Lorenzo Cherubini, Jovanotti, è stato ospite de “Le Conversazioni” di Antonio Monda. Era la sua prima volta a Capri: “Dell’Italia conosco bene tutti gli stadi, qualche spiaggia…”, ha scherzato. Accolto sull’isola con grande entusiasmo (era insieme a Francesca Valiani, fotografa, sua moglie) Jovanotti ha dialogato sul tema del viaggio. “La strada è sempre la risposta”, ha detto citando i molti libri, i film che hanno segnato la sua grande passione di esploratore, ciclista, camminatore di sentieri. Con Antonio Monda, docente e critico cinematografico, organizzatore di eventi, hanno rievocato i tempi che hanno cementato la loro amicizia, quando Jovanotti trascorse un lungo periodo di studio e lavoro a New York, dove Monda vive.
In esclusiva per The Hollywood reporter Roma – media partner dell’evento – qualche frammento del racconto di tutto ciò che, nel viaggio, ispira l’arte di Jovanotti. Il senso del tempo, l’attesa, la pazienza e l’ostinazione, la sorpresa capace di accogliere il nuovo, lo sguardo aperto. Ogni volta che ho bisogno di ritrovare il mio punto di partenza e di equilibrio, ha detto l’artista, mi metto in viaggio.
Qual è il criterio con cui scegli un posto da esplorare?
È un po’ come scrivere una canzone, un’ispirazione, una parola, un libro che hai letto, una persona che hai incontrato, una musica. La musica ha sempre un ruolo importante, un romanzo, un libro di viaggi.
E per il viaggio in Colombia quale è stata la molla?
La Colombia di Gabriel Garcia Marquez, che per me è stata una epifania letteraria avvenuta tanti anni fa che poi ho approfondito. È un amore vero. Lo uso come un tapis roulant.
Romanzo preferito?
Probabilmente Cent’anni di solitudine, che è un capolavoro assoluto della storia della letteratura. Mi piace anche il Marquez giornalista, i suoi racconti. Mi piace proprio lui, fisicamente, è un bel vecchio, ha un sorriso contagioso. Spesso rivado a vedere le sue interviste su YouTube e il suo modo di fare mi porta a dire “vorrei essere così”. Marquez poi mi ha aperto altre porte, per esempio mi ha fatto conoscere il poeta Alvaro Mutis Jaramillo, che è un altro gigante. La Colombia è un Paese di grande letteratura, di grandi poeti.
Il Paese ha soddisfatto le aspettative che ti eri fatto leggendo?
Io non ho mai aspettative. Per non avere delusioni vi consiglio di non avere aspettative. È proprio una tecnica che io utilizzo in generale. Non mi aspetto mai niente.
Su questo viaggio hai realizzato una serie Aracataca disponibile su Raiplay
22 puntate della durata di 15 minuti, fatte tutte con il mio smart phone e una GoPro. 22 come sono le carte dei tarocchi. Una parte importante di questo mio viaggio è stata una sosta di due giorni che ho fatto nel Paese dove Marquez è nato e vissuto fino ai 7 anni. Poi ci è tornato con la mamma a 24 anni per vendere la casa. All’epoca aveva già scritto alcuni racconti importanti, scriveva già per qualche quotidiano, era già giornalista. Lì ha avuto la sensazione che il cuore della sua narrativa doveva essere quel luogo. Aracataca per Marquez è come dire Rimini per Fellini. E io ho voluto raccontarla nel documentario.
Quando sei andato in Sud America hai pensato anche a Bruce Chatwin?
Si. Fu il mio primo grande viaggio in bicicletta. E fu proprio in Patagonia. Feltrinelli ha appena ripubblicato il libro che avevo scritto allora e che fu un grande successo. Erano dei piccoli racconti di viaggio fatti nel ‘98 e si chiamava Il Grande Boh!. C’è anche un film argentino Il viaggio di Fernando Solanas che racconta la storia di un ragazzino che parte da Ushuaia e va in bicicletta fino a Buenos Aires da solo. Lo guardai tanti anni fa e volevo tanto anche io fare quel percorso lì.
Ti piacciono i film sui viaggi?
Tutto di Werner Herzog. Come documentarista mi fa sempre scoprire delle cose bellissime. Ma anche i suoi film Fitzcarraldo e Aguirre, furore di Dio sono in qualche modo un viaggio. Ho sempre considerato un film di viaggio anche Francesco, giullare di Dio di Roberto Rossellini. Perché Francesco è proprio un vagabondo è uno che se ne va in giro. Nel cristianesimo il viaggio è fondamentale. I santi sono sempre in giro. Gesù andava sempre in giro. Il Vangelo è un libro di viaggio. Nel senso che puoi visitare i luoghi santi usando il Vangelo come guida turistica. Nella santità c’è sempre un elemento di spostamento del corpo.
E la letteratura da viaggio?
