Tutti i registi, gli attori e gli artisti che vengono al Giffoni Film Festival hanno a cuore gli incontri con i ragazzi che animano la Cittadella. Un flusso continuo di cappellini e t-shirt colorate che si muove tra masterclass, workshop e blue carpet. E proprio alcuni di loro hanno potuto assistere in anteprima ad una sequenza inedita di Mary e lo spirito di mezzanotte alla presenza del regista Enzo D’Alo e del suo disegnatore Marco Zanoni. L’ultimo film d’animazione diretto dal regista è tratto da La gita di mezzanotte (Salani Editore) di Roddy Doyle e, dopo essere stato presentato all’ultima edizione della Berlinale, uscirà nelle nostre sale del 9 novembre.
Il film racconta la storia di Mary, una bambina di undici anni con il sogno di diventare una chef. Ad incoraggiarla sua nonna Emer. Ma Mary dovrà affrontare una serie di imprevisti e ostacoli che la porteranno ad intraprendere un viaggio che supera le barriere del tempo, dove quattro generazioni di donne avranno modo di confrontarsi e conoscersi profondamente.
Com’è stato adattare il romanzo di Roddy Doyle in un film d’animazione?
Una sfida, anche perché io non conoscevo Doyle. L’ho fatto solo dopo aver preso i diritti del libro. È una storia autobiografica. Quindi significava entrare nell’intimo della persona che l’aveva scritta. Io, che amo giocare con le storie, insieme allo sceneggiatore che ha lavorato con me, Dave Ingham, abbiamo trasformato il romanzo. Perché per diventare un film un libro deve faticare, deve cambiare completamente struttura narrativa. Però è andata molto bene, Doyle è rimasto estasiato da quello che abbiamo fatto. Missione compiuta (ride, ndr).
Cos’è di questo racconto che l’ha affascinata al punto da volerlo portare sul grande schermo?
La storia è molto bella: ti prende, ti emoziona, ti commuove e ti fa ridere. Anche perché i dialoghi di Doyle – che abbiamo mantenuto dove possibile – hanno una capacità ironica e autoironica che non ho trovato in tanti altri scritti. È un maestro. Mi sono emozionato io per primo. Ho trovato co-produttori interessati e abbiamo coinvolto anche uno studio irlandese. Mi sembrava doveroso. Siamo andati in Irlanda, dove abbiamo vissuto qualche mese. Abbiamo ripercorso le location con tutta la troupe proprio per sentire l’atmosfera del luogo, per vederla da vicino. Non ci ero mai stato prima. Ho scoperto un’isola bellissima.
Lei è anche un musicista. E per la colonna sonora del film torna a collaborare con David Rhodes.
David lavora con Peter Gabriel da una trentina d’anni. È intriso di questo rock-pop di Peter che adoro.
Ha mai conosciuto Peter Gabriel?
Sì, durante la lavorazione di La gabbianella e il gatto, ai Real World Studios. Non riuscivo a parlare dall’emozione. Era il mio mito. Gli ho detto che con il sacco a pelo ho girato tutta l’Europa dietro ai concerti dei Genesis. Mi ha guardato e ha detto: “Sei così vecchio?” (ride, ndr).
Tornando alla colonna sonora del film? Che linea musicale ha tracciato con Rhodes?
Con David abbiamo cercato di raccontare anche dal punto di vista strumentale l’Irlanda. Siamo andati a cercare musicisti locali: i suonatori di fiddle, arpa celtica, accordéon, i suonatori delle william pipes, delle cornamuse molto stridenti tipiche irlandesi. Abbiamo anche introdotto nel film il sean-nòs. È una voce da sola, melismatica, che si muove in una melodia tutta vocale, senza strumenti, che ci è servita per sottolineare qualche momento drammatico del film.
Secondo lei, negli ultimi anni le piattaforme hanno permesso di far scoprire al pubblico anche film d’animazione con stili e toni diversi?
Credo che la molteplicità di stili, di tecniche e di racconto sia sempre un fattore positivo. È bello che ci siano diversi soggetti a raccontare in maniera diversa storie molteplici. In questo proliferare di piattaforme e film d’animazione, credo che anche il pubblico sia in grado di decidere cosa vedere e cosa non vedere. E penso anche che tutto questo poi si riverberi sul cinema. In sala vengono distribuiti film che prima non sarebbero mai usciti. Anche a me piace giocare con le tecniche. In Mary e lo spirito di mezzanotte, ad esempio, ci sono due sequenze disegnate a mano e altre due realizzate con una tecnica di xilografia.
