Gli Stati Uniti sono come le università delle ricerche bislacche che finiscono sulle pagine dei giornali (e dei siti assetati di clickbaiting: quelle tipo ubriacarsi ogni giorno fa arrivare a 100 anni, le punture di zanzara sono afrodisiache, masturbarsi tutti i giorni più volte al giorno diminuisce il rischio di tumore alla prostata. Una di queste tre è vera – ndr). Se sai come e dove cercare, troverai una legge assurda che permetterà a una comunità di folli di poter dire o fare quello che vogliono esattamente come un’università che dietro un lauto finanziamento si farà portavoce della teoria più folle (negli Stati Uniti per 30 anni ne hanno trovato diverse che sostenevano che il fumo facesse bene).
E poi c’è il Texas, che dovrebbe farsi pagare i diritti da Hollywood. Perché da quelle parti hanno idee talmente tanto assurde, malsane e ignobili, che è impossibile non farci dei film o per lo meno non essere ispirati per scriverne uno.
L’ultima idea, però, è insopportabile. È la dimostrazione che ormai viviamo in un film distopico di serie B. Brutto.
Ogni tanto in queste righe raccontiamo di episodi al limite – navi di spie naufragate in un lago, sottomarini accessoriati con giocattoli e joypad che affondano vicino ai resti del Titanic – per suggerire al grande spirito del cinema una nuova storia. Non di rado finiamo pure per azzardare dei cast.
Ecco, a volte ci hanno già provato a fare film su vicende simili a quella che stiamo per raccontarvi. Sono stati stroncati come eccessivi, ridicoli, a volte fascisti e non di rado ideologici. Perché accusare una parte politica, un governo o semplicemente un sistema futuro più o meno lontano di aberrazioni, magari come metafora del presente, è qualcosa che accade spesso nella Settima Arte e non di rado ci si fa prender la mano. O almeno di questo siamo convinti, che certe cose non possano esistere. A questo proposito martella la mente di molti di noi una frase che disse, a margine di un’intervista, Daniele Vicari, sul suo Diaz. “Tutto quello che ho messo in scena è vero e documentato. Anzi, ho dovuto togliere molte cose, troppo violente e non credibili. Erano accadute ma nessuno spettatore sarebbe stato disposto ad accettarlo”.
Succede in Texas
Così ci si sente quando sai che il governatore del Texas ha costruito un altro muro contro i migranti. E ti vergogni a confessarlo, ma sorridi persino quando scopri che taglia un fiume, longitudinalmente. Il muro sarebbe in mezzo al letto del fiume, dunque. Rischi la risata quando leggi ancora che è un muro di maxi boe.
E poi.
E poi la rabbia, le lacrime, lo schifo, l’acido in gola che anticipa un conato che scuoterà il tuo corpo. In mezzo a quelle boe, ben nascoste – quindi non come già ignominioso deterrente, ma per rendere più efficace il danno – ci sono delle seghe circolari. Sulla riva del Rio Grande Greg Abbott, governatore dello stato del Texas, dopo aver messo sulla sua riva chilometri e chilometri di filo spinato, ha installato queste botti arancioni e in mezzo a ogni coppia di esse, lame dentate. A occhio, di almeno un metro di raggio.
Leggi, non puoi crederci. Sorridi di nuovo “è di sicuro un fake”. Ma Puente o altri non hanno fatto pezzi su “bufale” di questo tipo e facendo tu stesso fact checking trovi persino il giorno in cui è stata emanata la disposizione, un documento in cui scopri chi sono i fornitori, quanti operai sono serviti per montarle (la banalità del male, diceva Hannah Arendt). Continui a voler sperare in una boutade, poi ti imbatti nell’ultima verifica, i media stranieri. Tra i più seri, lo sanno in pochi, ci sono quelli belgi. RTBF, la tv pubblica, vale la BBC come credibilità, forse di più. Hanno fatto un servizio tv.
