Renzo Rossellini è la Storia che si fa cinema e viceversa. È il figlio e custode della memoria del padre, il maestro Roberto Rossellini, l’amico di Ernesto Che Guevara e Salvador Allende, il produttore e distributore di un centinaio di film in pochi anni, molti di successo e altri considerati capolavori, tra Gaumont Italia e Artisti Associati, da 9 settimane e ½ di Adrian Lyne (1986) a La città delle donne di Federico Fellini (1980). Proprio quest’ultimo film è stato proiettato ieri in Piazza Grande al festival di Locarno, tra gli applausi tributati al produttore, Renzo Rossellini appunto, cui è stato assegnato il riconoscimento Lifetime Achievement Award – un premio che, mai in maniera così puntuale, sottolinea non solo un percorso lavorativo eccezionale, ma anche uno esistenziale fuori dal comune.
Rossellini si presenta con i due figli di ultimo letto, Raphael e Alessandro, che ne rappresentano perfettamente i lati del carattere. Attento e serio il primo, estroverso e devoto il secondo. A questo proposito, recuperate il suo riuscitissimo documentario The Rossellinis, con un’Isabella Rossellini soavemente spietata: “Ma l’ho apprezzata – dice Renzo – quegli aneddoti feroci su di me erano perfetti per il documentario e lei lo sapeva. Ha voluto farmi un regalo, è stata la solita perfetta stratega”.
Alessandro, che gli dona voce e ricordi – perché a sua volta custode della sua memoria, come Renzo lo è del padre – si dona con generosità. E così inizia una conversazione particolare, fatta di poche parole di Renzo, di integrazioni di Alessandro, di un aneddoto irresistibile di Raphael, di sguardi tra padri e figli che confermano le parole gli uni dell’altro, che ne integrano il tono e la direzione, un concerto di sentimenti, memorie, opinioni. Quasi come parlare con una legacy intramontabile.
Non si può non partire da Federico Fellini, di cui Renzo Rossellini disse: “Non c’era Papa abbastanza grande per Michelangelo, non c’è produttore abbastanza grande per Fellini”. Sorride, ricordando che lo chiamava “zio, perché frequentava casa di mio padre e mi ha tenuto sulle ginocchia. Era famiglia. Il film (La città delle donne, ndr) doveva costare 5 miliardi, finirono per diventare 20. Ma io ero così. Per me contava il prodotto definitivo. Per seguire i desideri del regista, la sua idea cinematografica, ero pronto a indebitarmi ben oltre le mie convenienze. Federico era un seduttore un po’ manipolatore, sapeva sempre come ottenere ciò che desiderava: arrivava a Cinecittà con la metropolitana, ma dovevo andarlo a prendere all’entrata con la macchina per portarlo allo studio 5. E lì ogni volta mi diceva: “Sai Renzo, ho fatto un sogno”. E di solito quell’attività onirica, a me, costava centinaia di milioni di lire, perché lui potesse realizzarla sul set. Ma come facevi a dire di no al regista dei sogni?”.
Gli scioperi di Hollywood
Dal passato si arriva al presente, prepotentemente. Su ciò che sta succedendo nel cinema statunitense, sulla mobilitazione di attori e sceneggiatori, Renzo Rossellini è deciso, sintetico. Ma non lascia alcuno spazio di manovra ai produttori e distributori, a quelli che dovrebbe vedere come colleghi. “Qui non parliamo di milioni di dollari, ma di miliardi di dollari che da anni vengono tolti dalle tasche dei lavoratori, e che sono stati predati dalle grandi multinazionali e ora dalle piattaforme. Non ci sono compromessi di sorta da poter fare in una diatriba di questo genere: c’è chi si è preso soldi che non gli spettavano, e categorie che ne sono state private. Quindi sono completamente a favore di questi scioperi”. E non potrebbe essere altrimenti, anche per il suo passato di attivista politico, sempre dalla parte dei lavoratori e mai del potere.
