In fatto di videogiochi, Rockstar Games si fa attendere. A dieci anni dall’uscita di GTA V, acclamato da critica e pubblico, e che è stato rimasterizzato e portato avanti per tre generazioni di console, lo studio di New York ha finalmente pubblicato, 5 dicembre, il primo trailer del sesto capitolo, che arriverà nelle case dei videogiocatori e delle videogiocatrici nel 2025. Il trailer, con un look grafico iperrealistico e un’impostazione filmica, mostra i due protagonisti della nuova avventura criminale targata Rockstar.
Al suono di Love is a Long Road di Tom Petty, e immersi nella città Vice City (ispirata a Miami), ecco presentati Lucia e il suo compagno, una coppia di criminali alla Bonnie e Clyde (in questo trailer ricordano un po’ Buddy e Darling di Baby Driver, heist movie del 2017 diretto da Edgar Wright). Le sequenze della storia, con Lucia in carcere e inseguimenti in auto, si alternano con folle di biker sulle superstrade, le gang e la cronaca dei telegiornali, con scene “rubate” alla internet culture, a cui spesso attinge lo studio di sviluppo nella creazione dei suoi trailer.
La risposta della community ai due nuovi protagonisti non si è fatta attendere, e ad essere finita al centro delle discussioni online è Lucia, protagonista femminile di cui si è fatto un gran parlare in seguito ad una fuga di notizie che quest’anno ha interessato l’azienda statunitense. Diversi utenti, hanno definito la presenza di Lucia come una scelta “woke” da parte di Rockstar Games, utilizzando un termine dispregiativo molto in voga negli ambienti di destra radicale statunitense, e che punta a screditare tutti i temi di giustizia sociale.
Su YouTube sono tanti i video sull’argomento, alcuni con decine di migliaia di visualizzazioni. I titoli sono più o meno sulla stessa linea: “GTA è woke?”. Alcuni accusano Rockstar Games di aver “abbracciato l’agenda woke”, e che avrebbe “assecondato i giornalisti femministi”. Un altro invece sostiene che il “femminismo woke ha rovinato GTA”.
Uno sguardo al passato di GTA
In sintesi, i videogiocatori non hanno apprezzato la presenza di una donna tra le protagoniste di una delle saghe criminali più vendute di tutti i tempi. Nonostante si creda il contrario, però, Lucia non è la prima protagonista femminile di un capitolo di GTA.
Se è vero che tutti i capitoli hanno una predominanza di rappresentazione maschile, contando anche gli episodi spin-off, è anche vero che nel primo capitolo di GTA, sviluppato da quella che all’epoca si chiamava DMA Design e pubblicato nel 1997 da BMG Interactive, aveva non una, ma ben quattro protagoniste femminili giocabili.
Grand Theft Auto (GTA), che si mostrava come un gioco dalle meccaniche piuttosto semplici e da un’inquadratura dall’alto (chiamata nel gergo top-down), permetteva ai giocatori di scegliere il proprio personaggio prima di avventurarsi nel corso degli adrenalinici livelli, compiendo crimini stradali ed eliminando gang per guadagnarsi la credibilità della strada. Tra questi personaggi figurano anche Katie, Mikki, Ulrika e Divine.
La scelta era puramente estetica, e quindi i personaggi non avevano abilità caratteristiche o agevolazioni nel corso delle ore di gioco. La discussione, allora, è da rimettere in prospettiva: perché la criminalità viene vista come un fenomeno maschile? E perché – se erano presenti nel primo capitolo – i personaggi femminili sono mancati dagli schermi di GTA per 25 anni?
Donne e criminalità
Giovanna Truda, professoressa associata di sociologia criminale all’università degli studi di Salerno e autrice del volume Le donne e il crimine organizzato, edito da Gutenberg Edizioni, ha spiegato a The Hollywood Reporter Roma che “la dimensione strutturale della società maschile, che vede la donna come debole, da salvare e proteggere, non rimanda a un’immagine di una donna che può essere criminale. Ma nella realtà non è così”.