Perché nonostante Joe Biden e il governo degli Stati Uniti abbiano fatto causa ad Abbott e al governo del Texas – ma il federalismo statunitense concede ai singoli stati, in termini di sicurezza, una sovranità quasi illimitata – un immigrato ha già trovato la morte su quelle lame (nonostante le smentite texane: secondo loro sarebbe arrivato lì già “tagliato”).
Un horror che ricorda gli ultimi film di Romero. Non i primi, in cui gli zombie erano metafora della guerra fredda, dell’uso inconsulto delle armi, del razzismo (l’esordio La notte dei morti viventi) o del consumismo: in Zombi invadevano un centro commerciale esattamente come la massa di compratori di un iPhone appena uscito fa ora, con lo stesso automatismo che portava quei morti viventi a muoversi senza raziocinio ma spinti solo dal soddisfare una necessità, anche a dispetto della dignità umana ormai perduta. Romero nelle ultime opere ha invece incarnato definitivamente nei suoi film lo scontro di classe interno ed esterno, dai poveri autoctoni agli immigrati, popoli a cui parola e dignità erano stati tolti in favore di pochi che si difendevano ergendo muri, cupole e simili. E poi c’è la saga di Hunger Games, dove la libertà è il premio di una lotteria in cui pochi (s)fortunati possono partecipare a prove letali da cui solo uno si salverà. Perdendo se stesso. E chi ama.
O ancora un piccolo grande capolavoro stracult, The running man (in Italia L’implacabile, 1987) di Paul Michael Glaser (sì, proprio David Starsky di Starsky e Hutch). Gli Stati Uniti sono un regime totalitario, lo sono diventati dopo una crisi economica globale che ha fatto collassare capitalismo e democrazie. Nel 2017. Ogni attività culturale è bandita. Il popolo si è consolato con un reality che mette in palio la libertà per dei carcerati, ma solo se supereranno delle prove brutali. È un gioco a squadre. I galeotti sono i Corridori, i serial killer gli Sterminatori. Succede di tutto in quel film, ma a molti della generazione di chi scrive di quell’opera con Arnold Schwarzenegger protagonista – ex governatore repubblicano della California, ma in confronto ad Abbott è Lincoln – rimase impressa una delle scene iniziali.
Un uomo vuole scappare, terrorizzato da una vita passata in un carcere di massima sicurezza ai lavori forzati ma ancora di più da quel programma tv gladiatorio, da quello Squid Game ante litteram. E comincia a correre, a fuggire. Ha un collare al collo. Supera una linea di confine, tracciata da un infrarosso se non ricordiamo male. Qualcuno urla, sa cosa accadrà, non lo spettatore. Campo lungo, la testa di quel pover’uomo esplode. Tutto, a tutti, sembra normale. Quella punizione disumana viene considerata proporzionata, giusta. A 10 anni piangi, per una cosa così. Ma dentro di te sai che non potrà mai avvenire una bestialità del genere. A 45 scopri che è andata molto peggio.
Tratto da una storia vera
E allora è impossibile immaginare un cast per un horror civile di questo tipo – anche se Abbott e famiglia sembrano usciti da una serie tv per canali generalisti -, decidere se è meglio raccontare il tutto come un film di finzione, magari con l’edificante storia di un avvocato statunitense che difende la famiglia dell’immigrato che ha tentato lo sconfinamento, per trovare la fortuna negli Usa, e scivolando su quelle boe ha trovato la morte per lento dissanguamento, incastrato tra due di esse, infilzato da quelle lame. E scoprire che a pagare il solito lauto e inutile indennizzo che fa urlare “giustizia è fatta” e con la catarsi in tribunale tacita ogni coscienza, sarà anche il governo degli Stati Uniti.
Già perché Abbott, le forze dell’ordine, agenti speciali hanno chiesto da otto mesi l’autorizzazione a costruire ulteriori “misure deterrenti” all’immigrazione clandestina. E il Dipartimento di Giustizia che ora fa causa al governo del Texas, non ha dato alcuna risposta, pur essendovi tenuto per legge. Grazie a quel silenzio assenso Abbott ha forzato la mano e costruito quella vergogna. Giustamente, era una priorità per “lo stato americano definito il posto peggiore in cui lavorare e vivere in tutti gli USA” secondo un’autorevole ricerca di un’università riportata dal maggior quotidiano di Austin. Strano: per dire, i minori non possono affrontare una transizione di genere, pena il carcere.
