Dario D’Ambrosi, quello del teatro patologico. L’etichetta in questo caso è d’obbligo e affatto riduttiva data la riconoscibilità di un progetto che da trent’anni, a Roma e in giro per il mondo, apre e chiude il sipario della mente, lavorando con persone con disabilità psichica. E adesso questo teatro arriva al cinema con Io sono un po’ matto e tu?, presentato fuori concorso al Torino Film Festival. “Volevo portare la nostra esperienza sul grande schermo e dare coscienza al pubblico di quanto il Paese è coinvolto con quello che raccontiamo”. Parlata concitata ed energia incontenibile, D’Ambrosi è in cerca di un accordo di distribuzione per dedicare gli introiti alla ricerca scientifica nel campo del Neurofeedback, una nuova tecnologia che potrebbe rivoluzionare il modo di leggere i risultati della teatro-terapia, misurarne l’apporto positivo.
In Io sono un po’ matto e tu? hanno recitato “gli attori che da molti anni sono amici del Teatro patologico”, racconta D’Ambrosi, “con grande disponibilità, tanto da girare il film in sole 24 ore, spalmate su più giorni, e una disponibilità e attenzione uniche”. Così Claudia Gerini è una ludopatica, Marco Bocci è dipendente dal sesso, Vinicio Marchioni è balbuziente, Claudio Santamaria un malato immaginario che sostiene di non riuscire più a camminare, Edoardo Leo è claustrofobico, Riccardo Ballerini germofobico, Stefano Fresi è anoressico. Nel cast anche Raoul Bova e Stefania Rocca. A interpretare gli interlocutori delle star sono invece le persone della compagnia del Teatro patologico, alla loro prima esperienza cinematografica.
In Italia 17 milioni di persone hanno un disturbo psichico ma solo il 20% lo riconosce e ricorre alle cure, spiega il film nei primi minuti. “In questo momento in cui parliamo molto di patriarcato e rapporti tra sessi mi ha colpito che l’Italia è tra i primi paesi a consumare video porno online”, dice D’Ambrosi riferendosi all’episodio di Marco Bocci, “senza educazione, quel materiale ti ossessiona con la possessività”.
Il film Io sono un po’ matto e tu?
Il Teatro Patologico, nella zona nord di Roma, è stata la prima scuola di recitazione europea in cui le persone con disabilità non solo imparano a stare sul palco, ma progettano e realizzano scenografie e sceneggiature. In un magazzino riconvertitogli insegnanti istruiscono gli studenti, per lo più schizofrenici, catatonici, maniaco-depressivi, autistici e con sindrome di Down. Il metodo di teatro-terapia dal 1990, anno di fondazione, ha portato in scena più di 1700 persone con disabilità psichiche.
“Il progetto ha subito entusiasmato la compagnia teatrale, soprattutto l’intento di raccogliere fondi nella ricerca scientifica”, spiega D’Ambrosi. “Il prossimo 15 giugno al Palazzo delle Nazioni Unite vorremmo portare il film al Convegno Mondiale sulla Disabilità, dove verrà presentato il primo protocollo del Neurofeedback, per questo spero di trovare una distribuzione in Italia”.
L’ironia è stata al centro della resa. “Se avessi raccontato la storia di un ragazzo anoressico senza l’ironia sarebbe stato troppo diretto, invece l’idea che Stefano Fresi si senta anoressico diventa divertente, come Vinicio Marchioni che balbetta”, dice. “Era un modo di portare una sua difficoltà sullo schermo e raccontare quello che si vive”.
Dario D’Ambrosi: da New York, Romanzo Criminale e il Teatro
A scavare nel passato di D’Ambrosi, nato a Milano, si trovano anche degli scarpini da calcio: ha giocato per due anni nella squadra giovanile del Milan. Il calcio lo lascia per amore e quando ha 19 anni trascorre tre mesi in un istituto psichiatrico a Milano, il Paolo Pini. “Sono stato dentro per un’esperienza personale, non come un tirocinante o uno studioso”, racconta. “Negli anni 70, quando è entrata in vigore la Legge 180, non era come adesso che ci sono molti psicofarmaci, all’epoca ce n’erano pochi e le patologie innumerevoli, per questo le reazioni fisiche e mentali erano anche violente negli istituti”.
La Legge 180, o Legge Basaglia, è quella che in Italia impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio. Nel 1978, D’Ambrosi cominciò quindi a scrivere opere teatrali sulla salute mentale e sul disagio sociale in quel momento storico.
Dopo non essere riuscito a trovare nessun teatro disposto a mettere in scena le sue opere in Italia, D’Ambrosi si trasferì negli Stati Uniti nel 1980, dove incontrò Ellen Stewart, fondatrice del Cafè La MaMa di New York che iniziò a produrre le sue opere teatrali. Da quel momento è considerato uno dei maggiori artisti d’avanguardia italiani (è stato diretto da Sergio Castellitto, Alex Infascelli e Mel Gibson: nel 2004 interpretò il flagellatore ne La passione di Cristo).
“Il Teatro patologico è composto da due corsi, uno è quello della compagnia stabile, l’altro è il corso universitario fondato insieme all’università di Tor Vergata”, spiega D’Ambrosi. Ma i momenti più importanti sono le tournée. “Ho portato la compagnia a Tokyo, a Johannesburg, all’Onu, a recitare davanti ai 500 ambasciatori di tutto il mondo, a Londra, dove abbiamo vinto un premio per miglior spettacolo straniero con Medea, a Bruxelles davanti al Parlamento europeo insieme a David Sassoli, che era un amico del teatro patologico”.
Un lavoro che non si esaurisce sul palco ma che è un modo “per far uscire dall’isolamento le persone con disabilità psichica”, dice D’Ambrosi: “Possiamo davvero fare la rivoluzione”.
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