“Non esiste un genere della cattiveria e della criminalità”, aggiunge Truda, sottolineando che “si è sempre pensato che nella storia la donna sia inferiore, e quindi inferiore anche nel commettere un atto criminale. E questo gli studiosi lo chiamano sessismo benevolo”.
La dimensione criminogena della donna, continua Truda, “è legata a una certa sfera”. “È stata vista come una prostituta, colei che ha un certo ambito di crimine, ma non la donna criminale come la vediamo noi oggi”.
Ciò che è cambiato, sostiene la dottoressa, non è il comportamento della donna, ma la percezione e la visibilità che ha nella società. “Da quando il movimento femminista ha cambiato la percezione del ruolo della donna nella società, cambiando il ruolo abbiamo iniziato a vedere una donna che, nella sua emancipazione, poteva fare anche altre cose, anche il crimine”.
Il sessismo benevolo, scrive Truda nel volume Le donne e il crimine organizzato, è “la forma di disparità di genere più diffusa nella società postmoderna”. Tale discriminazione riconosce alle donne “una serie di qualità positive (attinenti ad ambiti “femminili” come sensibilità, cura degli altri, accoglienza, empatia definendole al tempo stesso esseri speciali, preziosi da vezzeggiare e proteggere”. E continua: “Con un tale atteggiamento protettivo verso le donne si rimarca però, seppur implicitamente e con ‘affetto’, una loro minorità o incompetenza relegandole a un ruolo subalterno rispetto a quello maschile”.
Le donne nella mafia
La modernità e la contemporaneità però – racconta la dottoressa a THR Roma – “ci hanno mostrato che le donne possono essere criminali come gli uomini”. E nelle organizzazioni criminali, che secondo Truda hanno un’impostazione maschilista della loro organizzazione, le donne sono relegate a ruoli considerati secondari, ma che in realtà “sono ruoli fondamentali per il loro stesso funzionamento”.
Truda porta ad esempio il caso di cronaca riguardante il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, arrestato dopo 30 anni di latitanza e morto il 25 settembre, un caso che vede coinvolte direttamente anche le quattro sorelle, con la maggiore Rosalia (detta Rosetta), che secondo gli inquirenti avrebbe aiutato il fratello a nascondersi, gestendo anche la “cassa” della “famiglia” e la rete dei “pizzini”, permettendo a Messina Denaro di intrattenere rapporti con i suoi uomini nonostante la latitanza.
“L’idea di non pensare che le donne fossero abbastanza forti da non fare azioni criminali ha influenzato anche i giudici e i pm”, aggiunge Truda. “Quando sono andati in galera grandi capi mafiosi, non riuscivano a capire come fossero organizzati. Poi hanno scoperto che c’erano le mogli, le sorelle e le figlie”. E continua: “La magistratura applicava questo stereotipo culturale, e non vedeva la realtà”.
“Non c’è una gradazione tra atti criminali – afferma la docente – non c’è un grado criminale diverso tra ammazzare una persona e portare l’ordine di andarla ad ammazzare”.
Nel passato – aggiunge Truda – “ci sono state donne che sono state ritenute grandi criminali, anche serial killer”. “Le donne hanno utilizzato metodi diversi, come l’avvelenamento, ma questa cosa sta cambiando”. “Gli uomini invece sono sempre stati più violenti, con pistole e armi. Una donna rappresentata così oggi la vediamo, ma ancora crea difficoltà nella percezione pubblica. Perché sembra vada a interagire in uno spazio che è prettamente maschile”.
In riferimento alle polemiche su Lucia, protagonista di GTA VI, Truda conclude: “Chi ha proposto questo videogioco, sa benissimo che la visione della donna sta cambiando. E che diventa anche interessante quindi per un pubblico femminile. E questa cosa sembra non stare bene agli uomini, che si vedono intaccare l’immagine di un uomo forte”.
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