Ci sono dei film che hanno una delicatezza e un’unicità emotiva e artistica che hai paura di rovinarli, scrivendone. Gli immortali è tra questi, un racconto onirico, lisergico, fantascientifico e un po’ sciamanico sull’elaborazione di un lutto in diretta, un’opera tenera e civile, un lungometraggio che scava nelle nostre angosce e nelle nostre paure, ma anche nella nostra fantasia che è serbatoio e al contempo rifugio.
Un’opera la cui ambizione è pari alla sua bellezza – e succede raramente -, un racconto totalmente e inevitabilmente indipendente. “Nasce – confessa la regista Anne-Riitta Ciccone – da una promessa fatta a mio padre, sul letto di morte. Anche lo stile, in continuità con quello che ho fatto in precedenza, è figlio di quel dialogo tra noi. Di una lunga lettera, che poi riporto nel monologo sul suo amore per chi non scende mai a compromessi, in cui mi chiese che per una volta la mia umiltà non mi facesse ombra”. Un film la cui prima stesura di sceneggiatura fu chiusa tra il 2004 e il 2005.
Gli immortali, la trama
Chiara sta perdendo il padre, ricoverato in un ospedale fatiscente, quasi una rappresentazione plastica e civile della disumanità burocratica e edilizia di un paese devastato da se stesso e incapace di prendersi cura dei suoi figli. Questo lutto, che elabora in diretta con dolore e fervida vitalità, la precipita in un mondo parallelo che disorienta anche lo spettatore: quella che sta guardando lo spettatore è realtà o frutto della mente di una figlia che cerca nel suo lavoro, nella rappresentazione teatrale di cui cura le luci, una spiegazione a tutto quella sofferenza, una rappresentazione di ciò che la sta spezzando?
Verrebbe da dire che la cineasta abbia voluto immaginare e girare una favola nera, ma viste le tonalità potremmo definirla più una favola blu, con un cuore pulsante e diverse arterie, storie che si collegano alla principale, dalla relazione sentimentale della ragazza, agli altri degenti, al licenziamento del malato.
Gli immortali
Cast: Gelsomina Pascucci, David Coco, Pirjo Lonka, Roberta Sardella, Davide Valle, Georgia Lo Russo, Marco Luca Vulcano, Francesco Cauzzi, Elina Maria Saarela, Beatrice Criniti, Rebecca di Segni, Chiara Alonzo, Andrea Palma, Beniamino Marcone, Maria Grazia Cucinotta
Regista: Anne-Riitta Ciccone
Sceneggiatori: Anne-Riitta Ciccone
Durata: 128 minuti
Le parole della regista e della band che ha curato la colonna sonora, i BowLand
“Continuavo a dire Lorenzo D’Amico de Carvalho – marito e sodale, lei ha cosceneggiato il suo bello e sottovalutato Gli anni belli, lui qui è al montaggio – che volevo una musica tipo BowLand nel film. E mettevo delle musiche provvisorie, che li richiamavano, sulle scene che poi riprendevano uno spettacolo teatrale che ho fatto davvero. Un giorno lui arriva e mi fa ‘sabato hai una call con i BowLand, direi che vale la pena provare ad avere quelli veri, che dici?’. Lui che nel 2019 mi aveva regalato per il compleanno un loro concerto – proprio all’Auditoriom dove ora è stato proiettato il nostro film alla Festa del Cinema di Roma – mentre io ero sul set, era riuscito a fare questo miracolo. L’altro l’hanno fatto loro, capendo il film, amandolo e fregandosene che fosse low budget. Una magia, mi hanno regalato delle musiche bellissime, lavorando sulle immagini, una cosa che non fa quasi più nessuno”.
La racconta così questa collaborazione fondamentale per il suo film Anne-Riitta Ciccone, perché le musiche contribuiscono a portare il film in una dimensione altra e alternativa, in un immaginario che è sì quello che questa cineasta di incredibile talento, soprattutto visivo, ha sempre percorso, ma che qui diventa una sorta di evoluzione rispetto al passato, in senso artistico ed emozionale. Come se, come in I’m – infinita come lo spazio, si sentisse materialmente lo spessore dei colori delle emozioni, come se lo spettatore, più ancora che ne Le sciamane, L’amore di Marja o Il prossimo tuo, stesse vedendo due film contemporaneamente. Tutti e due bellissimi e che si combattono, si svelano, si cercano e alla fine si uniscono. Fuori e dentro lo schermo.
“Quest’avventura – raccontano i BowLand, passati con successo a X Factor 2018 e ora band di fama internazionale – ci ha entusiasmato subito, avevamo sempre desiderato cimentarci con una colonna sonora, il cinema ci interessa tanto e a questo aggiungi che con Anne è stato amore a prima vista, sin dalle prime parole è nata un’amicizia forte, corroborata da una stima reciproca.
La storia del film, poi, era entusiasmante, quasi quanto il lavoro sulle immagini: loro mandavano le sequenze e noi scrivevamo e mettevamo giù le musiche, un’esperienza incredibile. Il suo lavoro ci ispirava, chiunque vedrà il film potrà capire come, di fatto, fungevano da spartito. Coreografie, scenografie, colori, sceneggiatura, era tutto così forte, emozionante, è stato un processo divertente e fluido”. Un lavoro che probabilmente ha ispirato il nuovo album, in uscita il prossimo anno, nel 2024, che li vedrà anche in tour. “Lo abbiamo quasi finito e sì, è stato interessante lavorare su entrambe le cose, fertile. Ora torniamo a dedicarci alla chiusura all’album, che non ha ancora un titolo”.