Questa molteplicità di scelta che conseguenze ha portato, secondo lei?
Ad esempio di scoprire la cinematografia giapponese o coreana. Si conosceva solo Hayao Miyazaki, ma lo stesso suo socio, Isao Takahata, ha fatto sempre dei film splendidi, anche se non è stato quasi mai distribuito in Italia. Le piattaforme, che hanno sete dei contenuti, hanno saccheggiato tutto il materiale possibile. Si vedono dei film che si avvicinano un po’ anche al mio modo di vedere il racconto cinematografico di film di animazione. Mi piace raccontare delle storie in cui il pubblico possa identificarsi, vivere le stesse passioni e sentimenti. E il cinema giapponese in questo è il maestro.
Il cinema italiano dovrebbe puntare di più sull’animazione? Tanti colleghi vanno all’estero perché hanno la possibilità di mettere alla prova il proprio talento.
Sì, sono completamente d’accordo. Bisogna investire di più. E non solo sul cinema d’animazione. Sostengo che bisognerebbe investire molto di più sulla cinematografia per ragazzi che in Italia non esiste. Altri paesi, come la Svizzera o la Scandinavia, con risorse inferiori rispetto all’Italia, hanno una cinematografia per ragazzi importante. I giovani devono vedere film pensati per loro. Anche a livello istituzionale bisognerebbe pensare ad un canale autonomo di finanziamenti. In questo modo la produzione italiana si indirizzerebbe a cercare storie da raccontare per i giovani e tutto il settore ne guadagnerebbe. Si comincerebbe a uscire dalla dinamica della commedia italiana. Che poi, alla fine, quanti di questi film esportiamo? Penso pochissimi, anche rispetto a quanti ne produciamo.
Il messaggio di La gabbianella e il gatto, ad oltre vent’anni dall’uscita, rimane attuale: aiutare chi è in difficoltà a prescindere da dove arriva. Crede che dovrebbe essere rivisto da chi ci governa?
Da tutti. Non solo da chi ci governa. Ogni messaggio sociale è anche un messaggio politico. Ma è anche vero che i messaggi sociali vanno al di là della logica politica. Sono messaggi di fratellanza, di universalità, che spesso vengono disattesi. Abbiamo dei codici religiosi che ci fanno andare a messa la domenica – e io non sono tra quelle persone – ma manca poi un’etica che corrisponda alla religione che una persona ha deciso di seguire. Chi va in chiesa la domenica dovrebbe avere nella vita un’etica corrispondente ai 10 comandamenti. Sono molto semplici e facili da rispettare, ma non viene fatto.
In che senso?
L’usanza di andare a sentire un sacerdote, farsi il segno della croce, la comunione ogni tanto. Con questo la gente si sente a posto. Invece non è a posto perché non rispetta l’etica. Non esiste più il rispetto per il prossimo. Pensavo che il lockdown in qualche modo ci avvicinasse alla comprensione che esistono delle persone oltre a noi. Invece vedo spesso un atteggiamento ancora più di chiusura rispetto a come si era prima.
A distanza di anni cosa l’emoziona ancora di quel film?
Il cinema ha un ruolo importante nel raccontare. La gabbianella e il gatto ancora oggi viene visto dai bambini. È una grande soddisfazione per me e per Luis Sepúlveda. È una storia che ti prende e ti appassiona. Ricordo il pianto liberatorio finale del film in cui la gabbianella se ne va. E non lo fa solo perché comprende quanto sia importante vivere con i propri simili. La gabbianella, per i gatti del quartiere e per gli spettatori, diventa come il figlio che abbandona la casa dei genitori perché è arrivata l’età per farsi la sua vita. Nei nostri film dobbiamo raccontare le cose in cui crediamo, perché questo ci permette di convincere il pubblico della bontà e del messaggio che cerchiamo di dare.
Hai mai pensato di fare un film che non fosse d’animazione?
Sì, ci ho pensato. E ho anche in mente qualcosina. Però è un po’ prematuro parlarne. Così come è difficile entrare in un settore così blindato.
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