Il sesso nel cinema, come è cambiato
Su 9 settimane e ½ e la libertà di raccontare i costumi e il sesso ammette “un cambiamento radicale, anche in questo caso politico. Sono un uomo nato negli anni ’40 ed è cambiato tutto. La galanteria in alcuni casi può trascendere in molestia, e forse non c’è più la comprensione del mio mondo, della mia cultura, di chi è cresciuto in un altro universo e le cui intenzioni non possono essere giudicate solo da parole o gesti adesso ritenuti sconvenienti. Aprire la porta, il baciamano, cose che per me sono abitudini, a volte sono ritenuti invasivi e prevaricanti. Sono dalla parte del MeToo senza se e senza ma, sono figlio di un uomo modernissimo, che ha instaurato un rapporto paritario con una star mondiale come Ingrid Bergman, che decise di venire in Italia: un po’ come se ora Julia Roberts se ne andasse in Iran e sposasse Jafar Panahi. Comunque non credo che il sesso ora sia più noioso o pudico, ma solo più rispettoso di tutti”. Il risultato, forse, è un racconto del sesso meno fantasioso e libero: “Ora ci sono regole giuste, attenzioni più forti verso, per esempio, quello che noi definivamo senza cattiveria ‘sesso debole’. Il problema di quando ci sono molte regole è che la rappresentazione diventa troppo codificata. I recinti impedirebbero oggi la stessa esistenza di un film come quello di Adrian Lyne, che raccontava solo apparentemente un rapporto squilibrato, ma che aveva in Kim Basinger una figura femminile all’avanguardia. Diciamo che noi potevamo essere chiamati maschilisti, e che ora potremmo definire ‘sterile’ la rappresentazione del sesso. Ma in realtà sono entrambe definizioni figlie dei loro tempi. Il punto è guardare avanti: c’è ancora da scoprire tanto, nelle relazioni umane e nel modo di fare cinema. La città delle donne, non era forse, in quel 1980, un’autocritica del grande regista su come aveva raccontato fino a quel momento le donne? Quell’uomo ossessionato dalle donne, davanti alle femministe che la vogliono far finita con gli uomini, è una presa di coscienza notevole rispetto ai suoi tempi. Più moderna di molti film attuali”.
Così come l’unica opera di finzione da regista di Renzo Rossellini, l’episodio de L’amore a vent’anni (gli altri erano di Ophüls, Ishihara, Truffaut e Wajda), “che non fu capito, anzi fu criticato. Rivedendolo adesso trovo che sia buono. Cercavamo di capire come stesse cambiando il mondo e la società: gli spettatori erano in difficoltà quanto noi nel seguire quegli stravolgimenti. Poi, forse, ho pagato l’essere stato affiancato a maestri di così grande talento”.
Renzo Rossellini e il papà Roberto, l’ossessione della memoria
Si dice amareggiato “perché papà Roberto, per me che sono un partigiano della sua memoria, è sempre meno ricordato. Il suo lavoro, il suo messaggio, la visione dell’uomo che ci ha donato, la missione della promozione della cultura, tutto questo fino a pochi anni fa è stato il centro del mio impegno nel cinema. Ma evidentemente queste cose, soprattutto in Italia ma non solo, non vanno più di moda. Siamo in un momento storico in cui la Resistenza viene messa in dubbio, in cui il presidente del Senato italiano si permette di attaccare i partigiani per le Fosse Ardeatine. E all’estero non è che vada meglio. Abbiamo un governo che non riesce neanche a dire le parole ‘terrorismo neofascista’”.
Impossibile, pescando nella memoria, non tornare a Fitzcarraldo, “un’altra di quelle volte in cui più che al mio benessere ho pensato al bene del cinema, intervenendo per salvarlo. Il film si era arenato a tal punto che alla fine, a suo modo, l’opera è diventata uno sguardo sulla sua stessa produzione. Ma era un capolavoro, non potevo girarmi dall’altra parte”. E, come ricorda Raphael, depositario di aneddoti come il loquace Alessandro, Renzo non aveva paura di dire la sua, se era per il bene della Settima Arte. Anche se il lungometraggio non era suo. “Un giorno un amico mi fece vedere un film bellissimo. Ma il terzo atto era da tagliare, e glielo dissi. Non ebbi esitazioni al riguardo. Il produttore che mi aveva chiesto consiglio era Franco Cristaldi. E, d’accordo col regista, lo fece. Il film era Nuovo Cinema Paradiso“. Che, dopo essere passato tra gli applausi al festival EuropaCinema di Bari, diretto da Felice Laudadio, commercialmente non fu un successo. Con i tagli operati in seguito, arrivò addirittura l’Oscar per il miglior film in lingua straniera.
Una vita incredibile, premiata in Piazza Grande. Una vita che meriterebbe un film. “Eh, ho vissuto sempre pensando di non essere abbastanza, confrontandomi con cotanto padre. Ma ho avuto sette vite che andrebbero tutte raccontate, tra politica, cinema, promozione della cultura, produzione, distribuzione, racconti di famiglia. Potremmo farne un film, è vero: per interpretare me ci vorrebbe un incrocio tra De Niro e Pacino e, lasciatemi sognare, alla regia il mio amico e quasi parente, visto che ha avuto una bella storia d’amore con Isabella, Martin Scorsese”.
Il titolo potrebbe essere: God Save Renzo Rossellini.
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