Woody Allen abita da mille anni a casa Dostojevskij, altro che Manhattan. Certo, questa volta la scena del suo personalissimo Delitto e castigo in versione noir si svolge a Parigi – quella dei quartieri altolocati, la ville lumiere da trofeo, quella luminescente dei grandi boulevard e delle librerie bohemien – ma il senso è sempre quello: amore, senso di colpa, morte, qualche volta resurrezione, tradimento, la potenza del caso. E’ quello il fiume carsico dei grandi russi, un fiume nel quale il regista newyorkese nuota da sempre, come si sa, almeno dai tempi di Amore e guerra, rutilante capolavoro comico del 1975, dove l’allora trentenne Woody surfa voluttuosamente sulle note di Prokofiev da Tolstoj all’infinito.
Colpo di fortuna (Coup de chance nell’originale) è il film numero cinquanta dell’oramai ottantottenne, e si fa notare sin dalla prima inquadratura per tre o quattro motivi. Il primo è che non solo è girato a Parigi – specie negli arrondissement a nord dell’Arco di Trionfo – e non solo i protagonisti e tutti i principali personaggi sono francesi, ma soprattutto parlano francese (un po’ come l’inizio, appunto, di Guerra e Pace, che è tutto in francese: “Eh bien, mon prince…”): eppure parlano come sempre si parla nei film di Woody Allen, cioè parlandosi sopra, intrecciando i discorsi con quell’aria casuale che è uno dei marchi di fabbrica di bottega Allen.
Pure il jazz di Coup de chance è diverso dal solito dixieland anni ’20 che ci accompagna in quasi tutte le sue opere dalle origini dei tempi ad oggi: qui c’è un pezzo iconico di Herbie Hancock del 1964 a condurre le danze, Cantaloupe Island, un brano meraviglioso (che rimanda piuttosto al Miles Davis di Louis Malle in Ascensore per il patibolo, 1958), scelto non per caso a portarci per mano nell’intrigo, nel mistero di uno scivolamento dalla passione alla morte.
Qui c’è Jenny – la molto bella Lou de Laage – che per un “colpo di fortuna” incontra per strada un suo vecchio compagno di liceo, Alain (Niels Schneider), uno scrittore intellettualoso che le rivela che è sempre stato innamorato di lei. Peccato che lei sia sposata con Jean (Melvile Poupaud), un uomo d’affari molto ricco che ha una bellissima casa e che ama andare a caccia. Parrebbe una coppia perfetta, non fosse che lui ha un po’ la tendenza di esporla tipo “moglie trofeo”.
E così – tra un sandwich al parco, una brasserie e fiumi di parole – Jenny si ritrova a vivere una relazione clandestina con Alain (certo, è il contrario esatto del marito), ovviamente tra mille sensi di colpa: una roba romantica, passionale, emozionante, cha la riempie di vita. Ma le cose non sono mai semplici, si sa: qualcosa di oscuro e torbido affiora sempre di più in superficie. Ci saranno dei sospetti, un delitto, un colpevole, due sicari, una scomparsa che in un primo momento pare un caso di ghosting, una detective inattesa, il colpo di scena finale.
Ora, già l’ha scritto Alberto Crespi su queste colonne con grande efficacia: sotto sotto, Woody Allen è sempre stato un giallista, un autore noir – in un modo nell’altro, e non solo in Manhattan Murder Mystery o in Crimini e misfatti – è sempre stato anche il Georges Simenon di New York, il Raymond Chandler ebreo. Qui il riferimento è Match Point, con Scarlett Johansson, del 2005: la forza del caso che spinge quasi inavvertitamente verso il delitto. Ma ci sono anche i grandi russi, per quanto mai citati, a muoversi nel sottosuolo di Colpo di fortuna: non c’è delitto senza colpa (anche se il colpevole non conosce rimorso), è il caso a muovere nel modo più subdolo e sorprendente le azioni umane.
E infine, la ballata delle passioni e del delitto che è Coup de chance è pure una perfida satira dell’alta borghesia, in modo non molto diverso da come Guerra e Pace è (anche) una satira dell’aristocrazia russa. I borghesi di Woody Allen sono splendidamente patetici e diabolicamente ridicoli, a cominciare dalla passione del riccone Jean per i trenini elettrici in versione monstre. Ma non solo gli ospiti delle soirée di Anna Pavlovna Scherer “molto vicina all’Imperatrice Maria Feodorovna” del vecchio Lev Tolstoj e i vari Bezuchov ed il principe Andrej, così come anche l’idiota, il tormentato Raskolnikov, i demoni di Dostojevskij, ci stanno tutti dentro il pantheon alleniano, tutti li vediamo chiacchierare -comicamente e tragicamente – con il vecchio Woody mentre si allontana danzando con la morte.
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