In questi giorni Martin Scorsese è a Roma, ospite della Casa del Cinema grazie alla collaborazione con i soci fondatori della Fondazione Cinema per Roma (Roma Capitale, Regione Lazio, Cinecittà, Camera di commercio industria, artigianato e agricoltura di Roma e Fondazione Musica per Roma).
In occasione della sua visita al Centro Sperimentale di Cinematografia, THR Roma ha pensato di offrire agli allievi del corso di sceneggiatura, guidati dalla docente Gloria Malatesta, l’opportunità di raccontare l’incontro tra uno dei massimi cineasti della storia e gli allievi della Scuola Nazionale di Cinema, condotto dal Presidente della Fondazione Cinema per Roma Gianluca Farinelli: il risultato è uno script – pardon: una chat di gruppo – che ripercorre racconti e consigli, aneddoti e suggestioni.
In esclusiva per i lettori di The Hollywood Reporter Roma.
Fuori orario: cronaca di un giorno con Scorsese
Adele, Lorenzo, Valentina, Mara, Giulia detta Julie, Martino. Tra i venti e i ventiquattro. Da nord a sud passando per l’Esquilino. Tutti studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia in fremente attesa di Martin Scorsese, invitato a scuola per tenere una masterclass. Tutti o quasi sono vestiti meglio del solito (Lorenzo no, ma per snobismo).
Tutti o quasi sono arrivati incredibilmente puntuali o addirittura in anticipo, anche Mara che non lo è mai. Tutti tranne Martino, che pure è stato chiamato così proprio in onore di Scorsese, ma si è ricordato troppo tardi della videocassetta di Taxi Driver che vuole far autografare al suo mito. Adesso, con il motorino di Valentina, attraversa la città in direzione opposta al Centro Sperimentale, verso Testaccio a casa dei nonni.
I miei genitori si sono conosciuti in un cineclub appena prima che sparissero, nei tempi in cui, come dirà Scorsese durante la masterclass, il cinema lo vedevi solo sul grande schermo. E non ce n’era una varietà immensa e indistinta come oggi. Allora le cinematografie degli altri paesi erano poche, e ogni film era una frontiera verso pianeti sconosciuti. Si viaggiava con il dito sul mappamondo, la mente nella fantasia e lo sguardo attraverso i film. Adesso c’è una libertà enorme di scelta e di visione ma forse, proprio per questo, ci si perde più facilmente. Forse è più difficile trovarsi quando potresti essere così tante cose differenti.
Per questo Scorsese consiglierà di leggere e studiare, ascoltare e guardare: libri, film, opere d’arte, saggi, musica, e non importa se poi buttiamo via tutto ciò che non sentiamo affine, perché anche così si trova la propria voce. Io però la sua voce non la sento ancora, perché quando finalmente recupero il VHS di Taxi Driver scopro che mi hanno rubato il motorino di Valentina. Potrei e dovrei disperarmi, invece cerco di capire come arrivare a scuola in tempo, ascoltare Scorsese, e trovare il modo migliore di dirlo a Vale. Per farmi perdonare le proporrò di guardare assieme Tokyo Story di Ozu (sono sicuro che Scorsese lo citerà e che Valentina lo odierà proprio come è successo a Scorsese giovane con De Palma giovane).
Intanto al CSC gli studenti hanno preso posto in aula magna. Qualcuno si apposta alle finestre sperando di vederlo per primo, ma per ora si intravede solo un cielo color piombo molto cinematografico. C’è un silenzio emozionato, si bisbiglia come se si sperasse di sentire i passi del maestro in arrivo… Julie invece non smette di digitare messaggi a Giorgio che le ciancica il cuore e, dal Pigneto, non sembra intenzionato a risponderle. Non si smuove neanche quando Adele le dà una gomitata perché sembra che Scorsese sia arrivato, mentre di Martino non c’è ancora traccia. Ed ecco allora che immancabile prende posto nell’aula magna la protagonista dei nostri tempi… LA CHAT DI CLASSE.
Adele: Martino dove sei? ci siamo già seduti!
