quanto sarcastica, triste quanto crudele. Una ribelle. Un rilettura – finalmente – del tutto agli antipodi rispetto alla rappresentazione da santino che l’ha preceduta.
Da Marie Antoniette a Caterina II: un nuovo modo di raccontare i reali
E se dovessimo rintracciare chi per prima ha avuto l’intuizione (e il coraggio) di prendere una figura storica per rivoluzionarne la narrazione non potremmo che fare il nome di Sofia Coppola. La sua Marie Antoniette con il volto di Kirsten Dunst è pura essenza pop.
Alla regina di Francia la Coppola regala stratificazioni tali da renderla umana e vicina al sentire moderno dei suoi spettatori. Una cosa non da poco che allontana il racconto dalla biografia fredda e didascalica e rende giustizia a una donna considerata un’altezzosa viziata. Quel “Non hanno pane? Che mangino le brioche” lascia spazio ad una tridimensionalità tale che, mentre si permette delle licenze storiche, prova anche ad andare oltre i cliché.
Il lavoro della Coppola è stato seminale per molti altri registi che hanno scelto di raccontare le vite e le gesta di re e regine con un taglio che strizza l’occhio alla modernità. Un esempio su tutti The Great, la serie sull’ascesa di Caterina II di Russia interpretata da Elle Fanning.
Non è un caso che lo script sia firmato dallo sceneggiatore de La Favorita, Tony McNamara. L’imperatrice di The Great è il pretesto per mettere in scena tematiche attuali che parlano di sessismo e abuso di potere. Il tutto con un tono irriverente.
Enrico VIII e Harry: stessa famiglia, destino simile
E poi c’è chi alla corona rinuncia. Dalla Svezia al Giappone passando per la Thailandia sono molti i reali che hanno abdicato. Sempre (o quasi) per amore. Ma ce ne sono due che, in epoche diverse, hanno fatto più clamore. Enrico VIII, duca di Windsor e Harry, il duca di Sussex.
Il primo è stato re per poco meno di un anno, nel 1936. A farlo scendere dal trono d’Inghilterra l’americana – con due divorzi alle spalle – Wallis Simpson. La loro storia d’amore è stata raccontata da Madonna in W.E. – Edward e Wallis, film del 2011 presentato a Venezia 68 in cui James D’Arcy e Andrea Riseborough interpretano la coppia.
Uno scandalo per la società dell’epoca (raccontato anche in The Crown). Ma le famiglie reali anche di scandali vivono. Il più recente – se tralasciamo quello, agghiacciante, del principe Andrea e le accuse di stupro – ha visto protagonisti il secondogenito di Carlo e Diana, Harry, e un’altra americana: l’attrice Meghan Markle.
Quella che all’inizio sembrava una favola fatta di vero amore e inclusione si è trasformata in un incubo da prima pagina. E così Harry, come lo zio prima di lui, ha fatto un passo indietro e ha annunciato che si sarebbe ritirato dagli incarichi pubblici della famiglia reale trasferendosi con la moglie dall’altra parte dell’oceano.
Se per i suoi antenati ci hanno pensato schiere di registi a raccontare le loro storie al cinema e in tv, la coppia ha fatto tutto da sola. Un’autobiografia sulla bocca di tutti, Spare. Il minore (Mondadori) e una docuserie, Harry e Meghan, hanno spifferato dietro le quinte e segreti della famiglia reale inglese. Il risultato? Una spaccatura ancora più profonda con la corona e la nostra fissazione per i reali alimentata a dismisura.
In attesa di vedere il figlio disertore – da solo – tornare a casa per l’incoronazione del padre. Il pitch perfetto per una sceneggiatura da Hollywood.
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