È sbagliato se da un film – ritenuto geniale da chiunque ne parli – non scatta quella scintilla che te lo fa amare? È sbagliato se semplicemente qualcosa non va: se non si riesce a capire un film che tutti amano? È sbagliato se penso che Barbie non sia così bello come tutti sembrano pensare? Ecco una frase che non mi sarei mai immaginata di dire: “Barbie mi mette in crisi”.
Eppure è esattamente quello che mi sono ritrovata a pensare dopo la visione dell’ultimo film di Greta Gerwig. Barbie è divertente, intrattiene. Barbie è piacevole, Barbie piace. Ma Barbie è un bel film? Non riesco a decidere.
La sensazione che mi trasmette è la stessa che ho provato per Mamma Mia!: sono entrambi film deliranti, fuori di testa. Entrambi i film richiedono una sospensione dell’incredulità. Bisogna semplicemente accettare l’assurdo, non farsi troppe domande e stare al gioco. Lo status di film cult che Mamma Mia! mantiene è dovuto al fatto che non ha paura della sua pazzia: è un film esilarante per il gusto di essere esilarante, niente di più. In questo Barbie è diverso: il film sulla bambola della Mattel vuole avere un fine, mandare un messaggio. Questo lo frena: è difficile mettere insieme una follia alla Mamma Mia! con un sottotesto intellettuale. O si spinge sul surrealismo, o tutto resta a metà. Come avere di fronte due film diversi, tenuti insieme con un vecchio scotch rosa che non funziona più bene.
Ciò non toglie che le scene in cui l’assurdo prende il sopravvento siano godibili, irresistibilmente ridicole, forse le migliori del film. Certamente è dovuto alle interpretazioni di tutti gli attori, Ryan Gosling in primis, che prendono sul serio la messa in scena della follia. Attori che non hanno paura di esporsi, di essere la battuta, di sembrare buffi, macchiettistici.
Barbie, tra marketing e femminismo
Coraggio che manca al film stesso, più attento a rinnovare l’immagine della Mattel che a proporre una nuova storia genuinamente femminista. Il film ti dice: “eccolo, tieni il femminismo, lo vedi, è un film femminista” ma in realtà ti propone un femminismo scialbo, ti fa pensare: “vedi, Barbie bionda sa di essere un problema, forse non è così cattiva come pensavamo”. Barbie, e quindi la Mattel, grazie a questo film non è più la fonte di modelli di bellezza tossici, non si vergogna più della “Barbie girl”.
Barbie si mostra, povera, ignara dei danni che ha provocato. Le dispiace, ma davvero non lo sapeva. Barbie, ora illuminata, si arrabbia, critica il patriarcato, sbeffeggia la Mattel – la quale però nel frattempo, nella realtà, gode del successo della sua ultima superba operazione di marketing.
Il tentativo fallimentare di fermare le critiche alla Barbie bionda bella e cattiva con alcune, poche, Barbie più scure, meno belle e più buone, era stato d’esempio. Il politically correct la gente lo stana, lo detesta. Le uniche bambole che piacciono, che vendono, sono quelle che vengono criticate. Tutti amano criticare le Barbie. E allora la Mattel ci dà un film dove si fanno prendere in giro, dove si fanno criticare e dicono: “avete ragione”. Per sembrare, forse, meno ipocriti.
Un film diretto dalla supereroina di Hollywood, regista donna (donna!) di film femminili e femministi e di successo (incredibile). Greta Gerwig la Mattel la distrugge, ti fanno pensare, ed è vero: la distrugge con critiche e battute approvate dalla Mattel stessa, la distrugge per non lasciare traccia dello sporco, per farla rinascere: rosa, pulita e femminista. Comprate le bambole, che ora siamo diventati buoni. È marketing perfetto – grazie alla presenza di Gerwig quasi irriconoscibile – e quindi difficile da criticare.
Ciò che rende insostenibile il marketing, soprattutto, è il fatto che freni la satira, e con essa quell’accenno di femminismo. Lo rende superficiale, belle parole recitate da una brava attrice (America Ferrera: grande performance). Non è un parere esperto, forse, ma onesto: quello che Barbie mette in scena non è femminismo. Il femminismo non è un mondo opposto a quello di oggi, in cui le donne comandano al posto degli uomini e gli uomini subiscono. Questa è la visione presentata dal film. Una visione attaccabile, servita su un piatto d’argento alle critiche maschiliste, inaccettabili, terrificanti. Il femminismo è parità di diritti: una Barbieland in cui sia le Barbie che i Ken possono accedere ai ruoli di potere.
Dal punto di vista tecnico Barbie resta un film eccellente, dai colori meravigliosi, le interpretazioni, brillanti, battute che funzionano. Colonna sonora, costumi, scenografie, tutto ottimo. Greta Gerwig ha salvato Barbie e la Mattel. E ha salvato un film che sarebbe potuto essere un disastro. Perché, alla fine, se non si vuole pensare più di tanto, sì: Barbie è un bel film.
Barbie è al cinema.
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