Cominciammo a capire che Wes Anderson era un appassionato di musica, e soprattutto sapeva usarla dentro un film per creare atmosfere e sensazioni, quando sentimmo These Days risuonare nella colonna sonora di I Tenenbaum. These Days è una splendida canzone di Jackson Browne resa famosa da Nico, la “chanteuse” dei Velvet Underground. Il testo è quello di una persona che guarda al proprio passato e pensa alle occasioni perdute, a tutto ciò che poteva essere e non è stato: “These days I seem to think a lot / About the things that I forgot to do / And all the times I had the chance to”.
Parole di una persona matura, che ha molto vissuto e molto sbagliato. Beh, Browne la scrisse a 16 anni! E Anderson, nel suo film, la usava in modo mirabile per sottolineare lo spleen dei Tenenbaum, una famiglia di ragazzi geniali che non hanno voglia di vivere. Una strofa dice: “And if I seem to be afraid / To live the life I have made in song / It’s just that I’ve been losing so long”. Sembra un perfetto autoritratto di Anderson: un giovane (31 anni quando girò il film) che aveva costruito una vita parallela nel cinema e nelle canzoni, e che forse aveva paura di viverla. Questo, almeno, comunicavano i personaggi interpretati da Gwyneth Paltrow, Ben Stiller e Luke Wilson.
Dai Clash a Satie
La lista delle canzoni contenute in I Tenenbaum è più lunga del cast interpreti/attori. Si va dai Beatles (Hey Jude) ai Clash (Police and Thieves e Rock the Casbah), da Bob Dylan (Wigwam, scelta super colta, e Billy, scritta per Sam Peckinpah) a Paul Simon (Me And Julio Down By The Schoolyard), dai Ramones (Judy is a Punk) ai Rolling Stones (She Smiled Sweetly e Ruby Tuesday), da Lou Reed (Stephanie Says) a Nick Drake (Fly), da Satie a Ravel e Vivaldi e non li abbiamo nemmeno citati tutti. Il film in cui Anderson costruisce intere scene – per non dire, forse, l’intera narrazione – sulle canzoni è il successivo Le avventure acquatiche di Steve Zissou. L’eclettismo giunge a vertici virtuosistici, persino eccessivi: Bach, Paco de Lucia, David Bowie, Morricone/Baez (la famosa Here’s to You scritta per Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo), gli Zombies, Iggy Pop, i Devo.
Ma la cosa più sorprendente e divertente del film erano le “cover” di David Bowie eseguite, in scena, dal brasiliano Seu Jorge. Erano parecchie: Ziggy Stardust, Starman, Life on Mars, Oh! You Pretty Things, Changes, Rebel Rebel, Lady Stardust, Space Oddity, Five Years, When I Live My Dreams, Queen Bitch. Oggi a Cannes, dove è passato in concorso il nuovo Asteroid City, Wes Anderson ha raccontato un aneddoto molto gustoso su Zissou: «Mi sono reso conto solo in un secondo momento che Seu Jorge non conosceva queste canzoni e forse non aveva mai sentito nominare David Bowie. Comunque gliele feci ascoltare, lui imparò gli accordi e le cantò con dei testi scritti da lui, in portoghese. Successivamente, per mia curiosità, mi sono fatto tradurre dal portoghese all’inglese i testi che aveva scritto. Non c’entravano nulla con gli originali di Bowie!».
Precisione millimetrica
Questo buffo aneddoto, chissà se vero (ma in fondo, perché no?), è abbastanza indicativo del modo in cui Wes Anderson lavora. Vedendo i suoi film tutto è estremamente stilizzato, e appare molto studiato, a volte fin troppo. Ma all’interno di questo stile, che richiede una precisione millimetrica in termini di inquadrature, luci, composizione, molto è lasciato all’improvvisazione. Sempre oggi, a Cannes, l’attore Bryan Cranston ha raccontato che lavorare su un set di Anderson è spiazzante: «Spesso gli dicevo: non seguo la trama, non capisco bene dove siamo, ma lui mi diceva: just keep telling the story, continua a raccontare la storia, o almeno il tuo pezzetto di storia. Anderson è un direttore d’orchestra e noi attori siamo gli strumenti, solo che non suoniamo tutti assieme e non sappiamo come verrà fuori la sinfonia. Lo sa solo lui. In fondo è come nella vita: noi raccontiamo la nostra storia, la nostra vita, senza sapere cosa ci accadrà domani, o anche fra dieci minuti».
Manici di scopa e Lou Reed
La colonna sonora di Asteroid City è ricca come al solito, ma il film è talmente gelido – lo stile arriva a momenti di totale manierismo – che colpisce meno di altre volte. Anche qui c’è musica all’interno della storia: fra i tanti personaggi buffi e un po’ “stonati” che parcheggiano la propria vita ad Asteroid City, nel grande deserto americano, c’è anche un gruppo country. La lista delle canzoni è già presente su Spotify e comprende 35 titoli!
C’è molta “americana”, musica pop tradizionale, vecchio rock’n’roll, ma spesso in cover di gruppi inglesi. Wes Anderson l’ha definita una colonna sonora “skiffle”: si tratta di un genere che è nato negli USA negli anni ’20 del XX secolo, una sorta di antenato del rock’n’roll suonato con strumenti di fortuna (assi da lavare, manici di scopa…), ed è rifiorito in Inghilterra, soprattutto a Liverpool, negli anni ’50. I re dello skiffle furono Lonnie Donegan e Alexis Korner, ma sarà bene ricordare che anche i giovanissimi Beatles, quando ancora si chiamavano Quarrymen, erano un gruppo skiffle: in sostanza facevano cover di vecchi pezzi rock’n’roll.
In Asteroid City sentirete, o risentirete (se siete grandicelli) Buddy Holly, Fats Domino, Chubby Checker, Elvis Presley, Sam Cooke, Paul Anka, gli Shadows – ma anche roba più recente come Buffalo Springfield, Lou Reed e un Paul McCartney post-Beatles: Frozen Jap, un brano del 1980. Il film si svolge negli anni ’50, ma Anderson non teme gli anacronismi!
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