Denise Tantucci, da Hotspot a Wanted: “Sono una secchiona che sogna l’amore dei film e cerca l’enigma nel cinema”

L'attrice è protagonista dell'opera romantica di Giulio Manfredonia, presentata ad Alice nella città e in sala da febbraio, e del thriller oscuro di Fabrizio Ferraro, in anteprima nella sezione freestyle della Festa del Cinema di Roma 2023. L'intervista a THR Roma

Denise Tantucci aveva un sogno. E no, non era diventare un’attrice. Almeno non solo. Nata a Fano e compiuti ventisei anni a marzo, la giovane interprete di Tre piani (2021) di Nanni Moretti, che dal 2012 si muove tra film, tv e cortometraggi, è alla Festa del Cinema di Roma 2023 in ben due titoli: Hotspot – Amore senza rete di Giulio Manfredonia (nella sezione parallela di Alice nella città) e Wanted di Fabrizio Ferraro. Pellicole agli antipodi, come quei mestieri – l’attrice e la ricercatrice – che Tantucci ha sperato di conciliare, e che non esclude di farlo nel futuro.

Nel frattempo si diverte nella storia d’amore di Manfredonia con co-protagonista Francesco Arca, l’incontro di un uomo e una ragazza in aeroporto grazie alla tecnologia. E cercando di venire a capo di numerose sparizioni per Ferraro, mentre la sua strada nel thriller/noir si incrocia con quella di altre due donne.

È alla Festa del Cinema di Roma con la rom-com Hotspot e il thriller Wanted. Le piace spostarsi in generi così definiti?

Sì, mi piacciono le cose nette, perché è proprio lì che posso trovare le sfumature in cui muovermi. Wanted ha un’impronta ben radicata, oscura, che è andata a nozze con la mia mente arzigogolata, piena di pensieri. Mi piace scavare nell’enigma di un film, soprattutto quando le intenzioni dei personaggi non sono ben chiare dall’inizio. Con la commedia, invece, il lavoro che si fa è più esterno, vengono fuori la voce e il fisico. Lì sento lo sforzo. Tutto è portato verso il far ridere e non mi sento affatto una persona capace di saperlo fare. Se ci sono riuscita con Hotspot è stato merito del regista e della sceneggiatura.

Ed essere romantica?

Mi è venuto facile, ma solamente perché la storia di Hotspot è una di quelle che vorrei vivere io. Quante volte ho pensato: adesso andrò all’aeroporto e incontrerò la persona della mia vita. Poi non è successo. Diciamo che posso ritenermi soddisfatta di averla interpretata.

Con i misteri come se la cava?

La lavorazione di Wanted è stata un mistero in sé. Ho girato il film senza sapere cosa stesse avvenendo. Il regista Fabrizio Ferraro mi aveva dato soltanto le mie scene, così che si stabilisse un senso di spaesamento autentico. Anche il dualismo tra vittima e colpevole per me è rimasto totalmente aperto durante il periodo delle riprese e lo è anche dopo aver visto il film. È un’opera che abbiamo girato quasi fosse uno spettacolo teatrale e che ha avuto il potere di sconcertarmi.

Quale lettura ha dato della relazione che si genera in Wanted tra donne e potere?

Wanted è un film apolitico. È distaccato da certi temi che vengono considerati speciali. È vero però che, visto il clima politico che si è creato attorno a noi, anche la pellicola ha assunto connotati sociali impossibili da ignorare. Voler capire le dinamiche delle donne al potere è diventato quindi un valore aggiunto dell’opera, ma non è mai stata la colonna portante.

In Hotspot la protagonista ha un’audizione che potrebbe cambiarle la vita. Come affronta il momento dei provini?

Non ne ho mai avuti di traumatici. Anche per Hotspot con il regista Giulio Manfredonia ci siamo subito trovati. Prima ero più ansiosa, si vede che con la vecchiaia sono cambiata.

Vecchiaia a ventisei anni?

Ho iniziato a leggere Democrito a dodici. Quindi adesso è come se ne avessi più o meno quaranta o cinquanta.

Perché una bambina, a dodici anni, dovrebbe leggere Democrito?

Sono sempre stata appassionata di fisica. Ovviamente a quell’età non capivo cosa stavo leggendo, ma vedendo il linguaggio matematico e scoprendo la teorizzazione della materia attraverso gli atomi ho capito che volevo imparare quella simbologia. È lì che è nato in me il mito dell’università. Sembra una cosa sciocca, ma da piccola era il mio sogno: andare all’università. Un luogo che sembrava così lontano e inaccessibile.

Era il piano B in caso la carriera d’attrice non fosse andata?

In verità era il piano A. È sempre stato il piano A. Avevo due piani A, insomma. Credevo sarei riuscita a fare entrambe le cose. Mi sono laureata in fisica. Sul set, ogni volta che avevo un minuto libero mi mettevo a studiare. Credevo sarei riuscita a fare sia la ricercatrice che l’attrice. Ma ho capito a malincuore che, almeno in Italia, è impossibile. Però mi tengo aggiornata, leggo tutte le nuove pubblicazioni, studio i manuali che escono ogni anno e i miei amici sono ancora gli stessi dell’università. Purtroppo però non scoprirò mai una nuova particella, ahimè.

Potrebbe unire le sue due passioni o sono troppo distanti? Magari interpretando il ruolo di una fisica.

Mi piacerebbe impersonarne una. Alla fine, cinema e fisica, hanno dei punti di contatto. Potrei creare un format: “La fisica spiegata bene”.

Il teatro da molto giovane, lo studio della fisica, la carriera d’attrice. Non ha mai la paura di trascurare le sua vita personale?

L’ho fatto in passato. Ci sono stati momenti in cui non ho saputo dedicare il tempo giusto alla famiglia o agli amici. Agli amori sì, quelli ci sono sempre stati. Ma mi rendo conto di essermi persa delle cose avendo cominciato presto. Ora ho imparato a guardarmi intorno e a dare il giusto valore al tempo. Uso la scrittura come escamotage per ritagliarmi dello spazio per me. E non sento più ansia se tutto non arriva subito.

Nelle storie di oggi la tecnologia viene sempre un po’ demonizzata. Al contrario in Hotspot è fondamentale per l’incontro dei protagonisti. Anche la tecnologia, a volte, fa la cosa giusta?

Non credo che il film sia legato alla tecnologia. Ma è vero, bisognerebbe che venisse riabilitata, così come i social. Il telefono è diventata la nostra succursale, sarebbe davvero vecchio stampo demonizzarlo tanto facilmente.

Grazie all’hotspot del telefono ha incontrato Francesco Arca. Almeno nel film.

Sì e ci siamo divertiti moltissimo. Ed è stato ironico, perché è come se ci fossimo invertiti i ruoli. Io sono la seriosa del duo, non sono esuberante come la protagonista di Hotspot. Mentre Francesco non è per nulla rigido come nel film, è il tipo di persona che sa sempre farti ridere.

Hotspot romantico. Wanted thriller. Ci ha spiegato com’è la Denise attrice, com’è quella cinefila?

Si è formata col lavoro. Andavo con la mia famiglia al cinema, ma non c’è mai stata una tradizione cinematografica a casa. Cerco di recuperare il più possibile. Ho grande stima verso il cinema contemporaneo e provo a vedere tutto ciò che è attuale. Ad esempio, ora che finisce questa intervista, andrò al cinema a vedere The Palace di Roman Polański.

L’intervista a Denise Tantucci, Francesco Arca e al regista Giulio Manfredonia per Hotspot – Amore senza rete: