Si è parlato tanto, questi giorni, dei “bravi ragazzi”. I bravi ragazzi non ti trattano male. Non ti sfiorano neanche con un fiore. I bravi ragazzi ti fanno persino i biscotti. “Bravi ragazzi” erano anche Angelo Izzo, Andrea Ghira e Giovanni Guido, tutti di buona famiglia, loro che frequentavano La scuola cattolica. Dal libro di Edoardo Albinati al film omonimo di Stefano Mordini, la storia è quella del massacro del Circeo.
Delle due ragazze, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, che si fidarono dell’aria da bravi ragazzi di tre assassini che erano ammiratori del Clan dei marsigliesi e avevano già scontato una condanna per rapina a mano armata. Izzo, per di più, aveva violentato due ragazzine insieme a un gruppo d’amici, ma era stato condannato a soli due anni e mezzo di reclusione mai scontati, merito della sospensione condizionale della pena.
Dopo un passaggio sulla piattaforma di Paramount+ questi bravi ragazzi arrivano in forma seriale su Rai 1 con Circeo, scritta da Flaminia Gressi, Viola Rispoli e Lisa Nur Sultan, diretta da Andrea Molaioli.
I bravi ragazzi erano figli sani del patriarcato. E della Roma bene. Guido era studente di architettura, Izzo di medicina e Ghira era figlio del pallanuotista olimpico Aldo. È così che vennero descritti durante quel primo incontro al bar Fungo dell’Eur: educati, garbati, gentili. Ed è la sfrontatezza borghese, la strafottenza altolocata un altro elemento di (presunta) supremazia che i tre bravi ragazzi si arrogavano. Scamparla sempre, ad ogni costo. Usare le buone maniere, l’apparenza innocente, il buon nome della famiglia e della scuola per non risultare neanche una volta sospettati, figuratevi anche solo colpevoli.
Andrea, Angelo e Giovanni erano stati introdotti a Donatella e Rosaria da un amico comune. La gang borghese ha fatto credere alle giovani che in quel settembre del 1975 avrebbero trascorso una sera come un’altra a Lavinio, ad una festa, invece di finire in una casa sul promontorio del Circeo, violentate e seviziate, con l’intento di venire uccise. “Conoscevo già il massacro del Circeo”, racconta Ambrosia Caldarelli, che nella serie ha interpretato i difficili panni di Donatella Colasanti. “Mio padre era coetaneo di Izzo, Ghira e Guido. Quando mia madre ha saputo che avevo ottenuto il ruolo si è preoccupata. A volte è stato doloroso andare in profondità nel personaggio, ma allo stesso tempo lo ritengo un privilegio”.
Un fatto di cronaca nera che teletrasporta indietro, nel passato, ma si abbina purtroppo a una società odierna che da quella società dello stupro non si è mai allontanata. “C’è la stessa paura, ieri come oggi. Ci ho riflettuto molto e sono arrivata al punto di constatare che nulla è davvero cambiato – continua Caldarelli -. Il problema è nell’educazione. Nessuno insegna che l’uomo non deve sovrastare e sottomettere la donna. È una questione fisica, concreta, ma uno dei problemi principali risale anche al linguaggio. Come si parla delle donne. Come gli uomini parlano delle donne. Come le stesse donne parlano delle donne”. Un cambiamento che, forse, può partire da un fatto del ’75 che risuona tutt’ora – sono di questi giorni le notizie sul femminicidio di Giulia Cecchettin – e che l’attrice intravede nelle nuove generazioni: “Hanno una consapevolezza diversa, che ha a cuore e fa attenzione a chi è più socialmente fragile”.
Come ogni cosa, però, per Ambrosia Caldarelli era essenziale mantenere un certo distacco dal vortice di sofferenza e afflizione che ha avvolto l’esistenza di Donatella, unica sopravvissuta delle due amiche preda delle angherie sadiche di Izzo, Ghira e Guida, morta nel 2005 per un tumore al seno e mai completamente ripresa dallo shock vissuto (al dolore fisico e morale si aggiunga che per salvarsi si è fatta scudo del cadavere dell’amica). “Se avessi messo troppo di Ambrosia so che non avrei reso giustizia all’emotività di Donatella”, spiega la ragazza. “Ma ammetto che c’erano notti in cui non riuscivo a dormire. Come quando abbiamo girato la scena del bagagliaio – riferendosi al giorno del ritrovamento delle giovani, nella Fiat 127 in viale Pola, fuori dal ristorante in cui era andato a magiare tranquillamente il trio – È impossibile. Toccante. Ma soprattutto, impensabile”.
Nell’esperienza di Circeo, Ambrosia Caldarelli ha camminato tenendosi per mano con Greta Scarano nel ruolo dell’avvocatessa Teresa Capogrossi, personaggio d’invenzione e che assume concretezza nel rappresentare le lotte che sono state scatenate dall’accaduto. E che hanno stravolto una legge sullo stupro, diventata non più solo in difesa della morale, ma della persona. “Greta è una grandissima professionista – commenta sulla complicità con la collega di set – Siamo entrate in sintonia fin dai provini, davanti e dietro la macchina da presa. Abbiamo portato avanti un rapporto di vera sorellanza, veicolato dallo sguardo femminile fondamentale delle tre sceneggiatrici”.
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