Raccontare una leggenda non è facile. Ancor più impossibile è raccontarne la genesi, l’inestricabile connessione alla storia delle sue radici, del suo Paese e delle sue persone. Forse è per questo che One Love, il biopic su Bob Marley, si impegna ad essere solo uno stralcio di storia della musica, dell’Africa e dell’artista che portò il reggae in tutto il mondo.
La pellicola, per la regia di Reinaldo Marcus Green e al cinema dal 22 febbraio, punta su una strada narrativa non convenzionale per il genere del biopic. Fotografa uno spaccato di vita di Marley che va dal 5 dicembre 1976 – giorno in cui il cantante e sua moglie Rita finirono vittime di un attentato – al 22 aprile 1978, giorno del celebre One Love Peace Concert, l’evento musicale organizzato dall’artista nello stadio di Kingston e nominato dai media dell’epoca la “Woodstock del terzo mondo”.
La difficoltà d’immedesimazione nel biopic
Prendendo in considerazione solo un biennio della vita dell’artista, Green rifiuta il cinema biografico all’ennesima potenza. Non ripercorre le origini di Marley, né tantomeno si impegna a raccontane la scalata verso il successo con toni apologetici.
A film iniziato, Bob Marley è già una delle voci più affermate del panorama musicale. È reduce dallo spiazzante successo di No Woman No Cry e decide di utilizzare la voce acquisita per le sue persone, il suo popolo. Organizza così l’evento musicale Smile Jamaica, finalizzato a promuovere la pace e alleggerire le tensioni tra il Partito Laburista Giamaicano di Michael Manley e il Partito Nazionale del Popolo di Edward Seaga.
Bob Marley - One Love
Cast: Kingsley Ben-Adi, Lashana Lynch, James Norton, Jesse Cilio, Michael Gandolfini
Regista: Reinaldo Marcus Green
Sceneggiatori: Zach Baylin, Frank E. Flowers, Terence Winter
Durata: 104 minuti
La Jamaica del 1976 è definitivamente sull’orlo di scontri armati e duri conflitti, e il tentativo pacifista dell’artista viene ovviamente interpretato come un atto sovversivo. Un gruppo di ignoti irrompe in casa di Marley e tenta di uccidere lui e la moglie Rita (che come in una scena da film, riesce a scampare un colpo alla testa grazie ai suoi dreadlocks), portando a malincuore il cantante a lasciare la propria patria alla volta di Londra, dove cerca un futuro artistico migliore assieme ai suoi The Wailers.
Quella raccontata è una verità che ha dell’incredibile, una storia meravigliosa resa su schermo grazie ad una grande interpretazione del protagonista Kingsley Ben-Adir (cimentatosi nel canto e con la chitarra solo poco prima delle riprese) su tutti i fronti. Ciò che non convince del film è la difficoltà di immedesimazione in quelle immagini, complici due fattori: il ristretto periodo di riferimento nella storia e l’aspetto sempre impeccabile di Ben-Adir nei panni di un Marley a tratti troppo patinato, in una rappresentazione – indubbiamente ben fatta -, ma che non sembra mai realtà.
L’inizio ex abrupto, inoltre, porta a non considerare elementi cardine della vita del cantante precedente al 1976, rendendo ancor più difficile la compenetrazione sullo schermo per i non adepti.
La musica di Marley come rivoluzione sociale
Sono comunque tanti i punti di interesse nelle due ore scarse di visione: prima tra tutte la rappresentazione dei luoghi e delle epoche di riferimento. Dal clima violento e di paura della Jamaica del tempo, fino all’incontro con la rapidità e le provocazioni punk rock, all’apice del suo successo londinese. E ancora partite di calcio, successivi infortuni e pochi fondamentali stralci di vita quotidiana, necessari a prendere atto di quanto Marley fu un rivoluzionario del suo genere.
Il cardine di Bob Marley – One Love è la musica. Non c’è dubbio, dall’inizio alla fine. Lo è grazie ad una colonna sonora che il film lo farebbe anche da sola e grazie alle varie ed interessanti scene di scrittura e composizione. Come quelle dell’album Exodus, analizzato nel processo creativo dell’artista e della band, o con la commovente scena in cui un Bob Marley ormai malato e prossimo alla morte intona alla moglie ed ai figli Redemption Song, appena composta. “Won’t you help to sing these songs of freedom? Cause all I ever had, Redemption songs”, canta. A far capire che persino alla fine dei giorni, faccia a faccia con violenza e brutalità, le canzoni possono cambiare il mondo.
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