Questo articolo sul Biondo Tevere e il cinema è pubblicato nell’edizione cartacea di The Hollywood Reporter Roma, Numero 1, dedicato a Roma.
“Annamo ar cinema stasera, eh?”, grida Nannarella. Alle sue spalle si vede grande l’insegna “Il Belvedere del Biondo Tevere”. E’ il 1951, il film è Bellissima, di Luchino Visconti. Sì, esatto: uno dei capolavori stellari del cinema italiano. L’ingresso del Biondo Tevere, l’ampio cortile, oggi è ancora quasi uguale. Questa è via Ostiense, a due passi dalla Basilica di San Paolo, Roma. La terrazza non ha più le belle travi di legno della scena del film, ma l’affaccio sul fiume è pressoché identico: la vegetazione selvaggia e rigogliosa del Tevere, i gatti, i canneti, ogni tanto qualche uccello migratore (c’è chi giura di averci visto un airone, ma non abbiamo le prove). Dentro il locale ci sono le foto scattate sul set di Bellissima, la risata meravigliosa e struggente di Anna Magnani in quel film.
Una pellicola che aveva le stimmate del capolavoro sin dal suo concepimento: il soggetto era di Cesare Zavattini (sembra ne esistano tre diverse versioni), mentre un giovane Francesco Rosi su questo set esordì come aiuto regista: “Erano due caratteri fortissimi, quelli di Visconti e Magnani, era bellissimo vederli lavorare. Niente scene, niente scontri. Visconti sapeva che la Magnani gli portava la sua personalità, la sua genialità di interprete”.
Biondo Tevere, crocevia di destini
E’ una storia bellissima quella del Biondo Tevere. Bellissima e terribile. Perché questa trattoria che allora era ai confini di Roma – un mondo in cui i marciapiedi larghi sembravano ancora fatti di terra – è un crocevia del destino in cui si incontrano il cinema, la letteratura, la storia. Anzi, le ferite della storia.
La più profonda di queste ferite porta il marchio di Pier Paolo Pasolini. Qui, ti indicano, su questa seggiola, stava seduto Pasolini, la sera che fu la sua ultima sera. Di fronte a lui, a questo tavolo piccolo e stretto di legno, era seduto Pino Pelosi, l’uomo accusato della sua morte, allora un “ragazzo di vita”. Fu il poeta, regista, l’intellettuale, ad offrire la cena a Pelosi, diciassettenne di Guidonia Montecelio, già noto alla polizia come ladro d’auto, dedito a prostituzione maschile, espedienti vari.
Sì sa, c’è scritto in mille libri, è raccontato nei film, nei documentari, nelle carte processuali e nei reportage sui giornali: dal Biondo Tevere, che sta sull’Ostiense, al terminar del primo novembre 1975, ossia poco prima della mezzanotte, i due andarono in macchina fino all’Idroscalo di Ostia, appunto. Qui Pasolini venne ucciso, quella notte, meno di due ore dopo. In modo barbaro, travolto dalla sua stessa auto. Una donna trovò il suo corpo maciullato intorno alle 6.30, sarà Ninetto Davoli a riconoscerlo.
L’ombra del complotto
Pelosi – “Pino la rana”, come lo avevano battezzato i giornali – diventò l’accusato numero, ma la tesi del complotto (non fu lui, fu lui insieme ad altri, era una trappola, era una vendetta, c’entrano le rivelazioni nascoste nel romanzo sul caso Mattei, Petrolio, la matrice era politica, anzi no) resiste tutt’oggi: ma la verità “vera” pare inconoscibile. Pelosi è morto nel 2017, a 59 anni, in seguito ad un tumore, al Policlinico Gemelli, quello dei Papi. Chi scrive è convinto di averlo incontrato anni prima proprio sulla terrazza del Biondo Tevere. C’erano delle telecamere, dei tecnici stavano sistemando il set per uno documentario, e quel signore bruno venne sorridente verso di noi: “Stiamo facendo un film, volete partecipare?”. No grazie, rispondemmo cordialmente.
Ma torniamo indietro nel tempo, come nelle timeline dei film di oggi. Quello stesso primo novembre, prima di incontrare Pelosi in piazza dei Cinquecento, di fronte alla stazione Termini, Pasolini aveva ricevuto Furio Colombo per un’intervista. Fu sua anche l’idea del titolo: “Siamo tutti in pericolo”. Uscita l’8 settembre 1975 su Tuttolibri, il supplemento letterario della Stampa, venne ripubblicata da l’Unità il 9 maggio 2005. “Pasolini”, gli chiede Colombo alla fine di un lungo dialogo, “se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo ed il rischio?”. Il giornalista annota: “E’ diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande”. Risponde, il poeta: “Ho una cosa in mente per rispondere. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani mattina”. Il giorno dopo, domenica, conclude Furio, il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini era all’obitorio della polizia di Roma.
Colombo fu uno dei primi ad arrivare all’idroscalo. Lo aveva avvertito, con una telefonata poco dopo l’alba, Michelangelo Antonioni.
A tavola con Elsa Morante e Moravia
Oggi, alle pareti della sala del Biondo Tevere dove erano seduti Pasolini e Pelosi, ci sono le foto, i ritratti – alcuni molto grandi – di Pier Paolo, quasi un altare laico, accanto ai ritagli di giornale. Era un frequentatore abituale della trattoria, come lo erano Alberto Moravia, Dacia Maraini, Dario Bellezza, Elsa Morante. Anche di alcuni di loro ci sono le foto alle mura, con maggiore discrezione. Certe volte si ha la sensazione che chiunque sia venuto al Biondo Tevere: di sicuro c’è stato anche Gorbaciov. Anche di lui c’è una foto, nella sala grande del ristorante.
Probabilmente bevevano lo stesso vino di Zagarolo e i tonnarelli alla gricia che le famigliole qui contendono, specie la domenica, a intellettuali, scrittori, giornalisti. C’è chi non sa nulla di nulla della storia del Biondo Tevere, che aprì qui nel 1915, e preferisce concentrarsi sull’abbacchio o il calamaro ai ferri. E non c’è più Giuseppina, la Sora Pina – se n’è andata nel 2019 – che qui ha cucinato per non so quante generazioni, a raccontare di Pasolini: “Che veniva spesso, a pranzo e cena. Quando veniva mangiava poco. Poco e senza sale, perché diceva che il sale fa male. Spesso spaghetti aglio olio e peperoncino. Poi si fermava al tavolo, vedeva passare i ragazzi, prendeva appunti, scriveva. Aveva un conto aperto qui, che pagava con degli assegni in bianco, che dovevamo poi riempire noi”.
Pochi metri più avanti, nella sala grande, ci sono le foto di Anna Magnani. Anche quella davanti all’ingresso del Biondo Tevere anno domini 1951. Quella in cui grida: “Annamo ar cinema stasera?”.
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