Un volto angelico, quasi infantile, su un corpo che è quello di un fuscello: ma perché Timothée Chalamet piace così tanto? Se lo chiede soprattutto chi pensa che questo ragazzo di 28 anni sia ancora l’adolescente semi-sconosciuto e “fuori posto” che ha conosciuto con Interstellar di Christopher Nolan. Carino e ingenuo, con un forte accento newyorchese lontano anni luce da Hollywood.
Chalamet però, purtroppo o per fortuna, di ingenuo non ha nemmeno un capello dei suoi fluenti ricci da putto. È un divo costruito con cura e parsimonia di dettagli biografici, un’immagine di ricercata perfezione – nell’abbigliamento, nelle espressioni, nella postura, persino nelle fantomatiche nuove fidanzate (sì, proprio Kylie Jenner) – che si frantuma e si ricrea ogni volta che sorride con il suo fare sgangherato e ogni volta che ride a voce troppo alta e si lascia andare.
È il contrasto fra l’apparenza e la personalità ad alimentare una crescente fascinazione per “Timmy” e l’illusione che sia al tempo stesso una star irraggiungibile e l’amico con cui improvvisare un paio di lanci a basket in qualsiasi campetto di quartiere a Manhattan.
Tutti lo vogliono, lui non appartiene a nessuno
Non serve scavare troppo a fondo nella memoria collettiva, perché ciò che sta accadendo con Timothée Chalamet è un pattern che si ripete sempre uguale e sempre diverso ogni volta che a Hollywood nasce una stella. L’ultima volta era accaduto, in modo così pervasivo, proprio con l’attore che Chalamet stesso ha dichiarato più volte di aver preso a modello, Leonardo DiCaprio. E il segreto, tanto oggi quanto negli anni di Romeo + Juliet e Titanic è solo uno: un corpo desiderato ma idealizzato e inafferrabile. Quasi de-sessualizzato, in fondo.
Tutti, quindi, vogliono Chalamet e lui trova l’equilibrio per non scontentare nessuno, restando sempre a debita distanza. Così i registi lo inseguono, costruendo i personaggi sul suo volto e sulla sua personalità, quando il lavoro di un attore dovrebbe essere l’esatto opposto. Paul King l’ha scelto per il suo musical Wonka senza nemmeno un provino, ma soltanto guardando online i video in cui canticchiava a scuola, compreso probabilmente il rap virale inventato un po’ per scherzo e un po’ per imparare le formule di statistica. E Denis Villeneuve non ha avuto dubbi su chi scegliere per il ruolo di Paul Atreides nel suo Dune, dicendo: “Avevo bisogno che il pubblico credesse che un solo ragazzo sarebbe stato in grado di creare e guidare un esercito. E di guidare poi un intero pianeta”. Nessun altro nome era sulla sua lista, oltre Timothée Chalamet.
Molto più di un Beautiful Boy
Se tutto questo rumore di fondo dietro Chalamet si fermasse per un attimo, in realtà, non sarebbe poi nemmeno così difficile riconoscere che il ragazzo ha talento. E molto, anche. Non è solo un bel viso scelto per gonfiare gli incassi al botteghino e lo ha dimostrato già in Chiamami con il tuo nome (2017), film in cui Luca Guadagnino gli permette di muoversi libero ma sempre dentro i confini della storia d’amore raccontata, fino a far esplodere tutte le sue emozioni nel lungo primo piano finale, che già da solo vale gran parte della nomination all’Oscar ricevuta quell’anno da Chalamet. Stessa nomination per cui arriva a prendere pubblicamente le distanze dal film realizzato poco dopo per Woody Allen, Un giorno di pioggia a New York, temendo ripercussioni sulla sua carriera all’alba del movimento #MeToo.
E mentre fra il 2018 e il 2019 Chalamet prende le parti di un certo cinema e passa sotto l’ala protettrice di Greta Gerwig, che ne fa un suo attore-feticcio in coppia con Saoirse Ronan (Lady Bird e Piccole Donne), spesso ci si dimentica che in quel breve lasso di tempo è anche co-protagonista di un film straordinario e straziante, Beautiful Boy di Felix Van Groeningen. Interpreta il figlio tossicodipendente di uno Steve Carell centratissimo nel ruolo drammatico di un padre di famiglia, tormentato dal conflitto tra il malessere del suo primogenito e tutta un’altra famiglia da tenere in equilibrio.
Grazie a Luca Guadagnino, che ancora una volta lo mette alla prova con una storia d’amore non facile in Bones & All, nel 2022 dà ulteriore prova di come qualsiasi personaggio fra le mani e attraverso il corpo di Chalamet riesca ad avere una risonanza particolare nel pubblico. Anche un cannibale assassino, un “mostro” impregnato di sangue, può essere amato senza riserve.
La moda, l’arte e la queerness: un’immagine stratificata
Dal 2017 a oggi Timothée Chalamet è stato chairman del Met Gala, ha collaborato ad alcune installazioni dell’artista e fotografo JR ed è diventato testimonial di importanti marchi di gioielli e case di alta moda. Ricordando solo l’ultima di numerose iniziative, ha contribuito a creare la collana di pietre preziose Cartier che ha indossato durante la promozione di Wonka. E attraverso uno spot pubblicitario di Chanel ha collaborato per la prima volta con Martin Scorsese.
Progressivamente, durante ogni suo red carpet il vero evento è la scoperta dell’abito che ha scelto di indossare, soprattutto quando a vestirlo è lo stilista francese Haider Ackermann, che ha firmato alcuni dei suoi outfit più audaci, come il completo rosso a schiena scoperta indossato sul red carpet a Venezia nel 2022. La sua è un’immagine stratificata che non esiste e non resiste soltanto dentro i limiti del cinema.
La queerness di Chalamet, in realtà, va al di là dell’orientamento sessuale. È una dichiarazione più ampia, di libertà e leggerezza. Riguarda il modo in cui si vive il proprio spazio nel mondo: con aria beffarda e scanzonata, per decisione consapevole e non per immaturità o presunta innocenza. E forse il mistero è tutto qui. Chalamet piace perché è queer, perché sceglie i propri confini e non li lascia scegliere ad altri per sé.
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