Il caso era già scritto, lo scandalo scolpito ad arte nel programma del Festival di Cannes alla voce film d’apertura: l’attore “bandito” da Hollywood, nel film della regista più discussa della Francia, in una pellicola – il film in costume Jeanne du Barry – finanziata (in parte) dall’Arabia Saudita.
Gli americani lo chiamano “cultural clash”, scontro di culture, ma l’”affare Johnny Depp” – che oggi tiene banco su tutti i giornali francesi, e con il red carpet di stasera, a rischio incursioni attiviste, avrà una lunga eco – è qualcosa di più. Una storia che ha molto a che fare con il denaro, moltissimo con la politica e assai poco con il cinema.
L’odore dei soldi
I soldi, innanzitutto: venti milioni di dollari il budget del film, tanti quanti ne ha incassati Depp rinnovando il contratto con Dior, società di cui è ambasciatore dal 2015. A far discutere però non è tanto il cachet dell’attore – che ha ammesso di aver dilapidato, in 13 anni di spese folli, oltre 500 milioni di dollari, due dei quali dovuti alla ex moglie Amber Heard per diffamazione – ma l’origine stessa del finanziamento di Jeanne du Barry, la cui postproduzione è stata pagata dalla fondazione saudita Red Sea International Film Festival. A fare scandalo dunque, prima ancora dei trascorsi turbolenti della regista Maiwenn e dell’attore Depp, sono i legami con il più grande Stato arabo dell’Asia occidentale.
Un paese che legittima la pena di morte (secondo Amnesty international le esecuzioni capitali sono passate nell’ultimo anno da 65 a 196: il secondo paese dopo l’Iran), in cui la condizione delle donne è ancora molto fragile (la scorsa estate l’attivista Salma Al-Shabab è stata condannata a 34 anni di prigione per un tweet critico) e nel quale, dal 2018, le sale cinematografiche sono sostanzialmente bandite. Amico personale del principe ereditario Mohammed bin Salman, a sua volta grande appassionato di cinema, Depp non ha mai nascosto le simpatie per il paese, quest’anno presente in grandi forze come finanziatore di numerosi film nel cartellone di Cannes.
Reduce dal processo
Un’amicizia “politicamente scorretta” che aggiunge ulteriore ambiguità al profilo privato e personale di Depp, 59 anni, tre volte nominato all’Oscar e reduce dal lungo e brutale processo contro la ex moglie Amber Heard, conclusosi con la sua assoluzione. Ma l’eco delle violenze tra i due coniugi, e la fotografia non esattamente limpida della loro quotidianità, ha finito per rendere la star persona non gradita negli Stati Uniti: estromesso dal franchise di Animali Fantastici, con il film di Maiwenn, in cui interpreta un taciturno Luigi XV (“Mi sono ispirato a Buster Keaton e Charlie Chaplin, ma soprattutto a Marlon Brando”, ha detto) torna a recitare dopo tre anni di silenzio (si fa per dire).
In Francia, dove Depp ha vissuto per anni con la ex moglie Vanessa Paradis, lo “star power” dell’attore è ancora molto forte, cosi come in Italia, dove è atteso con la sua band Hollywood Vampires a luglio: sempre l’Italia sarà d’ispirazione al suo nuovo progetto da regista, dopo il film del 1999 The brave, basato sulla vita del pittore Amedeo Modigliani, con Al Pacino, in cerca di finanziamenti al mercato di Cannes (le riprese dovrebbero tenersi questo autunno a Budapest).
Le polemiche degli attivisti
Accolto in trionfo in Francia al Deauville American Festival e omaggiato in Repubblica Ceca dal festival di Karlovy Vary e in Spagna dal festival di San Sebastian, Depp – come un altro recente paria di Hollywood, Kevin Spacey – ha trovato in Europa la terra promessa per una seconda vita artistica. Ma se il delegato del festival di Cannes Thierry Fremaux ha difeso con forza la decisione di invitarlo in Costa Azzurra (“Non mi interessa il suo processo”), dagli Stati Uniti l’attivista Ewe Barlow non ci sta. E lancia una campagna sui social, #cannesyounot, per manifestare dissenso nei confronti di un festival “che da 76 anni celebra chi commette abusi”.
La regista Maiwenn, intanto, che a 16 anni sposò Luc Besson (la storia di Léon, il suo film del 1994, in fondo non era una fantasia), a sua volta accusato da nove donne di stupro, aggiunge benzina al fuoco delle polemiche: “Perché ho voluto Depp? Perché volevo lavorare con lui. Perché ho girato questo film? Capisco benissimo come poteva sentirsi una come la cortigiana du Barry. Lasciare la scuola presto. Amare da giovane un uomo molto potente. Ed essere chiamata puttana dall’inizio alla fine della relazione”.
Per la regista franco-algerina, 47 anni, vincitrice del premio della giuria a Cannes con Polisse nel 2011, la vetrina di Cannes si annuncia già trincea personale, politica, economica. E in ultima battuta – ammesso che a qualcuno interessi – cinematografica.
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