Un’altra storia, di Antonio Monda: e se fosse stato Gianni Morandi a tenere I pugni in tasca?

Un film eversivo, che il regista appena ventiseienne realizzò con spirito autobiografico, al punto da pensare, ancor prima di arrivare al cast finale, di interpretarlo in prima persona o affidarlo a una coppia insolita dello spettacolo (vedi alla voce Carrà)

Ribelle ed eversivo, I pugni in tasca di Marco Bellocchio non è solo uno dei film davvero imperdibili della storia del cinema italiano, è anche uno degli esordi alla regia più potenti che si possano immaginare. Racchiude al tempo stesso il contesto storico e culturale in cui nasce (il 1968) e la biografia di un ragazzo che si affaccia all’età adulta affrontando prima di tutto la sua famiglia.

È una storia cupa, oltre che molto personale, al punto che Bellocchio aveva pensato di riservare a se stesso il ruolo del protagonista Alessandro. Ebbe poi l’idea di affidare il personaggio a uno dei simboli del “bravo ragazzo italiano” per eccellenza in quegli anni, Gianni Morandi, che aveva anche accettato con entusiasmo prima di essere bloccato dalla sua stessa casa discografica. La Rca, infatti, temeva che un ruolo del genere (che arriva fino al matricidio) avrebbe rovinato per sempre la carriera del cantante.

Bellocchio entrò quindi in contatto con Lou Castel (doppiato in italiano) diventato poi il volto simbolo dei Pugni in tasca, di quella violenza e di quella dolcezza che coesistono nel suo grande film.

Sarebbe stato molto diverso vedere Gianni Morandi in quel ruolo, magari accanto a Raffaella Carrà, come aveva immaginato in un primo momento Bellocchio. Ma forse una tale versione non avrebbe portato il regista al punto in cui è adesso. Non resta che immaginare, ma anche questa è un’altra storia.