Italia-Usa solo andata: il teatro italiano spopola a New York e Los Angeles

Una straordinaria esperienza ormai decennale: In Scena! Italian Theatre Festival NY, con spettacoli sottotitolati in inglese, è un punto di ritrovo ormai fisso a Manhattan, da Vinicio Marchioni a Paola Minaccioni

Sapessi come è strano vedere teatro italiano a New York, in italiano con i sottotitoli in inglese.

Succede molto più spesso di quanto si possa immaginare e succede da più di dieci anni. Tante sono infatti le edizioni di In Scena! Italian Theatre Festival NY attualmente in svolgimento (è iniziato il primo maggio e va avanti fino al 16), rassegna pensata e realizzata dal Kairos Italy Theatre di New York City, insieme agli italiani KIT Italia e alla Casa Italiana Zerilli-Marimò, uno dei luoghi dove si concentra la diffusione della cultura italiana della Grande Mela, punto di incontro e di coesione per la comunità artistica italiana che vive qui, ma anche per gli americani appassionati d’Italia.

Il Teatro italiano a New York e Los Angeles

“Molti pensano che il nostro pubblico sia fatto esclusivamente di italiani che vivono all’estero, ma non è così, anzi a dirla tutta sono la minoranza”, mi racconta Laura Caparrotti davanti a un bicchiere di prosecco.

Arrivata a New York nel 1996 per studiare, non se ne è più andata, anzi ha messo radici. Ha prima formato la sua compagnia, Kairos Italy Theatre, e ha iniziato a fare teatro italiano, per lo più in traduzione o bilingue. Poi, nel 2013, l’idea un po’ pazza di un festival non solo a Manhattan, ma che spazia nel Bronx, Queens, Staten Island, toccando quindi tutti e cinque i “boroughs” della città.

Non una cosa banale, dal momento che troppo spesso a New York la cultura è concentrata solo sull’isola. E non una cosa folle, anzi, molto giusta, visto che Bronx e Queens sono i quartieri a più alto mix di etnie, culture e religioni con un potenziale di pubblico diverso quanto immenso. “Sono partita dall’idea che i nostri artisti meritino un riconoscimento internazionale”, continua Caparrotti il cui ambizioso obiettivo è di presentare spettacoli che non rientrano necessariamente nell’idea un po’ stereotipata che spesso gli americani hanno dell’Italia (“non facciamo pizza e mandolino”, dice lei ridendo) e neanche di adagiarsi sui grandi classici.

L’obiettivo è invece di offrire una rappresentazione poliedrica di quello che è il teatro italiano contemporaneo oggi, con la sua offerta varia che va dall’italiano al dialetto, dallo sperimentale al più tradizionale, dal drammatico al comico passando per la musica dal vivo, la performance, il monologo e tutto quello che ci sta in mezzo, comprese letture, conferenze e scambi tra artisti italiani e altri internazionali.

Da Vinicio Marchioni a Paola Minaccioni

Il programma particolarmente ricco di questa edizione – che oltre a New York tocca Los Angeles, Detroit e Boston – prevede i seguenti spettacoli, indicati qui con il titolo tradotto in inglese come compare sul programma: We, Puppets: Story of a Life Shattered by Racism di Marco De Simone sull’arrivo delle leggi razziali nell’Italia del 1938; Only Mozart Is Missing di Marco Simeoli che racconta la storia della sua famiglia, proprietaria del più importante negozio di musica di Napoli; The Grammy Bears’ Great War di Angelo Trofa, Luisa monologo di Bruna Braidotti sulla violenza sessuale; Mubarak’s Niece di Valentina Diana con la regia di Vinicio Marchioni, una storia ambientata in Egitto sullo sfondo della rivoluzione di Piazza Tahrir e Little Funerals spettacolo musicale di Maurizio Rippa che alterna canzoni e piccoli riti funebri.

E poi I Am so Much Better Live di Paola Minaccioni che per la prima volta porta la sua comicità e i suoi personaggi in America, la patria dello stand up.

Il tutto per un pubblico che – come la signora seduta vicino a me durante lo spettacolo di Simeoli – non è americano, non parla la lingua, spesso non ha legami diretti con l’Italia, ma è interessato alle storie, indipendentemente da chi le racconta e da dove vengono.

“Charming” è la recensione della mia vicina di sedia: nonostante la traduzione in sovraimpressione, non ha colto tutte le parole, ammette, ma non è questo l’importante.
A casa si porta curiosità e energia e la conferma di come l’arte sia davvero in grado di unire persone di qualsiasi estrazione.