Sopravvissuti. Fortunatissimi e disgraziati. Eroici e mostruosi. Cannibali. Tocca alla storia del disastro aereo delle Ande, e dei suoi celebri passeggeri, mettere la parola fine – con una certa perentorietà – all’ottantesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Film di chiusura proiettato fuori concorso, La società della neve dello spagnolo Juan Antonio Bayona (Jurassic World – Il regno distrutto) torna sui tragici eventi del 13 ottobre 1972, quando il volo 571 della Fuerza Aérea Uruguaya, con il suo carico di 45 passeggeri, si schiantò a causa del maltempo nel cuore delle Ande, a più di 3500 metri di altezza.
Nell’immediato morirono 12 persone, altre 17 persero la vita durante i 72 giorni in cui i sopravvissuti, componenti della squadra di rugby Old Christians Club, attesero (invano) i soccorsi. In 16 riuscirono a salvarsi, valicando – dopo una scalata durata dieci giorni – una montagna. E praticando l’atto più respingente, inumano, innaturale possibile: il cannibalismo.
“Prima di girare il film sono stato nelle Ande, là dove è caduto l’aereo, e ho passato alcuni giorni in tenda per avere un’idea di quanto fosse inospitale quell’ambiente – ha detto Bayona – Ho girato le scene in ordine cronologico, dall’inizio alla fine, in Spagna, in una stazione sciistica. Ho costretto gli attori a una dieta rigida, ho lasciato che crescessero barba e capelli. Molti di loro erano al primo film”.
Non è la prima volta che la storia dei sopravvissuti del volo 571 arriva al cinema, portata sullo schermo altre due volte: nel 1976 con I sopravvissuti delle Ande del messicano René Cardona e nel 1993, in versione hollywoodiana, con Alive – Sopravvissuti di Frank Marshall.
Stavolta, però, a produrre la storia è Netflix (il film arriverà sulla piattaforma dopo un passaggio in sala), e a scriverla è un testimone diretto dei fatti: lo scrittore italo argentino Pablo Vierci, compagno di classe di due dei sopravvissuti – Nando Parrado e Roberto Canessa, stasera sul red carpet della Mostra – e autore del libro La società della neve, da cui Bayona ha tratto il film. “È stato Nando a chiedermi di scrivere per mettere a tacere, una volta per tutte, le bugie raccontate su questa storia. La stampa ha scritto che la valanga (una slavina che travolge i sopravvissuti causando la morte di cinque di loro, ndr) non era mai esistita. Eppure l’hanno vista in 16. E il cannibalismo non è mai stato raccontato per quel che era davvero: i fatti sono stati stravolti”.
Cambiando il punto di vista sulla storia – la voce narrante è quella di Numa Turcatti, 24 anni, morto per denutrizione – il film cambia il punto di vista anche sull’atto estremo che permise ai 16 di sopravvivere.
“Il punto di vista non è quello di chi mangia il corpo dei compagni, ma di chi dona il corpo ai compagni perché sopravvivano. In questo gesto ci sono grandi implicazioni morali e filosofiche – racconta Bayona – Abbiamo cercato di offrire una lettura umana e simbolica al nutrirsi del corpo di un amico. Numa era una persona molto religiosa, era quello che più di tutti aveva problemi a mangiare. Fu uno dei quattro che partirono per la spedizione che salvò i superstiti. Il suo sacrificio, e la capacita di perdonare gli altri per ciò che stavano facendo, hanno fatto di lui un eroe. Numa è un personaggio leggendario”.
Lungo quasi tre ore ed estremamente dettagliato (più di una sequenza confina con l’horror), La società della neve arriva al pubblico, secondo Vierci, nel momento giusto: “Il tema della sopravvivenza è stato ripotenziato dalla pandemia, che ci ha fatto sentire tutti vulnerabili, vittime di una sofferenza collettiva, non individuale. Come i sopravvissuti delle Ande, nelle nostre case siamo rimasti in attesa della luce in fondo al tunnel, consapevoli che la salvezza sarebbe stata possibile solo se collettiva. La società della neve non è una storia di cannibalismo. Ma di compassione e solidarietà”.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma