I primi sette minuti di E.T.-L’extraterrestre, con il piccolo alieno che cammina solo nella foresta, sono un esempio di magistero registico, per come Steven Spielberg riesce a raccontare l’incanto e la paura senza una sola battuta di dialogo. Nel film sono tante le immagini indimenticabili, ma la più iconica è quella con i bambini che volano con le biciclette sullo sfondo di una gigantesca luna piena. Non ha mai avuto paura dei sentimenti, questo regista geniale. Che capisce che quell’avventura, e quel volo, l’avremmo voluta vivere tutti.
Nei primi minuti del film Spielberg introduce con delicatezza l’universo in cui si svolgerà la storia, scritta da Melissa Mathison: siamo nel nostro mondo, evidentemente, ma in questa versione alternativa della realtà gli alieni esistono e sono venuti a visitarci. Alieni che non percepiamo come ostili o aggressivi: gli alberi che torreggiano sulla testa di E.T. sono ben più minacciosi della piccola creatura smarrita nel bosco. Le luci della città che baluginano in lontananza – esattamente come le stelle nel cielo – suscitano nell’alieno un senso di meraviglia, lo stesso che proverebbe un cucciolo d’uomo: perché prima che un alieno, e questo Spielberg lo dice subito, E.T. è un bambino. L’amicizia con Elliott, presso il quale da lì a poco l’alieno troverà rifugio, si fonda proprio su questa similitudine, che lo spettatore introietta inconsciamente proprio nella prima magnifica sequenza del film.
Quanto alla scena delle biciclette – per la quale, come raccontato da Giancarlo Giannini in un’intervista, Spielberg avrebbe preso ispirazione dal volo sui manici di scopa di Miracolo a Milano, il film del 1951 di Vittorio De Sica – fu realizzata tecnicamente da Dennis Muren, otto volte Premio Oscar per gli effetti speciali. “Con quella scena – ha dichiarato qualche anno fa l’artista – Steven Spielberg è andato a toccare i punti più nascosti delle nostre anime: l’atmosfera notturna, il desiderio di volare, la leggerezza dello spirito. La sequenza perfetta di un film perfetto».
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