C’è solo distruzione davanti a noi. In un oceano di palazzi polverizzati l’orologio di un campanile è l’unico a reggersi in piedi, ma anche questo pare sull’orlo del crollo. E c’è silenzio: perché qui è passata l’apocalisse. E’ passato il mostro dei mostri, Godzilla. Eppure è chiaramente Hiroshima, è lo squarcio del mondo lanciato dall’alto, dall’Enola Gay – il B-29 Superfortress pilotato dal colonnello Paul Tibbets – che il 6 agosto 1945 sganciò sul Giappone l’ordigno chiamato simpaticamente Little Boy. La prima bomba atomica della storia utilizzata in un conflitto, quella fatta di uranio (non come quella di Nagasaki, che era di plutonio). E’ distruzione, ma è anche quel che sarà per sempre l’incubo del Sol levante: nella storia, nella cultura popolare, nei disegni dei bambini, negli occhioni degli anime, nei robot giganti che affrontano ogni giorno immensi pericoli venuti dal cielo che ogni volta spazzano via grattacieli come fossero castelli di sabbia.
Autoritratto del Giappone
Certo che Godzilla è l’atomica, certo che il Re dei Mostri – kaiju, lo chiamano i nipponici – è la materializzazione del terrore nucleare. Ma in Godzilla Minus One, il blockbuster realizzato dalla leggendaria casa di produzione nipponica Toho nel settantesimo anniversario della comparsa del primo Godzilla della storia, porta questa suggestione alle estreme conseguenze: il film scritto e diretto da Takashi Yamasaki – già assurto a fenomeno di culto, finanche negli Stati Uniti, dove si sta rivelando un inatteso successo al box office – è un autoritratto del Giappone molto diretto e molto esplicito alla luce (o all’ombra, fate voi) del disastro nucleare.
Non solo perché la stessa iconografia del mostro gigante (un lucertolone abnorme che è un incrocio con T-Rex mutante capace di sputare un “raggio termico” dalle fauci) richiama il fungo nucleare, non solo perché le sue apparizioni improvvise, incomprensibili e indomabilmente paurose evocano l’indicibile della distruzione totale (la dicono lunga le immagini di cui dicevamo prima, di una Tokyo distrutta come nelle foto di Hiroshima dopo la bomba), ma perché i protagonisti del film – il pilota kamikaze riluttante Koichi Shikishima e la ragazza senza passato, genitori e futuro Noriko Oishi in primis – sono la narrazione di un Giappone ferito, piegato e umiliato dopo l’apocalisse. Quella che su ordine del presidente Harry S. Truman ha inferto nell’anima collettiva dei giapponesi un trauma per il quale non esiste cura.
Un cumulo di macerie
Siamo nel 1945, la guerra è appena finita, il Sol levante è un cumulo di macerie, quasi tutti vivono di espedienti, cercando di sopravvivere come possono. Koichi, il pilota, aveva già incontrato Godzilla su un’isola dove si era rifugiato fingendo un guasto al suo aereo – in realtà, è un mezzo disertore che ha preferito la vita sull’eroismo suicida dei kamikaze – e qui aveva incontrato una prima versione del mostro, che aveva ammazzato quasi un intero battaglione, qualcuno schiacciandolo come un insetto, qualcun altro ingoiandolo e sputandolo a distanze chilometriche.
Ora cerca di rifarsi una vita, Koichi, insieme ad una giovane che ha perduto i genitori e che a sua volta ha preso con sé una neonata orfana anch’essa. I due non sono sposati, né si sposeranno: perché Koichi non ha il coraggio di sognare per sé un futuro. “La mia guerra ancora non è finita”, ripete. E’ gonfio di rimorso: non aveva avuto il coraggio di fare il kamikaze, e – impietrito dal terrore – non aveva sparato a Godzilla quando, sull’isola, ne aveva avuto l’occasione.
Per quanto riguarda il mostro, è il risultato mutante dei test atomici degli americani. La prima reazione di Koichi (e del Giappone) è la rimozione, il tentativo di guardare avanti senza guardarsi indietro. Non fosse che Godzilla, a causa di ulteriori esplosioni nucleari firmate USA (quelli dell’atollo di Bikini del ’46, per intendersi) cresce ancora, si potenzia, diventa enorme, addirittura si rigenera quando viene ferito. E, soprattutto, non se sta fermo: si dirige, ça va sans dire, verso il Giappone e strada facendo distrugge una manciata di navi da guerra statunitensi.
L’America – la stessa che aveva lanciato Little Boy e Fat Man su Hiroshima e Nagasaki – si rifiuta di aiutare il paese minacciato: vuoi mai che l’Unione sovietica fraintenda possibili azioni militari nel Mar del Giappone e nell’Oceano Pacifico. Motivo per cui Koichi, che nel frattempo si è arruolato in una piccola imbarcazione dragamine, si troverà a dover nuovamente affrontare il Re dei Mostri… che non solo si porta dietro una nube di radiazioni nucleari, ma è sempre più grande, minaccioso e devastante.
Un mostro filologico, questo Godzilla
Non andiamo avanti (niente sacrifici al Dio degli Spoiler): il punto è che Godzilla Minus One – per quanto addirittura filologico nel ricostruire i kaiju delle origini, con tanto di movenze goffe, quasi degne di un Mazinga Zeta – è molto diverso dalla maggior parte dei Godzilla del passato (compresi quelli americani, soprattutto quello a firma Roland Emmerich del 1998), dove il mostro pare più un capriccio della storia o della scienza, piuttosto che il prodotto della yubris assassina degli uomini. Intanto perché l’ossessione nipponica per l’atomica è di ben altra consistenza rispetto alla fascinazione per la bomba che nutre l’Occidente (vedi alla voce Oppenheimer): alle nostre latitudini è senso di colpa e profezia di estinzione, all’ombra del monte Fuji l’apocalisse nucleare è nelle viscere del paese, è nel suo sangue, è parte della sua identità.
E poi, immagini iper-spettacolari a parte, con navi che volano come birilli e metropoli polverizzate in un soffio, in Minus One – oltre ad un tono di fondo quasi crepuscolare nel Sol levante inteso a ricostruirsi con fatica dopo la seconda guerra mondiale – c’è la negazione della retorica superomista e bellicista che aveva portato per mano il Giappone all’annientamento di Hiroshima: Koichi è un antieroe pieno di paure e tormenti, e alla fine la sua scelta – sua e della banda improvvisata di scienziati e tecnici che ne inventeranno di tutti colori per contrastare l’avanzata del Re dei Mostri – sarà quella di eliminare Godzilla (e l’incubo dell’atomica che è in ciascuno di noi) rifiutando le armi della morte: niente kamikaze, ragazze e ragazzi. Contro l’orrore di Hiroshima si vince vivendo.
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