Non è assurdo chiedersi se il Renaissance World Tour di Beyoncé sia pura magia. È come lo vediamo immortalato in Renaissance: A Film by Beyoncé – scritto, diretto e prodotto dalla popstar. Il concerto non manca mai di stupire: coreografie acrobatiche e vocalizzi altissimi, abiti firmati a profusione, scenografie che sembrano sovrastare le stesse arene in cui si svolgono. C’è l’estasi pulsante di una folla che si nutre dell’energia della sua regina e la riflette mille volte.
Ma se la magia può essere esaltante, vedere come viene realizzato il trucco può dare un piacere ancora più profondo. Se Renaissance fosse semplicemente una registrazione dello show, sarebbe già di per sé una goduria. Intrecciando filmati dietro le quinte e interviste che rivelano come nasce il concerto e come è arrivato fino al pubblico, Beyoncé serve un pasto soddisfacente.
Con quasi tre ore di durata, Renaissance copre quasi tutti i numeri dello show dal vivo. Come nel caso di Taylor Swift: The Eras Tour, lo show è un premio di consolazione per chi non è riuscito a procurarsi i biglietti per l’evento vero e proprio. Gli spezzoni dei concerti – occasionalmente interrotti da filmati in stile Super 8 – provengono dai live di tutto il mondo. La scelta serve a mettere in mostra gli oltre cento costumi che l’artista ha sfoggiato tra Stoccolma a maggio e Kansas City a ottobre (oltre ai camei di celebrità del calibro di Megan Thee Stallion, Diana Ross e Kendrick Lamar).
Alcuni dei montaggi più emozionanti sono quelli che alternano diverse esecuzioni dal vivo della stessa canzone, in modo che Beyoncé sembri cambiare abiti con uno schiocco di dita o un cenno della testa. Le coreografie sono nitide e cinetiche, e le scenografie gloriosamente elaborate: carri armati cromati, cavalli argentati, un paio di mani gigantesche.
Come Renaissance unisce pubblico e personale
È quasi un peccato distogliere l’attenzione da una tale spettacolarità, se non fosse che Beyoncé è in grado di rendere magnetiche anche le cose meno appariscenti. La prima volta che ci distoglie dallo show sul palco è per rivelarci l’incredibile impalcatura che c’è dietro. Ci fa notare che la parte più costosa del tour è l’acciaio necessario a sostenere il palco, mentre osserviamo gli operai sospesi a decine di metri da terra che montano gli schermi giganti.
Mentre Renaissance continua, il suo sguardo vaga e si allarga. A volte Beyoncé lascia intravedere momenti personali: una vacanza di famiglia in Costa Azzurra, una deviazione verso il suo ristorante di pollo fritto preferito a Houston (Frenchy’s), una breve rimpatriata con la vecchia banda delle Destiny’s Child. In altri momenti, l’artista si concentra sulla comunità queer nera in cui l’album affonda le sue radici, mettendo in risalto icone della scena ballroom e drag come Kevin JZ Prodigy, Kevin Aviance e Big Freedia, o godendosi un glorioso interludio con le ballerine di supporto di Beyoncé che fanno voguing sul palco.
Gli aspetti più toccanti uniscono la sfera personale e professionale. L’apparizione di Blue Ivy Carter come ballerina nel tour occupa un capitolo a sé stante, mentre Beyoncé e Jay-Z interpretano, in modo adorabile, il ruolo di genitori orgogliosi che lodano senza sosta il talento e l’etica del lavoro della figlia. Beyoncé riserva una menzione speciale al suo defunto zio Johnny, uomo nero gay che da bambina l’ha introdotta alla musica house e a cui ha dedicato il suo album. In questi momenti, l’amore travolgente di Beyoncé per la sua famiglia fa sì che quella che potrebbe essere la sua “Era” più grandiosa e scintillante risulti tenera e sentita come una lettera d’amore.
Meno efficaci sono gli occasionali casi in cui Beyoncé ricorre a cliché e metafore per esprimere le idee più nebulose che la spingono avanti. “Come esseri umani, per il modo in cui lavoriamo, il modo in cui ci affanniamo, siamo davvero diventati delle macchine, e il tempo è ciò che alimenta la batteria”, dice.
Rinascere dall’amore
Ma quello che sembra essere l’inizio di una conversazione esistenzialista più profonda passa rapidamente a materiale quotidiano, come Beyoncé che, durante le prove, nota di non essersi presa un giorno di riposo da oltre un mese. Accenna alla sfida di bilanciare la maternità, il matrimonio e il lavoro, ma offre pochi spunti su come riesce a gestire il tutto. Sebbene i sentimenti sembrino sinceri, la sua reticenza nei loro confronti tiene a distanza la sua parte più intima.
D’altra parte, Beyoncé non è mai stata uno di quegli idoli che attrae il pubblico perché è particolarmente aperta o perché in lei ci si può identificare. Sebbene non appaia né aliena né robotica (tranne quando vuole esserlo, come quando un paio di braccia meccaniche la fanno entrare e uscire da un esoscheletro ispirato a Metropolis), il calore che proietta è quello di una dea, potente, aspirazionale e benevola. È come Venere che emerge da una conchiglia di strass in uno sfacciato body di Loewe, o una sacerdotessa in paramenti bianchi di Anrealage che rivelano un motivo a vetrata con un colpo di bacchetta magica.
La folla risponde a tono, urlando, piangendo e rimbalzando all’unisono. Nei suoi momenti più estatici, Renaissance sembra un’esperienza spirituale a sé stante. Per il numero finale, Summer Renaissance, un’imbracatura solleva Beyoncé, con un aspetto decisamente angelico in un abito argentato, sopra il palco. I suoi ballerini la seguono da terra come apostoli e la folla assiste all’intero spettacolo con un’aria di stupore.
Nelle interviste che punteggiano Renaissance, la star parla della sua ultima opera come di una risposta alla “sete di comunità”, alla necessità per le persone, e in particolare per quelle emarginate, di trovare spazi in cui sentirsi al sicuro e connesse. Con il suo album, il suo show e ora il suo documentario, crea una congregazione in cui i suoi fan possono sentirsi non solo liberi, ma anche rinati nell’amore.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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