A me piace moltissimo ma non la chiamo letteratura di viaggio è semplicemente letteratura. I libri scritti bene. Bruce Chatwin consigliava La via per l’Oxiana di Robert Byron, un capolavoro oppure Tempo di regali di Patrick Leight Fermor. Un libro bellissimo è Le voci di Marrakesh di Elias Canetti che è meraviglioso. Ci sono i libri di Freya Stark, una viaggiatrice che ha vissuto anche nel nord Italia, ed è stata una delle prime figure femminili a inoltrarsi nei paesi del Medio Oriente, nei Paesi Arabi. Sull’Africa mi piace molto anche Dark Star Safari di Paul Theroux, è uno scrittore che mi piace molto. Dalle città invisibili di Italo Calvino è un altro libro che io amo moltissimo che rileggo come se fosse un breviario, aprendone una pagina a caso.
Quanto è importante viaggiare nella vita?
È quello che mi sta più a cuore. Anche nel mio ruolo di rockstar che comunque si connette con tanta gente, anche più giovane di me, mi piacerebbe stimolare i ragazzi a partire, a mettersi in strada. È proprio una cosa che io sento come una specie di missione. Perché mi sembra che non si faccia più e questo per me è un grandissimo peccato. Il fatto che la vita si riduca ad uno smartphone.
Gli smartphone rappresentano dei limiti?
È un limite grande che ci diamo noi. Per quanto sia un mezzo strepitoso. Io stesso ne sono un fruitore e un frequentatore assiduo. Utilizzo tutte le sue possibilità e quelle del mondo digitale. Però non può essere solo quello. L’esperienza dello spostarsi nel tempo, nello spazio, è un’esperienza a cui non si deve rinunciare. Quando tu una cosa non la conosci, non la sai e quindi non sai cosa ti perdi.
I giovani oggi preferiscono viaggiare digitalmente?
Poco tempo fa rileggevo La polvere del mondo di Nicolas Bouvier che parla di due ragazzi che negli anni 70 partono dalla Francia e arrivano fino in India con una due cavalli. All’epoca queste cose si facevano. Quel tipo di esperienza così forte che poi ti cambia la vita, ti apre, ti fa diventare un altro, ti fa diventare più forte, più fragile anche, più attento agli altri, alle cose che accadono. Dov’è questo oggi? A volte ho la sensazione che siamo in pericolo e il pericolo è quello di avere l’illusione della scelta.
Scegliere è diventata una illusione?
L’illusione della scelta vuol dire che tu sei nel web e credi di avere il mondo a tua disposizione, ma in realtà è il mondo che viene verso di te, non sei tu che vai verso il mondo. E questo è un grande guaio, perché attraverso gli algoritmi, attraverso le intelligenze artificiali, che sono delle invenzioni utilissime e strepitose, pensiamo solo nell’ambito della medicina quanto è importante il progresso che si fa con l’intelligenza artificiale, ma quello che accade è che poi l’algoritmo ti fa vedere solo il mondo che ti assomiglia, non vedi mai cosa accade di fianco.
C’è un posto che la prima volta non ti è piaciuto ma che poi conoscendolo lo hai amato?
La prima volta che sono andato a Rio de Janeiro, ho detto no, questo posto non è il mio posto. Poi ci sono tornato per lavoro e me ne sono innamorato. Io non mi fido della prima impressione. Succede anche con le persone. Spesso la prima impressione non è detto che sia quella giusta, così come il famoso colpo di fulmine. Spesso io mi sono ricreduto. Rio adesso ti piace molto.
Cosa non ti era piaciuto?
L’atmosfera. Non capivo perché molti mi promuovessero Rio de Janeiro come un posto magico. Ero lì e non lo capivo. Continuavo a ripetermi ci sarà un motivo per cui le persone sono attratte da questa città. Ci sono tornato poi un paio di volte per lavoro è in effetti è uno dei posti più belli del mondo.
Il più bel ricordo?
Una volta ci hanno portato con mia moglie in un museo dove è conservato il diario di bordo di Sebastiano Caboto, uno dei marinai che arrivò nei primi del 500 a Rio è si trovò davanti questa vegetazione spettacolare, donne meravigliose che portavano frutta e fiori a queste barche che arrivano da altri continenti, animali di ogni tipo. Lui scrisse “Siamo arrivati in un posto unico, non so se questo è il paradiso ma se non lo è c’è molto vicino”. Da un punto di vista della natura è veramente unica. È una città che non ha periferie, nel senso che ha le periferie nel centro. Questo la rende una metropoli unica al mondo. Di solito i grandi agglomerati urbani hanno un centro e poi sono ci sono le periferie invece Rio è fatta in modo che queste cose siano intrecciate. Ci sono le favelas in centro. Questo crea i numerosi problemi della città ma crea anche l’energia, la tensione che poi ha generato una cultura meravigliosa. Musicalmente Rio è stato forse uno dei posti più influenti al mondo nel Novecento. Ha inventato la samba, la bossa nova, è incredibile.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma