Another Body, la recensione: l’apocalisse del “deepfake” nel mondo del porno

Al SXSW festivalè passato il documentario shock di Sophie Compton e Reuben Hamlyn sul lato più oscuro e potenzialmente devastante del furto digitale d'identità nell'industria pornografica globale

Le immagini deepfake, realizzate da un software grafico in grado di modificare i volti fino a rendere indistinguibile la manipolazione, potrebbero cambiare per sempre il panorama sociale e politico mondiale (in un’epoca in cui i politici si sfidano durante le elezioni a colpi di fake news, questa tecnologia sarà presto in grado di condizionare milioni di persone). Nel frattempo i deepfake stanno dilagando nella pornografia. I siti porno gratuiti sono invasi da video di performer “per adulti” con i volti di celebrità, ma anche di persone qualsiasi. E nessuno di loro ha acconsentito all’utilizzo della propria immagine in un simile contesto.

Il deep fake, metti una celebrità nel porno

Il documentario Another Body di Sophie Compton e Reuben Hamlyn (in concorso al SXSW Film Festival) intrigante ma troppo poco incisivo, segue le vicissitudini di una studentessa universitaria in cerca di giustizia, dopo aver scoperto che la sua immagine è stata rubata per essere utilizzata nel porno deepfake.

Attraverso interviste, animazioni e video realizzati in tempo reale dalla protagonista, i registi si concentrano sull’impatto emotivo della scoperta, senza tuttavia approfondire del tutto il tema “di genere” – legato al porno, ma non solo – che rende questo tipo di sessualizzazione così grave. Per un film che parla di un tema tanto critico, sono rimasto sorpreso dalla mia stessa reazione seccata di fronte al suo intrinseco perbenismo. Detto questo, il film inizia con un grande colpo di scena che vi rivelerò tra qualche paragrafo: fermatevi qui se non volete sapere cosa renda Another Body così diverso dal tipico documentario destinato a mandare nel panico la morale comune.

Il porno senza consenso, manca la legge

Il film apre su Taylor Klein, una giovane studentessa di ingegneria. Più precisamente il film apre con i video dell’infanzia di Taylor. Una tattica che serve ad aumentare l’effetto di repulsione per una pratica come il furto di identità a fini pornografici, applicato all’immagine di una bambina innocente la cui immagine in futuro sarà violata (in pratica l’equivalente cinematografico di una figura pubblica che dichiari di battersi per i diritti delle donne perché ha delle figlie). Taylor parla diffusamente del suo amore per la matematica e per la scienza, e di come il fatto di provenire da una famiglia di ingegneri l’abbia convinta a specializzarsi in questo campo.

“Dicevo a tutti che volevo entrare al college da quando avevo 12 anni”. Questo, naturalmente, serve a spiegarci quanto sia seria, concentrata sulla propria carriera e lontana anni luce dal poter solo pensare di ostentare pubblicamente il proprio corpo nel porno.

Anche quando le capita di ricorrere a una parolaccia Taylor si scusa in continuazione, come se avesse bisogno di distinguersi dalla gente “rozza” che si esprime volgarmente. Attraverso drammatici scambi in chat, ricostruiti per il film, assistiamo al momento in cui un amico di Taylor la avverte del fatto che il suo volto (applicato sul corpo di un’altra persona) appaia su siti porno associato al suo vero nome, alla sua sede universitaria e al suo presunto desiderio di avere relazioni occasionali.

Lo shock e l’umiliazione

Qualcosa di strano in effetti stava accadendo già da qualche settimana, da quando cioè Taylor aveva cominciato a ricevere strani messaggi allusivi su Instagram da parte di sconosciuti. Taylor è scioccata e umiliata, derubata dei propri dati personali, esposta pubblicamente e terrorizzata dal fatto che qualcuno possa presentarsi nel suo dormitorio universitario per aggredirla. È anche preoccupata dal fatto che questo incidente possa pregiudicare la sue possibilità di ottenere un buon lavoro dopo la laurea – dettaglio che i registi, purtroppo, non approfondiscono.

A causa di una serie di complicazioni legali, non c’è molto che la polizia possa o voglia fare per lei, dato che i molestatori e i siti porno non hanno infranto alcuna legge vigente. È sola e spaventata. Se lo dicesse ai suoi amici, o se denunciasse il fato pubblicamente, teme di attirare ancora più persone nell’universo dei deepfake.

Quando scopre che anche una sua compagna di classe, Julia, è incappata nella stessa situazione, si allea con lei per capire chi – tra i loro amici – possa avere sufficienti capacità tecniche e motivazioni per far loro del male. Il loro viaggio le porterà là dove chiunque abbia prestato attenzione alla cultura popolare degli ultimi dieci anni può già immaginare, e tuttavia il racconto non perde presa per questo.

Another Body, la crisi è già qui

A meno di un quarto del film, che dura complessivamente un’ora e venti minuti, il volto di Taylor muta improvvisamente, trasformando a ripetizione i suoi connotati in quelli di altre giovani donne. “Il mio nome non è veramente Taylor. Tutto ciò che avete visto è vero, tranne il volto che state guardando in questo momento: non è il mio ma quello di un’attrice, sovrapposto ai miei lineamenti”. Uno shock per il pubblico. Rimanere anonima, spiega, è l’unico modo che la faccia sentire sicura di raccontare la sua storia.

Lo stratagemma dei registi, che prima ingannano il pubblico e poi lo costringono a riconsiderare le immagini precedenti e successive, è un espediente brillante per mettere in scena la crisi che la tecnologia deepfake ha già innescato. A parte un paio di inquadrature strane, non avrei mai potuto immaginare che Taylor non fosse quella che ho visto sullo schermo.  Allo stesso tempo, tuttavia, l’espediente quasi si ritorce contro la storia: io stesso mi sono chiesto se tutto il racconto fosse reale (in realtà non dubito che lo sia, ma per un attimo l’ho pensato). Another Body nel complesso funziona meglio come detective story che come studio sociologico. Il film si rifiuta di separare la sessualità dalla sessualizzazione non consensuale, creando una falsa narrazione secondo cui l’empatia dello spettatore per Taylor e Julia deriverebbe dal loro essere soggetti “puri” e asessuati.

Le ragazze della porta accanto

Assistiamo alle loro ricerche su un sito porno e le vediamo negare con insistenza il fatto stesso di aver mai navigato in uno spazio simile, come se avessero paura di essere per giudicate questo. Non sappiamo nulla del loro passato o delle loro convinzioni: sono le virtuose “ragazze della porta accanto” che il film desidera rappresentare. A un certo punto Taylor accenna al suo disturbo ossessivo compulsivo e al fatto di essere una persona che cerca disperatamente l’approvazione degli altri. Mi chiedo come non si potrebbe provare empatia per una vittima di una simile violazione. Chiunque essa sia.