Negli anni Cinquanta del Novecento venne sintetizzato un materiale con un potere quasi unico: l’immortalità. Si chiamava Moplen, o plastica, gli si dedicavano le pubblicità entusiaste del Carosello, aveva la particolarità di essere indistruttibile e questo lo rendeva elettrizzante. Quel materiale era destinato a durare molto più di chi l’aveva creato, a espandersi in ogni luogo della terra e degli oceani, fino permeare acqua, sangue, corpi. Nei suoi viaggi il regista di The North Drift, il tedesco Steffen Krones, si è diretto verso le zone più remote della Norvegia alla ricerca di una natura incontaminata e ha trovato invece terra infettata invece da diverse generazioni di plastica. Insieme a Kris Jensen, guida turistica di origine Inuit che lavora nel Mare del Polo Nord, comincia a raccoglierla.
Ne trovano ovunque, incastrata sotto cumuli di terra, impigliata nella roccia, in posti che sembrano lontanissimi dalla mano velenosa dell’uomo, paesaggi apparentemente vergini, difesi dal gelo artico.
Fra i tanti oggetti ancora ben riconoscibili, ecco una lattina di birra: secondo l’etichetta, è stata prodotta ad Amburgo e potrebbe essere stata acquistata e bevuta in qualsiasi supermercato della Germania. Forse proprio quello sotto casa di Steffen, a Dresda.
Dal fiume Elba al Mar del Nord
The North Drift è il film vincitore del Premio Green Film al Trento Film Festival 2023: a dare il via al documentario è l’incontro con questa lattina di birra, che dalla Germania deve aver navigato lungo il fiume Elba per poi raggiungere il Mare del Nord, magari costeggiare la Norvegia, sempre più su, e infine raggiungere chissà come l’isola di Lofoten, nel Mar Polare Settentrionale e incagliarsi chissà come lì, dopo un viaggio così lungo, insieme a un’infinità di altri oggetti che le correnti trasportano dall’Europa, dagli Stati Uniti o dall’Africa fino a questo semplice e splendido ecosistema, fragile quanto imprescindibile per la vita del pianeta.
Da qui cominciano le ricerche di Steffen, la costruzione di boe galleggianti dotate di Gps inizialmente fatte in casa (con l’aiuto di una stampante 3D e del suo amico ingegnere Paul Weiss), poi realizzati da importanti studi di ricerca che da anni lavorano per comprendere e tracciare le traiettorie insospettabili dei rifiuti di plastica. Un terzo dei rifiuti che raggiungono l’Artico, raccontano gli scienziati, arriva da paesi industrializzati come gli Stati Uniti o la Germania. In tutto, ogni anno, sono più di 870 mila tonnellate.
Non è proprio vero che sono indistruttibili: col tempo – moltissimo tempo – si rompono in particelle sempre più piccole fino a diventare microplastiche, invisibili all’occhio umano. Quelle sì, sono immortali. In quella forma entrano nell’acqua che beviamo, scorrono nel nostro sangue, passano dall’utero di una madre al corpo di un neonato. Possono ricomporsi, anche: a furia di accumularsi possono formare un grumo e lo troveremo magari nella pancia di un pesce.
La raccolta della plastica
The North Drift racconta il desiderio di prendersi cura della bellezza e della vita del pianeta e la lotta contro i mulini a vento di chi come Steffen e Kris passa mesi a riempire di plastica enormi bidoni. Attraverso i loro interrogativi ed esplorazioni, scopriamo gli itinerari assurdi di piccole boe-gps che ricalcano forse il viaggio misterioso di quella lattina di birra tedesca e incontriamo biologi marini che dedicano la vita a queste ricerche, con enorme passione e altrettanta frustrazione in un mondo che va nella direzione opposta a quella che la salute del pianeta richiederebbe.
Secondo le ricerche dei biologi intervistati, la plastica sulla superfice degli oceani – quella incagliata a Lofoten o accumulata in isole immense nel Pacifico, è l’1% di quella che finisce negli oceani: dov’è il restante 99%?
North Drift, domande per il futuro
Un documentario fatto di domande e capace di far porre domande: sull’apporto di ciascun essere umano all’inquinamento del pianeta (apporto molto diverso se si è nati in Occidente o nel Sud Globale), su quello che possiamo fare per cambiare rotta, sulla cura di cui il mondo in cui viviamo ha bisogno. E sul fatto che non basta l’impegno di tanti singoli a ripulire il pianeta: c’è da tirare un freno a mano per fermare il dilagare di quel materiale apparente miracoloso, realmente mostruoso, di cui si riusciva a fare a meno prima degli anni Cinquanta e che oggi pare imprescindibile.
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