Operazione Lago Maggiore. Una manciata di agenti segreti – alcuni italiani, altri israeliani – su una barca. Una missione d’intelligence il cui obiettivo era quello di bloccare un traffico di armi strategiche, scrivono adesso i giornali. Una tempesta, le onde altissime, il battello che si ribalta, quattro morti, di cui due 007 dell’Aise (Agenzia informazione e sicurezza esterna, praticamente la Cia italiana) e un agente di primo piano del Mossad, l’intelligence israeliano. Tante domande, tutte senza risposta.
Era proprio “la barca delle spie”, a quanto trapela sui giornali dopo il fatto di cronaca di domenica scorsa, prima apparso con timidezza sui giornali, poi deflagrato sui media ai quattro angoli del globo: quasi tutti quelli che si trovavano su quell’imbarcazione – bizzarramente chiamata “Good…uria” – facevano parte delle comunità d’intelligence italiana e israeliana. La quarta vittima era una cittadina russa, moglie del capitano della barca (di nome Claudio Carminati), che di norma l’affitta ai turisti. Le autorità hanno ritenuto di poter soprassedere sull’autopsia sul corpo delle vittime.
Da una parte la versione ufficiale dell’accaduto – già abbastanza confusa – da un’altra una fitta ragnatela di ipotesi più o meno sfrenate, non ultima una trappola apparecchiata dai russi. Tra i sussurri che vibrano intorno alla vicenda c’è anche quello per cui nel mirino della sfortunata compagine di spie ci fossero non meglio identificati oligarchi russi. Il fatto che a bordo vi fossero in tutto 21 persone, numero decisamente superiore alla capienza di legge, a questo punto è considerato poco più di un dettaglio, anche se le autorità hanno aperto un dossier
Lago Maggiore: una sceneggiatura di Homeland?
Un po’ distonica rispetto a questo script l’informazione fatta circolare dalle autorità, per cui si sarebbe trattato della conclusione di una gita seguita ad un pranzo in un ristorante stellato, il tutto per festeggiare un compleanno. Ma prevalgono i dubbi. Prevale la logica delle spy stories: se ci sono una ventina d’agenti segreti su una barca, se c’è una tempesta e se ci sono quattro vittime, di cui tre sono degli 007, la risposta non è mai lineare. Prevale la logica di un “sipario strappato”, per dirla alla Hitchcock.
Ora, neanche Graham Greene de Il nostro agente all’Avana o gli sceneggiatori di Homeland, per non dire gli showrunner di Fauda, avrebbe ideato una spy story più appassionante, bizzarrie e contraddizioni comprese. E non è neanche Mission Impossible, casomai Munich (avete presente il film di Steven Spielberg sulle azioni del Mossad dopo la strage di Olympia ’72, no?): in dozzine di serie tv, in centinaia di film sarebbe stato un soggetto formidabile, per un episodio-svolta, con annesso plot-twist, oppure il passaggio che forma l’architrave del più classico degli spy-movies.
Immaginiamo con facilità le consultazioni frenetiche al quartiere generale della Cia a Langley o al Dipartimento di Stato (ché Palazzo Chigi pare meno adatta ad uno spy movie), oppure le chiamate del direttore del Mossad David Barnea ai suoi omologhi in Italia, il nervosismo o la fredda ironia degli avversari dell’Fsb, gli eredi del Kgb di sovietica memoria. Nella realtà, qualcuno annusa l’attentato. Vero, falso? Chissà.
Ebbene, anche la dinamica dei fatti immediatamente successivi alla tragedia sembra scritta dai quei professionisti del plot che sono gli autori hollywoodiani (oppure, per l’appunto, israeliani): Tel Aviv ha disposto l’aereo delle missioni speciali per il rientro in fretta e furia delle salme e dei sopravvissuti israeliani, mentre pure gli italiani – così riporta Repubblica – avrebbero abbandonato in grande rapidità gli alloggi che erano stati predisposti in zona. Altri media la dicono così: i misteriosi partecipanti della gita in barca sarebbero stati sentiti dagli inquirenti nella notte tra la domenica e il lunedì, per poi scomparire nel nulla.
E ancora. Chiunque frequenti Homeland, oppure qualche altro prodotto sopraffino dello storytelling spionistico dei nostri giorni, sa bene che gli agenti non si aggirano nerovestiti e con gli occhiali da sole d’ordinanza. Infatti i testimoni parlano di un gruppo turistico abbastanza anonimo: tra gli 007 in gita c’è chi indossava sneaker e jeans, chi una t-shirt o la polo. Reparto domande: perché il capitano della barca, il suddetto Carminati, avrebbe ignorato l’allerta maltempo diffusa dalle autorità alle 17.30? Quando, un’ora e mezza dopo, la “Good..uria” volgeva finalmente verso il porto, era troppo tardi: il cielo a quel punto era nero, il vento era implacabile, le onde molto alte.
