Danza ancora con noi il fantasma di Rukeli Trollmann. Il pugile “zingaro”, che i nazisti trascinarono e ammazzarono nell’abisso e nel fango dei lager: intollerabile, per i volonterosi carnefici del Führer, che un boxer di origine sinti avesse la meglio sui colossi ariani che piazzavano al centro del ring a vincere per decreto. A loro e ai gerarchi in camicia bruna Rukeli aveva sbattuto in faccia il suo talento, il suo orgoglio zingaro, li aveva irrisi, con la sola arma di una manciata di farina sparsa sul corpo ed il volto: in un gesto di potenza shakespeariana, degno di una tragedia greca.
Il match della leggenda
Stiamo parlando della vicenda buia e al tempo stesso eroica di Johann Trollmann, già campione dei pesi mediomassimi nel 1933 – l’anno dell’ascesa di Hitler – quello che ballava leggero sul ring come molti anni dopo avrebbe fatto Mohammed Alì: in un ritorno al futuro mozzafiato, oggi la danza di Rukeli – questo il suo soprannome da “zingaro” – ha preso vita nell’ultima stagione di Babylon Berlin, la straordinaria serie tedesca lanciata da Tom Tykwer (il regista di Lola corre), che si svolge negli anni furenti e magici della capitale tedesca, quelli di Cabaret e delle passioni di Weimar, subito prima dell’ascesa del Terzo Reich.
Ebbene: se alla fine dell’ultima puntata della terza stagione a sorpresa compariva un manifesto che pubblicizzava un match di Rukeli Trollmann – classica posa da pugile con i guantoni infilati, contro tale Erwin Pescher – nella quarta stagione la danza di Trollmann prende finalmente vita, e con lui il match che dato origine alla sua leggenda, in un vorticoso atto di giustizia. Perché Rukeli è stato due volte vittima: come sportivo e come sinti, disprezzato, disonorato, discriminato.
Ed è due volte eroe: per il coraggio con il quale ha affrontato l’orrore nazista, e con la visionarietà con la quale ha trasformato il gesto sportivo in atto di ribellione, in mitologia fatta per restare. Perché quello di Rukeli fu un gesto di smisurato ma solitario coraggio, che irrideva tutta la retorica del “combattente ariano” con la quale il nazismo aveva avvelenato la Germania.
Volete l’ariano? Ecco il vostro ariano
Vediamola, la scena che consegna Trollmann al mito. Il 9 giugno del 1933, l’infame anno che tolse la libertà alla Germania e spezzò Berlino – togliendole i suoi artisti, gli scrittori cosmopoliti, i suoi teatranti irriverenti e geniali – Johann aveva vinto il titolo dei mediomassimi. Aveva pianto di felicità, Rukeli, al suono del gong che segnò, dopo cinque round, la fine dell’incontro con “l’ariano” Adolf Witt disputatosi in una birreria di Kreuzberg, la Bockbrauerei: lui, pugile di etnia sinti, aveva coronato il suo sogno, diventando campione tedesco.
E questo nonostante che un gerarca nazista presente – tale Georg Radamm, incidentalmente presidente dell’associazione pugili – avesse cercato di far annullare l’incontro: la folla invase il ring, difese il suo campione e lo portò via in trionfo.
Ma il bel Johann dal ricciolo nero ed il corpo scuro non sapeva che questa storica vittoria avrebbe anche segnato l’inizio della sua discesa agli inferi. Dopo soli otto giorni, i nazisti decisero di togliergli il titolo – obbligandolo a combattere in un match in cui era condannato a perdere. Gli dissero che non poteva muoversi dal centro del ring, che gli avrebbero tolto la licenza se avesse “danzato” schivando i colpi.
Di tutta risposta, Rukeli si presentò al match con i capelli tinti di biondo oro e tutto il corpo cosparso di bianca farina, come dire: “Volete l’ariano? Ecco il vostro ariano”. Per cinque round Trollmann fu martellato da Gustav Eder – lo sfidante, un pugile mandato lì a vincere per ordine superiore – finché non crollò a terra, con una bianca nuvola di farina che si alzò per aria, avvolgendo lui, l’avversario, tutto il ring, le prime file del pubblico.
Un riconoscimento tardivo
Un’immagine di una forza immensa, che consegna Rukeli all’eternità con una scelta degna, appunto, di una grande tragedia greca.
Hanno a provato a raccontarla, questa scena, in teatro, in una videoclip musicale, in qualche documentario, in televisione. Babylon Berlin anticipa la scena di qualche mese (nella serie l’incontro tra Trollmann ed Eder viene disputato prima della presa di potere da parte del partito nazionalsocialista) ed in più piazza in mezzo al pubblico i protagonisti Charlotte Ritter e Gereon Rath (interpretati da Liv Lisa Fries e da Volker Bruch), dove spiccano anche una masnada di nazisti rumorosi.
Trollmann nella prossima stagione
Oggi la scena è degna dello streaming globale: eppure quella di Rukeli è una storia che fino ad una dozzina di anni fa quasi nessuno conosceva. Ora che l’epopea tragica e leggendaria di Trollmann – il quale finì i suoi giorni nel campo di concentramento di Neuengamme – si incrocia con quella di una delle serie di maggior successo degli ultimi anni, sui social si sono rincorse le domande: il pugile sinti sarà uno dei personaggi principali della prossima stagione, la quinta (la produzione della quale è stata confermata di recente, nonostante il fatto che Sky Deutschland si sia ritirata)? Molto probabile, per non dire che è certo.
