A Cannes debutterà il prossimo, misterioso e attesissimo, film di Martin Scorsese. Misterioso perché se ne sa ancora poco, attesissimo per il cast e il soggetto. Killers of the Flower Moon avrà come protagonisti Leonardo DiCaprio, Robert De Niro, Lily Gladstone, Brendan Fraser e Jesse Plemons. Tratto dal romanzo omonimo di David Grann, racconterà la storia di una serie di omicidi di importanti rappresentanti della tribù indigena degli Osage che viveva fra l’Oklahoma, il Missouri e l’Arkansas. Siamo nei primi anni Venti, da poco si è scoperto un ricco giacimento di petrolio, il tribunale ha riconosciuto agli indigeni il diritto di essere pagati per lo sfruttamento, ma i destinatari dei proventi cominciano a essere uccisi, uno per uno. Non sappiamo che taglio verrà dato al film, ma non ci stupiamo di trovare qui Leonardo DiCaprio: Killers of the Flower Moon parla di colonialismo e sfruttamento di risorse. Titanic è un lontano ricordo: la sua carriera di attore impegnato nella difesa dell’ambiente è ben nota.
Quell’incontro a vent’anni con Al Gore
Tutto comincia nel pieno degli anni Novanta, il vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore e il giovane attore di origini italiane parlano di riscaldamento climatico. A dir la verità, è la prima volta che il giovane attore ne sente parlare. Ha appena vent’anni. Al Gore ha disegnato il pianeta sulla lavagna e tutto intorno ha tratteggiato l’atmosfera. La terra sembra piccola. Circondata da quell’atmosfera che si scalda, pare fragile. Il vicepresidente parla al ragazzo di calotte polari che si scioglieranno, del livello del mare che si innalzerà. Con poche parole crude accenna a un futuro di inondazioni, siccità, incendi. “Sembrava la trama di un film di fantascienza” dirà anni dopo il giovane attore.
Il giovane attore era appunto Leonardo DiCaprio e Al Gore doveva aver trovato in lui orecchie ben disposte ad ascoltarlo.
Fra asfalto e studi televisivi
Cresciuto nel centro di Los Angeles, la sua infanzia era stata lontana dalla natura e immersa nella velocità della metropoli, fra asfalto macchine e studi televisivi. Già a tre anni aveva partecipato al primo spettacolo televisivo per bambini (Romper Room), poi era stato il turno della serie Genitori in blue jeans e della soap opera Santa Barbara: ma nei momenti liberi da scuola e recitazione il suo luogo di rifugio era il museo di storia naturale.
Un luogo silenzioso e pieno, fra le altre cose, di immagini di animali estinti in secoli o decenni recenti, come il dodo o la tigre della Tasmania: estinti, imparava, per l’incuria o per la caccia indiscriminata dell’uomo.
Nel 1996 DiCaprio era stato Romeo in Romeo + Giulietta di William Shakespeare del regista australiano Baz Luhrman e nel 1997 con Titanic avveniva la sua consacrazione sugli schermi di tutto il mondo: un film che racconta di un pittore squattrinato che viaggia in terza classe e che si innamora di una giovane aristocratica, e del tragico naufragio del transatlantico che nel 1912 si scontrò con un iceberg. È il ragazzo di terza classe a morire, e la ragazza di prima classe a salvarsi: in un film che parlava di tutt’altro, un colossal sentimentale, c’era già tutta l’ingiustizia (climatica o di classe, fa poca differenza) che di lì a poco sarebbe entrata nel suo vocabolario e immaginario.
La fondazione no profit di Leonardo DiCaprio
Non passò molto tempo – qualche viaggio e qualche intervista a politici fra cui Bill Clinton per comprendere meglio le ragioni della crisi climatica e l’inadempienza dei governi – e il ventiquattrenne DiCaprio fondò infatti la “Leonardo DiCaprio Foundation”: un’organizzazione no profit dedicata a creare consapevolezza rispetto al tema e a difendere attivamente l’ambiente e i diritti dei popoli indigeni, attiva nella foresta Amazzonica e sostenitrice di SeaShepherd e altri progetti per la difesa della biodiversità marina. Da allora sono innumerevoli le donazioni e raccolte di fondi portate avanti per cause che vanno dalla salvaguardia delle tigri del Nepal alla lotta al bracconaggio, dal sostegno alle vittime del terremoto di Haiti alla difesa dei diritti dei nativi americani.
