Cristiano è un bambino di dieci anni, immerso nel pieno della sua crescita. Tra la scoperta di se stesso e una difficile presa di coscienza della propria identità, che non sembra coincidere con quella dei suoi compagni di scuola né con quella che gli altri davano per scontata per lui. Inizia allora il suo viaggio verso l’adolescenza: un percorso tortuoso e in salita, fatto di ostacoli e incomprensioni. Per fortuna, però, la diversità nella quale sente di identificarsi diventa anche pretesto di nuove possibilità. Della scoperta dell’amore, della fratellanza e dell’accettazione, mezzi di emancipazione del protagonista dal pregiudizio e dagli stereotipi nei quali si sente costretto.
Nel romanzo Siamo stelle che brillano, Vittoria Schisano e Alessio Piccirillo raccontano una storia di formazione e di introspezione nella cornice dei magici anni Ottanta, tra l’apice delle contestazioni bolognesi e le note delle canzoni di Heather Parisi. L’attrice e il suo storico ufficio stampa danno vita a un progetto figlio di tanti anni di amicizia. Un puzzle realizzato a quattro mani tra episodi autobiografici e spunti immaginari, per raccontare la storia di uno, nessuno e centomila Cristiano. Di tutti quei bambini disorientati dall’identificazione di se stessi e dai primi approcci all’opinione altrui. Di tutte quelle zie Delia, capaci di comprendere le differenze e trattarle con cura. E di tutti quei fratelli e sorelle acquisiti, pronti ad lottare per la diversità, attribuendole un senso nuovo e comunitario. Pronti a ribadire che un altro mondo è possibile.
Come nasce il progetto di Siamo stelle che brillano? È stato qualcosa che progettavate da tempo?
Schisano: Il libro nasce dalla nostra amicizia, che ci tiene legati da oltre quindici anni. Durante la seconda ondata del Covid ero a casa di Alessio e abbiamo iniziato a chiacchierare e a ricordare episodi delle nostre vite. Inizialmente non sapevamo ancora bene cosa stessimo facendo. E poi raccontando e unendo i vari tasselli è venuto su questo progetto. Mentre lo facevamo ce ne siamo innamorati, ci siamo resi conto che era una storia che meritava di essere raccontata, che poteva essere di aiuto e di esempio a tutte quelle persone che non hanno avuto la possibilità di viverla.
Piccirillo: Una sera abbiamo visto insieme Ballo Ballo, il musical ispirato alle canzoni di Raffaella Carrà, e questa visione ha scaturito in noi tantissime idee. Da lì ho iniziato a leggere i testi delle canzoni di Heather Parisi e delle sigle tv degli anni 70 e 80, e mi sono reso conto che quei testi erano già molto avanti per l’epoca. Heather portava già avanti dei personaggi queer. Penso al suo brano Vanessa (la farfalla vamp), che racconta la storia di una donna transessuale che va a Casablanca e ritorna completamente trasformata. Sono canzoni divertenti ma portatrici di un messaggio, e sono state proprio queste a tracciare lo scheletro della narrazione del romanzo.
Cristiano è un bambino alla ricerca della sua strada, e la sua storia è un coming of age in chiave queer.
S: Sicuramente lo è. Ma non è soltanto una storia queer, è un racconto di amore, d’amicizia, di coraggio. Sono le vicende di un ragazzino che nonostante le pressioni della società trova il coraggio di sognare. E lo fa grazie all’aiuto degli amici e al supporto di una famiglia acquisita fatta di fratelli e sorelle, ben oltre il livello parentale. Lo spunto è indubbiamente quello di una storia queer, ma è un romanzo che farei leggere a qualsiasi ragazzino, perché è una lezione di coraggio per tutti.
P: Apparentemente potrebbe sembrare semplicemente la storia di un ragazzino che non si accetta e che si sente in un corpo sbagliato, ma in realtà si tratta di una storia molto più universale. Anche grazie ad una connotazione divertente, volta a non appesantire il messaggio, il libro racconta le prime volte della vita di chiunque: tra paure e dubbi nella fase dell’adolescenza e tra le insicurezze della fase della prima maturità. Fino alla ricerca perpetua del proprio posto nel mondo.
Per raccontare una storia dal punto di vista di un personaggio queer si rende necessario essere parte attiva della comunità LGBTQIA+?
S: È una bella domanda a cui è difficile rispondere. Per raccontare una storia dall’interno sono necessarie una certa sensibilità e una capacità di rappresentare la verità. Nel nostro caso, avevamo vissuto in prima persona tanti aspetti che siamo poi andati a raccontare, e penso questo abbia fatto la differenza.
P: Non è necessario. Sicuramente, però, si nota quando ognuno porta con sé la propria verità e il proprio vissuto all’interno del progetto artistico.
È stato facile sin da subito trovare un equilibrio nella scrittura a quattro mani?
S: In realtà sì. Alessio è per me famiglia e lo stesso sono io per lui. Dunque ci è venuto naturale sin da subito raccontare insieme le nostre vite e sublimarle attraverso racconti e intrecci. Lui è il mio ufficio stampa da sempre, perciò è scontato per noi chiedere consigli e punti di vista l’uno all’altro. Da sempre ci vediamo a vicenda attraverso gli occhi dell’altro, e questa complicità la si può scorgere all’interno della storia.
P: Ci conosciamo talmente bene che il metodo di creazione ci è venuto naturale, così come la scelta di realizzare un romanzo a quattro mani. La scrittura è sempre stata un processo di confronto tra di noi. Come in una partita di ping pong, ci siamo lanciati la pallina in continuazione per confrontarci e per portare la linea narrativa ad un punto che potesse soddisfare entrambi.
C’è stata nelle vostre vite – così come in quella di Cristiano – una zia Delia che vi ha preservato e fortificato?
S: Sì, ovviamente. Ne ho avute due: mia zia Giuseppa e la nonna di Alessio, a cui è dedicato questo libro. Lei mi ha aperto le porte di casa sua e del suo cuore, facendomi sentire adottata in un momento particolare della mia vita, nel quale non mi sentivo capita nemmeno dalla mia famiglia. E quando succedono queste cose, ti rendi conto che l’amore supera ogni parentela. Soprattutto quando questo amore scegli consapevolmente a chi darlo.
P: Mia nonna non sapeva neanche scrivere il suo nome, non ha neppure finito le elementari. Eppure, nonostante i mezzi culturali limitati, lei e la zia di Vittoria erano entrambe due donne molto intelligenti, dotate di una grande apertura intellettiva nei confronti del prossimo. Due donne capaci di amare e accogliere senza farsi domande.
Perché in questo momento storico è così importante raccontare varie identità nelle loro infinite sfaccettature?
S: È necessario far capire che siamo tutti diversi ma allo stesso tempo tutti uguali. Nella vita ci sono tanti ostacoli, tante persone che la pensano diversamente da te. Non per forza devi cercare di fargli cambiare idea. Anzi, è anche interessante capire perché la pensano diversamente. E il libro dà uno spunto per migliorarsi, per cercare di migliorare il mondo che ci circonda.
P: Mi ha molto toccato la recente notizia di quel ragazzino palermitano di tredici anni che si è tolto la vita perché preso di mira per il suo orientamento sessuale. Se noi tutti avessimo la forza e la fortuna di avere accanto una zia Delia, un genitore che ti ascolta o un amico fidato, forse non ci sarebbero più scenari simili. Mi piace pensare che quel bambino avrebbe potuto prendere una scelta diversa. Ed è quello che vogliamo raccontare a tutti coloro che si sentono soli nella loro diversità: un altro mondo è possibile.
Un altro mondo è possibile, ma quanto c’è ancora da lavorare?
S: Finché i ragazzini si tolgono la vita, vuol dire che c’è tantissimo da lavorare. Vedere queste mamme che piangono le morti dei loro figli non è abbastanza. I primi a dover vedere e accogliere le diversità dei bambini sono proprio i genitori, che spesso e volentieri chiudono gli occhi per paura. Ed è qui che i giornali, i libri e i film hanno un potere enorme. La scuola non fornisce gli strumenti necessari.
Di quali strumenti ci sarebbe bisogno?
S: Penso all’educazione sentimentale, una disciplina fondamentale che la scuola non è in condizione di impartire. Ho visto di recente il video di un professore che chiede ad una professoressa di sposarlo in aula, davanti a tutti gli alunni. Per alcuni queste esternazioni non vanno bene, per me sono fondamentali. Tra migliaia di titoli di giornale di ragazzini che si bullizzano, che usano violenza e si filmano, mi piacerebbe vedere tutti i giorni professori che insegnano ai loro studenti il coraggio di manifestare i propri sentimenti.
Vittoria Schisano presto sarà protagonista de La vita che volevi di Ivan Cotroneo su Netflix. Pian piano le attrici trans si stanno scrollando di dosso quegli stereotipi che le costringevano quasi unicamente a personaggi cliché?
S: Questa è una delle mie grandi battaglie. Io sono la mia storia, ma non solo. Sono una fidanzata, un’amica, una figlia, una zia… L’essere una donna trans è soltanto uno dei molteplici aspetti che mi contraddistinguono. Mi piacerebbe vedere delle donne che hanno fatto il mio stesso percorso lasciarselo alle spalle senza rinnegarlo, avere la possibilità di essere anche altro.
Quale sarebbe il segno identificativo di un paese o di un mondo che stanno finalmente cambiando?
S: Sarebbe bello avere una rappresentazione del mondo come quella che c’è su Netflix. Ci sono maschi, femmine, persone nere e persone bianche, ognuno con le proprie scelte, tutte diverse, ma senza la necessità di sottolinearle troppo. Sarebbe emblematico di un mondo che sta cambiando vedere una persona che ha fatto il mio percorso a condurre un programma di cucina, a scendere la scalinata di Sanremo o a interpretare il ruolo di una santa. Un mondo dove tutti hanno il coraggio di non piacere. E chi ha la possibilità di scrivere un libro, un programma televisivo o un articolo di giornale ha il dovere di ricordarlo, di aprire la mente di chi ascolta.
P: Potremo dire che il mondo è finalmente diverso nel momento in cui non ci saranno più distinzioni di genere. Con pari diritti per chi ha due papà, due mamme, un papà o una mamma. Per chi ha solo i nonni, per chi sceglie di non avere figli e per chi ha una famiglia comune.
Nonostante le consapevolezze maturate col tempo e con l’esperienza, a volte il giudizio degli altri spaventa ancora?
S: Il giudizio qualche volta spaventa ancora, perché è assurdo, non ha motivo di esistere. Se io e lei ci stiamo antipatiche, probabilmente non ci siederemo mai vicine allo stesso tavolo del ristorante. Però è sacrosanto che io abbia il mio posto e lei il suo. Il giudizio non deve esserci. E se c’è, mi auguro che non porti all’omicidio come per quel ragazzo di tredici anni di cui parlavamo prima. Piuttosto, che porti chi giudica a porgersi delle domande su se stesso.
P: E tutto questo, ancora una volta, deve partire dalle famiglie. Il nostro auspicio è proprio questo: che questo romanzo, nel suo piccolo, aiuti dei genitori a non far sentire sbagliati i propri figli, cercando con e per loro un mondo migliore.
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