Una terra di uomini liberi, come il nostro eroe Greg ama dire, “talmente libero che nessuno potrà discriminare qualcun altro”. Oh, bene. Peccato che sia solo in un caso “non si potrà chiedere a nessuno un passaporto di vaccinazione”. Ah, ecco. E queste sono solo le cose di cui il governatore si è vantato sui social. Nelle ultime due settimane.
O ancora possiamo cercare, come in Crash di Paul Haggis, tante storie diverse e a loro modo legate, a partire da quella donna che ha lasciato false generalità all’ospedale di Eagle Pass, la prima cittadina del Texas dopo quella barriera killer galleggiante lunga un quarto di miglio, che si è fatta curare un taglio profondo che andava dallo sterno a poco sotto l’ombelico. Una donna ispanica dicono. La particolarità è che era incinta, per questo molti se ne ricordano.
O raccontare di Alicia Barcéna Ibarra ministra messicana (e biologa) che, unica nel suo governo, ha svelato la cosa su Twitter e che si ritrova sotto scorta, perché ha già denunciato che all’altezza di Piedras Negras (fin dove arrivano le boe assassine, il muro galleggiante è di circa 305 metri) le autorità messicane starebbero cercando altri due dispersi. Incidentalmente, la ministra oltre alle minacce di prammatica di narcos e boss messicani, ne totalizza più di ogni altro o altra negli Stati Uniti.
O infine un documentario, che racconta come questa sia solo una delle tante trovate texane alla Squid Game, e senza neanche premio finale, perché la disumanità violentissima qui è normalità e trovi sceriffi, agenti speciali e politici che si vantano di mostruosità che avrebbero fatto impallidire anche alcuni imputati a Norimberga. Recentemente una bambina di 8 anni in buone condizioni di salute è morta “misteriosamente” mentre era sotto custodia USA in seguito alla sua “migrazione clandestina”. Come cinque anni prima un bimbo coetaneo, per cause ignote, e una di sette. Disidratata.
La verità è che tutto questo sembra un terribile snuff movie. Per alcuni una leggenda metropolitana: sono i video che riprendono torture realmente messe in pratica. Oppure, pensandoci bene, si potrebbe infine tentare una strada più indie, come piace alla Hollywood più impegnata, una storia laterale, apparentemente slegata. Quella di un comico minore che in uno spettacolo di stand-up ha fatto una battuta ferocissima, ma a suo modo geniale.
Parlava di Patrick Crusius, suprematista neonazista che ha ucciso investendoli con un Suv 8 migranti venezuelani, in Texas. Dopo aver raccontato il fatto l’artista ha fatto una pausa. Poi con voce grave ha denunciato la grave ingiustizia subita dall’assassino. Gelo. Poi ha proseguito “gli hanno dato 90 ergastoli. Gli sarebbe bastato farsi eleggere o un distintivo sul petto, ora avrebbe una villa e 90.000 dollari l’anno”.
Questa non è una storia da film. La Storia che stiamo vivendo è un film distopico. Di infima categoria. Che nessuno avrebbe il coraggio di produrre e che verrebbe stroncato da tutti i critici. Il titolo potrebbe essere Lone Star (Stella solitaria, che tenerne), come l’operazione il cui nome il governatore ha fatto diventare un hashtag di discreto successo su Twitter. E avrebbe molti spettatori. Già, perché sul sito del governatore del Texas (in cui c’è un’adorabile sottodirectory dedicata alla First Lady, cara donna), c’è anche un tasto per fare una donazione al Texas Border Security Funding. Festeggiamo, festeggiate tutti: hanno appena superato i 100.000 dollari. Non per salvare vite, ma per eliminare esseri umani. The End. This is The End.
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