Nel film Dune del 2021, diretto da Denis Villeneuve, il deserto che ricopre l’intero pianeta di Arrakis sembra un mare, con onde di sabbia che alzate dal vento s’infrangono sulla sabbia stessa. L’acqua invece è così rara per uscire all’aperto bisogna indossare una tuta capace di trattenere l’umidità attorno al corpo. Una vita tutta al chiuso, perché fuori fa troppo caldo, ormai se la immaginano in tanti, nella realtà come nella finzione, da The Line – l’inquietante città specchio progettata in Arabia Saudita – alla puntata della serie televisiva Extrapolations in cui l’India è talmente calda da aver vietato di stare all’aperto durante il giorno.
L’arte contribuisce a interpretare la realtà e forse in quest’aria rovente tutto sommato non è male avere una costellazione di immagini in testa attraverso cui leggere e sublimare il caldo di questi giorni.
Certo di ondate di calore ce ne sono sempre state, ma questa arriva in un momento simbolicamente importante. Lunedì 3 luglio infatti la temperatura media del nostro pianeta (compreso l’Artico, l’Antartico…) è stata di 17,01°C: la più alta da quando siamo in grado di tenerne traccia. Poi però questo record è stato battuto di nuovo, martedì 4 luglio: 17,18°C, confermato anche mercoledì 5 luglio. E infine superato ancora giovedì 6, con 17,23°C.
Caldo: superata una soglia simbolica
E poi: a inizio giugno abbiamo oltrepassato la soglia simbolica, psicologica e concretissima di una temperatura globale più alta di 1,5°C rispetto all’era pre-industriale, quella che secondo l’accordo di Parigi sarebbe proprio meglio non superare. L’abbiamo raggiunta solo per qualche giorno, non è un dato stabile. Però fa effetto.
Nelle scorse settimane siamo entrati nella fase El Niño, un fenomeno meteorologico ciclico che comporta il riscaldamento del Pacifico e un aumento delle temperature medie su tutta la Terra. Di per sé è normale, solo che questo avviene in un momento in cui la crisi climatica rende particolarmente fragile il pianeta, fra l’acidificazione dell’oceano che comporta una minor capacità dell’oceano stesso di assorbire CO2, e l’Amazzonia sottoposta nello scorso quinquennio a una deforestazione che l’ha avvicinata moltissimo a un punto di non ritorno. Insomma, andiamo incontro, probabilmente, a un anno caldissimo, in cui fattori metereologici e crisi climatica si sommeranno e magari in estate sogneremo una tuta capace di isolarci dall’aria rovente.
L’Amazzonia fa ancora il suo lavoro (per ora)
Per il momento comunque la Terra non si sta trasformando nel pianeta sabbioso di Arrakis, c’è ancora un po’ di Amazzonia a fare il suo lavoro: però è significativa, oltre all’immaginario desertico che propone, anche la storia di questo film. Il romanzo da cui è tratto, scritto dall’autore statunitense Frank Herbert, è uscito nel 1965, proprio quando la biologa Rachel Carson pubblicava Primavera silenziosa: sono considerati fra i libri antesignani dell’ecologismo di oggi e sono arrivati quando accanto al boom economico si iniziavano a intravedere i danni provocati dall’industrializzazione eccessiva.
Nel 1984 David Lynch ne ha fatto un film e fra il 2000 e il 2003 il canale televisivo americano SCI-FI Channel ne ha fatto una mini-serie. Quel primo racconto di fantascienza ecologica non ha mai smesso di attrarre sceneggiatori e registi. Nel 2021 è stato il turno di Denis Villeneuve, con Thimotée Chalamet come attore protagonista, Rebecca Ferguson e la bellissima Zendaya.
Il pianeta Arrakis è importante perché solo qui si trova una spezia preziosissima, sostanza psichedelica potentissima che conferisce facoltà premonitrici e la capacità di utilizzare complessi macchinari per i viaggi interstellari. La trama è intricatissima, ma basta dire che racconta di una casata di uomini estremamente crudeli a cui viene tolto il potere su Arrakis e di una casata buona e virtuosa (gli Atreides), molto amata dal popolo autoctono (i Fremen), e di tutte le lotte di potere, ipocrite segrete e crudeli, che ci sono dietro al controllo di questo pianeta, fra risorse avidamente desiderate da qualcuno e faticosamente protette dagli indigeni.
Estrattori di risorse ed energie
Come ogni buona storia, si è adattata ogni volta al suo tempo. Se nei film precedenti gli attori erano soprattutto bianchi e gli uomini incarnavano un certo tipo di maschilità “virile”, qui Chalamet è insieme magrissimo, fragile, elegante, sensibile, intelligente e da tutto questo insieme viene la sua forza. La madre, Rebecca Ferguson, è una delle figure più potenti. Sharon Duncan-Brewster interpreta la planetologa eletta dall’imperatore per arbitrare il passaggio di casata ad Arrakis. Il mondo bianco e virile appartiene al passato.
E la storia, profondamente significativa oggi, parla di colonizzatori e colonizzati, estrattori di risorse ed energia, un pianeta prosciugato in cui fra i lavori possibili esiste il “raccoglitore di rugiada”.
Quello che resta addosso, pensando al caldo torrido di questi giorni, è l’arsura, la sabbia alzata dal vento, le labbra e gli occhi secchi. A valori contemporanei migliori di quelli che lasciamo alle spalle si affiancano le paure più profonde di oggi: il calore, il deserto che si mangia tutto, onde di sabbia nel cui impeto arido affogare. Se è un mito serve anche a questo, e per fortuna siamo ancora abbastanza lontani dal deserto.
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