Com’è come non è, pure il resto pare un film. A quanto scrive il settimanale tedesco Der Spiegel, lo skipper del battello ha riferito che la moglie russa del capitano avrebbe iniziato a pregare a voce alta. Un’italiana invece avrebbe avuto una crisi di panico, per essere immediatamente portata sottocoperta.
Quando la nave si è rovesciata, sono riusciti a salvarsi quasi tutti i passeggeri. Alcuni hanno nuotato fino alla riva a un centinaio di metri di distanza, altri sono stati recuperati dalle barche accorse in aiuto. E’ la sequenza di una tragedia. In una serie o in un film, l’operatore della steadycam avrebbe avuto qui i suoi quindici minuti di gloria.
Due più due di solito fa quattro. Qualcuno, sui media internazionali sovreccitati per la storia, si è ricordato che il Lago Maggiore farebbe parte del cosiddetto “triangolo dello spionaggio” in Europa, essendo le altre due punte la Svizzera meridionale e la Francia orientale. La parte italiana sarebbe stata “attenzionata” dalle comunità d’intelligence per le tante start-up tecnologiche della zona, molte delle quali sviluppano prodotti utilizzati anche a scopi militari – per esempio droni.
Altre speculazioni: sulla “Good—uria” sarebbero stati scambiati documenti segreti. Dalla Procura di Busto Arsizio si afferma sibillinamente che “non sappiamo quali carte oppure oggetti personali siano affondati” insieme alla barca.
Missioni impossibili e realtà
Un po’ come accadde con Il Padrino di Francis Ford Coppola, la cui fascinazione cinematica veniva (e viene ancora) sistematicamente replicata dai mafiosi in carne ed ossa, oggi anche le storie di spie appaiono come dei corto circuiti tra serie televisive e realtà: non sai mai quanto siano i fatti a muovere la mano degli writers di Homeland (che, peraltro, è a sua volta una sorta di remake di una serie israeliana, Hatufim, creata da Gideon Raff), al tempo stesso, come minimo, viene il dubbio che gli agenti segreti di ogni latitudine si facciano suggestionare dalle serie tv, a giudicare dalle missioni che effettivamente vengono alla luce.
Prendete il famigerato “omicidio del Kleiner Tiergarten” a Berlino, dove qualche anno fa un ex guerrigliero ceceno (in realtà un georgiano), venne ucciso a sangue freddo, in pieno giorno, da un killer venuto dalla Russia. Costui era entrato in Germania sotto falso nome, e per compiere l’agguato mortale si era messo una parrucca (e qui l’ispirazione dello sceneggiatore o spione forse appare un po’ appannata).
E, infine, proprio come la scena di un film è descritta – in questo caso da Repubblica – il funerale di Erez Shimoni, una delle vittime del Lago Maggiore, “sepolto con i massimi onori e la massima segretezza”: a detta del giornale, il direttore del servizio d’intelligence israeliano, il già citato David Barnea, ha offerto la sua vibrante orazione funebre “circondato da funzionari con le mascherine sul volto”.
Non mancano ulteriori dettagli degni di Ethan Hunt (sì, quello di Mission Impossible): secondo il quotidiano, l’ultima operazione condotta dal Mossad in collaborazione con l’intelligence italiana era volta a “fermare i cavalieri dell’Apocalisse”, ossia “quelli che permettono di costruire le armi di distruzione di massa, nucleare, chimica o batteriologica, o comunque contribuiscono a realizzare ordigni ad altissima tecnologia, dai droni alle cyberweapons, dai missili balistici ai sottomarini in miniatura” (if you should choose to accept this mission… si dice sempre all’inizio delle avventure di Ethan Hunt alias Tom Cruise).
In più, così sempre Repubblica, “la tromba d’aria che ha ucciso quattro persone ha spazzato pure via la copertura del dispositivo tattico sincronizzato da Mossad e Aise, lasciando trapelare brandelli di informazioni che nessun piano di cover up ha potuto frenare” (sì, il sipario strappato di cui si diceva).
Per esempio, potrebbe venire fuori, in questo multiverso delle possibilità spionistiche, che una delle spie a bordo della barca di capitan Carminati soffriva di un disturbo bipolare, come l’agente Carrie Mathison interpretata da Claire Danes in Homeland. Ovviamente non sarà così. Ma, a questo punto, nessuno si stupirebbe.
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