Una corrispondenza di amorosi talenti che la regista spiega bene definendo le loro note “esotiche e sensuali, quello di cui avevo bisogno. L’affinità elettiva, poi, ha fatto il resto. Quando arrivava il loro lavoro e lo mettevo sulle immagini rimanevo sconvolta di quanto e come fossero entrati dentro al film. Avevano indovinato il sapore, il sentimento, il colore del film, quel blu che è anche il pantone della loro musica. Non era facile, visto che pure io a lungo ho pensato non fossero maturi i tempi per questo lavoro, per me come figlia ma anche per l’accettazione di un certo tipo di linguaggio cinematografico che ora, invece, ha più facilità ad essere compreso. Ora cerchiamo anche la rappresentazione della realtà, non ci accontentiamo solo della sua imitazione”.
Un modo di narrare e di fare cinema che Ciccone ha sin dal 2000, internazionalità e indipendenza che scovi anche in cast che non hanno mai il nome da cartellone, ma talenti purissimi e sorprendenti, come Gelsomina Pascucci, che si produce in una prova tanto difficile quanto riuscita, capace di viaggiare su registri diversi e paralleli con una profondità interpretativa rara, così come David Coco, che dal teatro porta la sua capacità di avere carisma persino in un letto. Solo uno come lui poteva riuscire a essere credibile sbertucciando, letteralmente, la morte.
“Il taglio internazionale è abbastanza ovvio in me perché non ho molto senso di appartenenza, sono finlandese e sono siciliana, non amo la paraculaggine furba ma la capacità e il talento di chi sa essere universale e allo stesso tempo unico, di chi ha la mia stessa etica del lavoro e della professionalità, mi irrita profondamente chi vuole parlare prima dei soldi e poi del progetto. Ecco perché nonostante il low budget, nessuno immagina mai quanto poco sono costati i miei film e il motivo è che ho collaboratori straordinari, anche loro fuori dalle solite consorterie. Penso a Leone Orfeo, il mio direttore della fotografia che ha iniziato mettendo le luci al Teatro dell’Orologio, a 16 anni, essendo il figlio di chi lo gestiva, uno così può fare tutto quello che vuole qualsiasi siano le risorse. E non parliamo di Andrea Sorrentino, il costumista, che ormai è una vittima delle mie follie. Ormai mi segue senza discutere, qui è riuscito a trovarmi… una tuta da astronauta!”.
Un’indipendenza che rivendica anche in un monologo affidato a David Coco. Perché se Chiara è il suo alter ego, Vittorio è suo padre. “Un’indipendenza che rivendico e difendo, anche se forse penalizza chi mi è vicino e questo mi dispiace tanto. Penso, ad esempio, che Gelsomina e David meriterebbero premi e nomination, ma non arriveranno proprio perché io lavoro in questa maniera e rimango ai margini. Io sono fatta male e dei riconoscimenti me ne importa poco, ma a loro, magari, cambia la carriera”. Avrebbe meritato, Gli immortali, anche il concorso alla Festa del Cinema di Roma, ma per eleganza lei non lo dice.
Noi, sì.
La recensione de Gli immortali di Anne Riitta Ciccone
Come dicevamo, sembra quasi si possa sciuparlo, banalizzarlo Gli immortali a parlarne, scriverne, giudicarlo. Perché Gelsomina Pascucci, nella parte di Chiara, è un’eroina moderna e spezzata, è delicatissima e decisa, e in quell’ospedale cannibale come “contro” le Baccanti riesce a stare in scena con una maturità e una bellezza rare, così come Anne-Riitta Ciccone, senza sembrare artificiosa, dipinge inquadrature mai superflue, mai scontate, senza appesantirle di un intellettualismo che molto cinema d’autore a lei affine riserva ai propri spettatori. “Faccio film che vorrei vedere”, ammette, e ha ragione: anche se non sono mai facili, creano un’empatia istintiva e violenta con lo spettatore, che non riesce, non vuole, non può far finta di niente. Lo senti con Vittorio, quel David Coco che sa essere contemporaneamente respingente e attrattivo.
Ami con i suoi protagonisti, ci vivi, ne senti il dolore, la fragilità, la tenerezza e la sfrontatezza. Ti perdi con loro in quel mondo fantastico e iperrealistico.
E come nel finale di I’m – Infinita come lo spazio tu sei dentro alla storia, all’animo dolente di chi altrove sarebbe stato solo disegnato come cattivo, qui fai parte di questa fantascienza introspettiva un po’ alla Jaco Von Dormael, che nei colori è finlandese e nei sentimenti contemporaneamente forti e fragili, è molto sicula.
Un cinema come questo altrove sarebbe molto più protetto e amato, mentre qui è affidato all’ostinazione idealista di una cineasta che ha, aveva ragione il suo papà, il difetto esiziale in un’epoca come questa, di essere umile. Se frequentasse i salotti giusti e si desse il tono che le sue qualità meritano, probabilmente la vedremmo celebrata con quelle elegie che di solito fanno luce più a chi le scrive che a chi le riceve.
Ma, irrimediabilmente, diverrebbe decisamente meno indipendente e unica.
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