Martino: non potete capire che m’è successo! tenetemi il posto vi prego.
Valentina: non è che sei andato a sbattere? ??
Martino: no no peggio, poi vi spiego.
Adele: oddio sta entrando, Martino dove seiiii
Martino: c’è una manifestazione, siamo bloccati
Adele: siamo chi?
Martino: io e un signore gentile che mi ha dato un passaggio
Valentina: scusa, il mio motorino?
Martino: eh poi ti spiego.
Valentina: cosa devi spiegarmi?
Lorenzo: ahia.
Mara: la piantate!
C’è un istante di silenzio che sembra preludere all’entrata del maestro. Invece compare una giovane donna con un passeggino. È un’apparizione insieme incongrua e lieta. Il bambino ha grandi occhi azzurri e capelli rossi. Si sussurra che sia il nipote o la nipote. Come prima Julie non vede nulla, solo il suo schermo.
Julie: ragazzi, ma secondo voi devo lasciarlo?
Lorenzo: @Julie non è il momento.
Martino: mandate foto! che sta dicendo?
Lorenzo: ha chiesto di te.
Martino: davvero?!
Lorenzo: si è guardato intorno e ha chiesto come mai non ci sei.
Mara: Martino dai… mica ci credi?
Martino: con tutte le lettere che gli ho scritto…
Ed eccolo che Scorsese entra e tutti i telefonini sono in aria come gli accendini accesi ai concerti perché in quest’aula Martin Scorsese è come Mick Jagger o Bruce Springsteen in uno stadio e incontrarlo è un’emozione unica. Anche se ti senti già un artista e certe cose le reputi un po’ da bambini, eccoti ad ascoltare quell’uomo e a chiederti d’un tratto come si diventa artisti.
Julie: No vabbè, ma questa cosa era bellissima. mi viene da piangere già.
Martino: oh che ha detto!?
Adele: che da piccolo ascoltava la musica swing dal giradischi e intanto guardava fuori dalla finestra e vedeva la vita e i rumori della vita che si mischiavano alla musica come una colonna sonora, per questo ama certe inquadrature.
Martino: ma che vedeva fuori dalla finestra?
Valentina: i macellai che squartavano gli agnelli, i bottegai che cacciavano via i topi, cose così…
Martino: anche io ho visto un topo stamattina! è un segno!
Mara: che schifo.
Julie: ma con la musica swing di sottofondo, capito! è poetico
Lorenzo: @Martino a Roma non vale, comunque Scorsese ha detto una bellissima frase, te la dedico: solo perché vuoi essere come qualcuno non significa che hai quella vocazione.
Mara: ma stava parlando di quando da ragazzo voleva fare il prete perché lo era il suo mentore! stai zitto va. Marti dove sei?
Martino: Lorenzo la mia unica vocazione sono i tramonti. Vi ricordate l’uomo gentile che mi ha dato un passaggio? non era gentile. mi ha fatto scendere, si è messo a ridere ed è andato via. ora sto aspettando un autobus che a quanto pare esiste solo qua. non ha un numero, non ha una lettera. è l’autobus §.
Lorenzo: Scorsese ha appena detto che non gli piace scrivere film con troppo intreccio. inventatene un’altra.
Adele: la sceneggiatura che gli voglio far leggere è senza trama, allora ho una possibilità!!!
Julie: invece la mia storia con Pietro è senza speranza e ha tantissima trama.
Adele, Mara, Valentina, Lorenzo: @Julie BASTA!
Mentre Farinelli gli fa le prime domande, i ragazzi sono ancora in quella terra di nessuno dove le questioni della loro vita privata premono per mantenere il proprio spazio e le parole di Scorsese si fanno largo pian piano e le allontanano un poco e poi sempre di più. Come si è fatto largo dentro di lui il cinema di Ozu, che all’inizio non capiva. Per lui, giovane italoamericano newyorkese, quel mondo lontano e quella cultura erano troppo distanti, eppure nella sala dove ha visto Tokyo Story assieme a Brian De Palma, che sbuffava e proprio non lo digeriva, negli ultimi quattro minuti ha sentito un’emozione fortissima che l’ha portato a studiare e a cercare di comprendere quel Giappone che gli si è fatto meno lontano e l’ha portato, molti anni dopo, fino a Silence.
Martino: lo sapevo che ne avrebbe parlato!
Adele: dice che non bisogna chiudersi a ciò che non sentiamo immediatamente vicino.
Valentina: ma scusate qualcuno l’ha visto Tokyo Story?
Mara: no….
Adele: ha detto che piace tantissimo anche a DiCaprio.
Ed è come per chiudere il cerchio che Scorsese racconta di quando DiCaprio gli manda un messaggio. Ai ragazzi spiega: “Io non sono pratico dei messaggi ma penso sia una cosa importante, così lo richiamo. È a casa con il Covid e mi dice: guarda che ho visto uno dei film più belli mai fatti, si chiama Tokyo Story!”
Julie: a me piace tanto DiCaprio, quindi forse mi piace anche Ozu…
Adele: me lo devo vedere, magari mi dà ispirazione per la mia sceneggiatura.
Martino: che altro dice?
Mara: ha raccontato la sua infanzia. quand’era piccolo i suoi non volevano che facesse sport o che si emozionasse perché era asmatico. veniva da una famiglia di operai e in casa non c’erano libri. e quindi ha imparato a leggere la realtà attraverso le immagini.
Martino: anch’io avevo l’asma…
Julie: ma solo io ho notato che si è commosso?
Lorenzo: sì, oggi sei troppo emotiva.
Martino: ragazzi non so se ce la faccio ad arrivare. almeno ditemi tutti i consigli che dà, vi prego.
Adele: di guardare i film del passato per trovare la propria voce. e che quando si è giovani non è facile capire cosa si vuole raccontare, perché ancora si conosce poco la vita. boh, io mi sento pronta.
Lorenzo: praticamente quello che dicono tutti…
Julie: io non lo so se sono pronta a lasciarlo…
Adele: @Lorenzo sei pesante.
Il tempo passa mentre le domande che hanno mandato si susseguono e ricevono una risposta che è sempre un ragionamento e insieme il racconto di quell’esperienza unica di un artista che non dice come si deve fare ma come è successo a lui. Parla del suo rapporto con gli attori, di quello con De Niro con cui non hanno bisogno di parlare perché si conoscono da quando hanno sedici anni e quando gli dice «un tipo col cappello», De Niro sa perfettamente chi era quel tipo. Scorsese lo dice e un po’ sorride, un po’ sembra quasi commuoversi, un po’ mima dei gesti, abbozza dei dialoghi di momenti passati. E si capisce che ancora adesso c’è in lui quel ragazzo che ha frequentato assieme ad altri trenta la scuola di cinema a NY e discuteva con De Palma e gli altri del cinema che avrebbero fatto. Ancora c’è quel giovane cineasta che voleva spiegare ad un amico che un’inquadratura è come guardare e dove.
Martino: è ancora lì? Sono quasi arrivato.
Mara: mi dispiace sta andando via l’applauso finale…
Adele: che dite? Vado ora a dargli la mia sceneggiatura?
Lorenzo: no, per carità.
Martino: zitti. io stavo entrando, lui stava uscendo. l’ho visto. gli ho detto tu sei il motivo per cui voglio fare cinema. lui mi ha risposto che io sono il motivo per cui lui vuole ancora fare cinema…
Il cinema in fondo è questo, farci scordare chi siamo e insieme ritrovarci. In un altro mondo, in un personaggio che non siamo noi ma ci ricorda chi potremmo essere. Come il prete che disse a Scorsese: c’è un mondo che può essere diverso, un’altra vita da scoprire. Come accade a Julie. Che si scorda di Giorgio e si mette a scrivere un fantasy femminista. E a Valentina che si immagina assieme a Martino a bordo di un motorino che non c’è più, se non in quel fotogramma che corre su uno schermo.
di Federico, Chiara, Dorotea, Sofia C., Vera, Giulio, Carlo, Giacomo, Sofia V.
(allievi del primo anno del corso di sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia)
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