A suo modo, è il riconoscimento – tardivo – che la Germania deve ad uno dei suoi eroi più tragici e straordinari. Dimenticato per troppi anni: solo nel 2003 ai suoi discendenti fu riconsegnata, in una cerimonia triste e desolata, la cintura da campione che i nazisti gli avevano tolto nel 1933.
Un viaggio all’inferno
Pensare che nel 1930 il pugile sinti aveva vinto tredici incontri di fila, svolti in tutta la Germania. A partire dal 1932 i suoi incontri avvenivano solo con i migliori atleti, sia nei pesi medi che nei mediomassimi. Ovvio: con Hitler al Reichstag cambiò tutto: la boxe si dette un nome germanico, Deutscher Faustkampf, ovvero “pugilato tedesco”, e le nuove direttive misero in moto la sistematica persecuzione ed emarginazione degli sportivi non ariani.
Per Rukeli è l’inizio di un viaggio all’inferno. Per qualche anno riesce ancora a combattere, più o meno clandestinamente, nelle fiere di paese e nei luna park, dove quasi sempre si ritrova a fare da bersaglio ad aggressioni di stampo razzista. In altri periodi si vede costretto a riparare nei boschi. Revocata la licenza da professionista, le autorità naziste lo costringono ai lavori forzati spalando carbone nel quartiere di Hainholz, qualche volte racimola due spiccioli con lavoretti occasionali.
Degrado a livello “non-umano”
Non finisce qui. Degradati al livello “non-umano” degli ebrei soltanto nel 1938, molto spesso rom e sinti venivano obbligati a farsi sterilizzare: destino condiviso da Trollmann. Che, nonostante ciò, venne mandato al fronte, senza che però il Reich smettesse ad infierire: nel 1942 viene arrestato dalla Gestapo e deportato a Neuengamme. Quando gli aguzzini delle SS si rendono conto che quell’uomo, ormai ridotto a poco più di uno scheletro, una volta era stato un campione di boxe, iniziano un gioco di morte spietato: ogni giorno gli infilano i guantoni, gridandogli “adesso difenditi, zingaro”, per poi massacrarlo di botte.
Per tenerlo in piedi – si trattava di prolungare il proprio divertimento – talvolta gli concedono una doppia razione di cibo. Nonostante tutto, in qualche caso, incredibilmente, è comunque lui a prevalere. Questo finché un giorno, nel 1943 – dieci anni dopo il titolo e il match con Eder – Trollmann crolla nel fango. Sulla sua morte circolano varie versioni. Quello che è certo è che Rukeli morì lì, a 35 anni.
Quella danza al centro del ring
La storia di Johann Trollmann è rimasta a lungo nella zona grigia degli orrori del Terzo Reich. Il motivo è semplice: era un sinti. Uno zingaro. Odiato dal nazismo, discriminato per l’eternità. Il successo, l’arte di Rukeli, la sua sua stessa esistenza, rappresentava un affronto inaccettabile: quasi sempre aveva avuto la meglio sugli avversari – anche quelli di categoria superiore – grazie ad uno stile che precorreva i tempi: veloce sulle gambe, quasi danzante, colpi brevi e formidabili, movimento sul ring.
Roba “effeminata”, niente a che vedere con il Deutscher Faustkampf, secondo la logica “ariana”. Una delle motivazioni con le quali era stato derubato del titolo andava oltre il ridicolo: le lacrime – di gioia – che gli erano corse sulle guance non erano “degne di un vero pugile”.
Dopodiché, finita la guerra, non furono certo i sinti, ossia gli “zingari”, ad essere messi al centro dell’impegno sulla “memoria” di quelli che erano stati gli orrori del nazismo. Anzi: mentre ad alcuni degli aguzzini fu concessa finanche una pensione (per esempio al calciatore Tull Harder, che in qualità di ufficiale delle Ss aveva prestato servizio nello stesso lager di Neuengamme), questo privilegio veniva negato ai pochi “zingari” sopravvissuti. Non pochi giudici avevano stabilito che erano finiti nei campi come “criminali”, e non a causa di una persecuzione razziale.
Inghiottito dal buio del Terzo Reich
Con tutto il suo carico di dolore, una vicenda emblematica, ma quasi ignota, in Italia come in Germania, dove era uscito solo un libro di Roger Repplinger, Sdraiati zingaro, quasi che la storia del “pugile danzante” fosse stata inghiottita dal buio del Terzo Reich. Questo finché nel 2010 un artista tedesco, Alekos Hofstetter, ebbe la formidabile idea di a realizzare un monumento “temporaneo” alla sua memoria – un ring inclinato e bianco come la farina in piena Kreuzberg – e finché l’Unità, quello stesso anno, non uscì con un articolo che ne ricostruiva la storia.
Dopo, in Italia ci furono uno spettacolo teatrale di Gianmarco Busetto (9841/Rukeli), un libro di Dario Fo (Razza di zingaro), un romanzo di Mauro Garofalo (Alla fine di ogni cosa) e un docufilm dal titolo Gybsi Rukeli, del 2013. Ma, c’è da scommetterci, è con un blockbuster della serialità come Babylon Berlin che crescono rapide le quotazioni dell’ultimo incontro di Johann Trollmann: quello per l’immortalità dei giusti.
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