Anche la carriera cinematografica di DiCaprio, letta in questa chiave, è eloquente. Gangs of New York di Martin Scorsese, Prova a prendermi di Steven Spielberg o Django Unchained di Quentin Tarantino sono film in cui scorre spesso una vena di critica sociale.
Dal ghiacciaio argentino all’Oscar
Ma forse non è un caso che a fronte di innumerevoli ruoli indimenticabili – The Wolf of Wall Street di Scorsese, il Grande Gatsby di Baz Luhrman (entrambi del 2013) o Shutter Island del 2010 – l’Oscar sfiorato mille volto lo abbia infine vinto nel 2016 con Revenant, diretto dal regista messicano Alejandro Inarritu: una storia che fa eco allo sterminio di specie animali di popolazioni locali da parte degli esploratori statunitensi nel corso dei secoli e in particolare nell’Ottocento. Anche la realizzazione di Revenant è significativa. Ambientato in Nord Dakota, il film doveva essere girato interamente in Canada, l’arrivo prematuro del caldo e della primavera ha costretto la troupe a spostarsi in Argentina, nei pressi del ghiacciaio Perito Moreno: uno dei pochissimi ghiacciai al mondo ancora in avanzamento.
Una satira amara sulla fine del mondo
Nel 2021 DiCaprio è anche protagonista di Don’t look up (scritto e diretto da Adam McKay), forse il più conosciuto (e dibattuto) film-allegoria del riscaldamento globale: una satira amara che mostra una classe politica indifferente e incompetente, totalmente incapace di affrontare una catastrofe come una cometa che presto distruggerà il pianeta terra – a meno che… a meno che non si faccia qualcosa. Non qualunque cosa: quello che serve. Non trovando escamotage per riuscire anche a sfruttarla, quella cometa. Solo quello che serve per evitare la collisione.
Killers of the Flower Moon si inserisce nello stesso solco. Fa un passo avanti nel discorso e un passo indietro nella storia, in un momento di accelerazione di sfruttamento delle risorse, quando la corsa all’oro diventa corsa all’oro nero. Non si sapeva quanto sarebbe costato in termini ambientali ma già era chiaro che avrebbe fatto la fortuna di pochi e la sfortuna di molti.
Asfalto e petrolio, foreste e disuguaglianze
E ancora. Nel documentario del 2016 Punto di non ritorno – Before the Flood, DiCaprio viaggia dall’Antartide all’Indonesia, dall’Amazonia a Kribati in Oceania: mostra isole che presto saranno sommerse e ghiacci già estremamente ridotti, soppesa i consumi dell’occidente di fronte ai milioni di persone che non hanno neanche accesso all’energia, parla di asfalto e petrolio, di metano, foreste, allevamento intensivo. Racconta le disuguaglianze su cui poggia la crisi ambientale e sorride davanti alla narrazione secondo cui gesti individuali, “marginali, come la sostituzione di una lampadina” potessero in qualche modo risolvere il problema.
Messaggero di pace per l’Onu
Nel 2014 Ban Ki-moon lo nominò “messaggero di pace”: in altre parole, ambasciatore Onu contro i cambiamenti climatici. Giornali e telegiornali soprattutto americani e soprattutto negazionisti (ma non solo) derisero la notizia, pensando erroneamente che il ricco attore si fosse svegliato all’alba dei quarant’anni improvvisandosi ambientalista. È in questa veste che due anni più tardi Leonardo DiCaprio si trovò di fronte ai rappresentanti delle Nazioni Unite riuniti a New York per siglare l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici raggiunto nel corso della Cop21. Li apostrofò così: “Voi siete l’ultima speranza della Terra. Voi sarete applauditi dalle future generazioni, o sarete condannati”.
Solo tre anni dopo le future generazioni si presentarono indignate davanti a quella stessa platea, guardando negli occhi quegli stessi capi di stato e governo e invadendo le strade di quella stessa New York. Greta Thunberg veniva a trasmettere le parole di condanna di tutti i giovani del mondo: “How dare you?” avrebbe chiesto, con molta più rabbia e la fiducia frantumata.
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