Piangevano quasi tutti, sul set, mentre si girava la scena della Marsigliese. Sì, è quella nella quale Viktor Laszlo – l’eroe della Resistenza – incita l’orchestra del Rick’s Café a suonare l’inno francese (“Play the Marseillaise… Play it!”) e tutti gli avventori si uniscono a cantarla in un crescendo che finirà per ammutolire i nazisti capitanati dal maggiore Strasser, i quali, calice di birra in mano, avevano gridato, più che intonato, una roboante canzone patriottica tedesca, Die Wacht am Rhein. Ecco: ogni dettaglio della sequenza è un’eco di lotta antifascista, dagli sguardi di Rick e Laszlo quando sentono la canea dei volonterosi carnefici di Hitler al primo piano emozionato della verace Yvonne, al giubilo finale accompagnato dalla rabbia sorda delle camicie brune. “Fu allora che mi accorsi che erano tutti profughi”: raccontò, a proposito delle lacrime che sgorgarono quel giorno davanti e dietro la macchina da presa, Dan Seymour, immenso caratterista di Hollywood, habitué di vari altri capolavori di quegli anni. Parole che dicono moltissimo di Casablanca, forse più di quanto non rivelino certe battute iconiche come la mitica “Louis, credo che questo sia l’inizio di una bella amicizia”, che chiude il capolavoro del 1942 a firma di Michael Curtiz.
Casablanca: uno dei film più politici
Si sa, il film rappresenta una delle architravi della golden age hollywoodiana, forse la pellicola più iconica, citata e ammirata di tutti i tempi (nel 2006 la Writers Guild of America, il sindacato degli sceneggiatori statunitensi, ha definito la sua sceneggiatura “la più grande di tutti i tempi”). E certo, ci sono pure Humphrey Bogart nei panni dell’apparentemente cinico Rick, Ingrid Bergman all’apice della sua bellezza e del talento divisa nel suo amore per Rick e per il nobile partigiano cecoslovacco Laszlo ed il canagliesco capitano Renauld di Claude Rains che deciderà di mollare il regime collaborazionista di Vichy: ma per quanto sia tutt’ora commovente il triangolo (irrisolto quasi fino all’ultima scena) tra il titolare di un cafè americain e una bella ragazza norvegese di nome Ilsa con la minaccia nazista sullo sfondo, non è questa la “vera storia”, la storia profonda, di Casablanca.
Parte da lontano la vera storia del film dell’ungherese Curtiz: ossia – guarda un po’ – dalla Casa Bianca. E dal suo inquilino di allora, Franklin Delano Roosevelt. Perché Casablanca è in effetti – e lo è stato sin da subito, dalla sua concezione, e nella fase di scrittura, nelle riprese e persino nella distribuzione – uno dei film più politici di tutti i tempi. Oggi che, in occasione del centenario della Warner Bros, torna nelle sale, merita raccontare come, di fatto, Casablanca abbia potuto assumere un ruolo cruciale in mezzo al Novecento, al cuore della Seconda guerra mondiale, con la Wehrmacht e le SS che stavano squarciando l’Europa e il mondo. L’idea del presidente americano era, nientemeno, di cambiare il vortice della storia, quella con la ‘s’ maiuscola, convincendo l’America ad intervenire nel conflitto.
Come racconta il saggista tedesco Norbert F. Pötzl nel libro Casablanca 1943, il piano di Roosevelt era di utilizzare la forza di Hollywood per farne lo strumento di una consapevole strategia politica nel momento in cui la guerra stava sull’orlo della sua svolta determinante – quella che porterà alla sconfitta della Germania hitleriana. E sarà proprio Casablanca il filo rosso che tiene insieme la trama del presidente. Con la Warner Bros che da anni sosteneva il presidente nel suo tentativo di convincere l’America della necessità di entrare in guerra contro Hitler (“scommetto che stanno dormendo tutti, ora a New York”, dice Rick Blaine, riferendosi ovviamente alle pulsioni non-interventiste del Paese).
Baciati dal furore degli eventi
È per questo che i fratelli Warner sfornano a catena film “in tema”, da Confessions of a Nazi-Spy (1939) a Il sergente York (1941): nobili tentativi, ma sarà la love story tra Rick e Ilsa (“avremo sempre Parigi”), saranno le malefatte del maggiore Strasser e le canagliate simpatiche di Renault ad imporsi sull’immaginario mondiale, nonostante che nel frattempo l’America fosse davvero entrata in guerra, in seguito all’attacco giapponese su Pearl Harbor. “I stick my head out for nobody”, ripete Rick per dire della sua ferma intenzione a non farsi coinvolgere, salvo cambiare idea in nome dell’amore, certo, ma anche degli ideali.
In realtà, Casablanca ottiene il suo posto nella storia reale non solo perché a milioni si identificarono nel destino dei tanti migranti del film in fuga dall’orrore hitleriano, ma anche perché la pellicola era baciata dal furore degli eventi: la vera Casablanca, fino a quel mondo in mano ai collaborazionisti di Vichy, era stata liberata dagli Alleati mentre il film era in produzione, tanto da indurre la Warner ad anticiparne drasticamente l’uscita, poi “congelata” nel resto degli Usa per un altro appuntamento con la storia.
Ma, soprattutto, la scelta di ambientare la vicenda di Rick, Ilsa e Laszlo a Casablanca è strettamente legata al fatto che all’inizio del 1943 proprio nella città del Marocco si sarebbe tenuta una conferenza internazionale (nome in codice “SYMBOL”) organizzata dallo stesso Roosevelt: una sorta di pre-Yalta, un grande vertice segreto al quale arrivò in aereo lo stesso Winston Churchill tra immense misure di sicurezza.
Fu qui che l’inquilino di Downing Street ed il presidente americano decisero come modificare i destini del conflitto e abbattere il mostro nazista. Fu qui che, come si sa, venne pianificato lo sbarco in Sicilia e furono poste le basi di quello che sarà il D-Day in Normandia. Definita anche la conferenza della resa incondizionata della Germania nazista come unico esito possibile, fu la più lunga e importante riunione militare di tutta la Seconda guerra mondiale: c’erano i generali Henri Giraud ed il futuro presidente francese Charles de Gaulle, sopraggiunsero il generale britannico Harold Alexander ed il suo collega americano Dwight Eisenhower, era stato invitato anche Stalin (che non si presentò, ma venne tenuto al corrente delle decisioni prese), così come veniva informato costantemente il leader cinese Chang-Kai-Shek.
L’intreccio con Casablanca, il film, era strettissimo. Tanto che neanche due settimane prima del suddetto vertice – ossia la sera di Capodanno – Roosevelt organizzò una proiezione speciale del film proprio alla Casa Bianca: la pellicola venne mostrata a pochi fortunati, mentre l’America viveva nella paura di un attacco degli U-Boot nazisti, presso il cosiddetto Family Theater, che si trova nella East Wing. Fortunati, anche perché in quel momento il film si poteva vedere in un solo cinema a New York City.
Il destino che mischia le carte
Sta anche in questo il fascino di Casablanca, prodotto-crocevia di eventi storici, compresi quelli dettati dal caso, in cui si mischiano la propaganda e l’industria del sogno hollywoodiano, i destini dei potenti e le speranze di chi cercò di fuggire dal nazi-fascismo, le ambizioni di visionari produttori cinematografici ed il lavorio inesausto di un manipolo di sceneggiatori – sette in tutto – che aggiustavano di continuo lo script seguendo la cronaca bellica di quei giorni.
Basti pensare a come il destino abbia mischiato le carte nel mettere in piedi il cast: un anno prima del mitico vertice e della proiezione alla East Wing, ossia il 5 gennaio 1942, è proprio The Hollywood Reporter a dare una delle primissime notizie sul film, annunciando che per i ruoli di Rick e Ilsa erano stati scelti nientemeno che Ann Sheridan e Ronald Reagan (ancora una volta le bizzarrie della geopolitica hollywoodiana, dato che stiamo parlando del futuro presidente degli Stati Uniti). A proposito di cortocircuiti della storia: probabilmente la Warner aveva diffuso la notizia solo per dare un aiutino pubblicitario ai due attori: sapeva benissimo che Ronnie non avrebbe potuto entrare nei panni di Rick Blaine, dato che era stato reclutato nella riserva della Us Cavalry dopo Pearl Harbor.
Casablanca, una troupe di migranti
Non finisce qui l’intreccio tra il vortice della storia ed i destini dei singoli. Senza contare l’ungherese Curtiz e i fratelli Epstein – i gemelli ebrei americani che firmarono insieme a Howard Koch la sceneggiatura basata su un testo teatrale di Murray Burnett e Joan Allison – quasi tutta la troupe di Casablanca era composta da migranti, compresi Conrad Veidt (maggiore Strasser), Peter Lorre (il furfante Ugarte), Paul Henreid (Laszlo), l’inglese Claude Rains (capitano Renault), ovviamente la svedese Ingrid Bergman. Curiosamente, uno dei pochissimi americani in senso stretto del film è Humphrey Bogart (che poco dopo, nel ’44, interpreterà un altro film “partigiano”, il meraviglioso Acque del sud, ossia To Have and Have Not, di Howard Hawks, dove scoccherà, come si sa, l’amore per Lauren Bacall… altra piccola nota a margine: Bacall è il nome d’arte di Betty Joan Perske, figlia unica del polacco Wulf Perske, detto William, e della romena Natalie Weinstein, ma anche cugina di primo grado di Szymon Persk, alias Shimon Peres, successivamente premier e poi presidente israeliano).
Ebbene sì: Hollywood è stata tante cose, ma sicuramente ha potuto imporsi come “fabbrica di sogni” perché è stata il crocevia di infiniti destini personali, globali e politici. Casablanca, in qualche modo, si è trovato al centro di questo vortice tra storia e vita.
Prendete il caso della coppia Marcel Dalio e Madeleine LeBeau, gli attori che prestarono i loro volti al croupier Emile e alla bella Yvonne (della quale, nel film si intuisce che aveva avuto una storia con Rick e che si esibirà provocatoriamente in un flirt con un ufficiale nazista): nella vita reale, quando i tedeschi erano ormai alle porte, avevano dovuto precipitosamente lasciare Parigi, per arrivare dopo molte peripezie a Lisbona, dopo una tappa a Marsiglia, proprio come i tanti esuli del film. Esattamente come Ilsa e Laszlo, che finirono in perenne attesa a Casablanca, per poi arrivare in volo nella capitale portoghese, unico luogo del Vecchio Continente dal quale fosse possibile imbarcarsi su un volo per l’America. Ecco perché la sequenza della Marsigliese fa piangere tutti: perché è Hollywood che diventa tutt’uno con le ferite della storia ed il riscatto della vita, contro gli oppressori.
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