Il pubblico italiano l’ha conosciuto nel 2021, con Freaks Out di Gabriele Mainetti (era il nazista Franz) e l’ha ritrovato in sala lo scorso 17 agosto, con Passages del newyorkese Ira Sachs, nel ruolo di un regista narcisista ed egoista impegnato in un bollente triangolo amoroso. Tra qualche giorno il tedesco Franz Rogowski, 37 anni, sarà di nuovo in una produzione italiana – la terza volta: a febbraio era alla Berlinale con Disco Boy di Giacomo Abbruzzese – come protagonista di Lubo, il film di Giorgio Diritti atteso in concorso a Venezia il 7 settembre.
“Quando ho letto la sceneggiatura (di Diritti, ndr) ho pensato che la storia di Lubo era così grandiosa e violenta, e aveva così tante sfumature diverse, che ho pensato che sarebbe stato incredibile se fossi riuscito a realizzarla – ha raccontato l’attore a The Hollywood Reporter – È una storia terribile e quasi dimenticata, perlomeno dalla coscienza collettiva. Il governo separò il popolo yenish. Le donne furono mandate in ospedale per essere sterilizzate a forza e i bambini furono portati in istituti per l’infanzia e lasciati lì o venduti a famiglie di contadini o a coppie senza figli, per essere cresciuti al di fuori della loro tradizione. Credo che la Svizzera tenda a considerarsi molto corretta, una delle nazioni ‘buone’, e per molti versi lo è. Ma la Svizzera ha anche i suoi capitoli oscuri”.
Per il ruolo, quello di Lubo Moser, un artista di strada nomade, Rogowski racconta di aver dovuto imparare tre lingue: lo svizzero tedesco, l’italiano e lo yenish, una lingua quasi estinta parlata da poche decine di migliaia di persone, la maggior parte delle quali vive sulle Alpi svizzere. Nel film, ambientato nel 1939, Lubo viene chiamato a prestare servizio nell’esercito svizzero per proteggere il confine, ignaro del fatto che la polizia ha approfittato della sua assenza per prelevare i suoi figli e “rieducarli”, nell’ambito di un programma nazionale di eugenetica per “ripulire” il paese dalla cultura yenish. Una storia che Rogowski, nato a Friburgo, non conosceva, pur avendo vissuto per un anno nella Svizzera italiana dove ha frequentato una scuola per clown: “Ricordavo ancora un po’ di italiano e di svizzero tedesco, mentre lo yenish ho dovuto impararlo foneticamente, come una musica astratta. Ma abbiamo girato il film nella zona dove frequentavo il corso”.
Star europea molto amata dagli autori – ricorrente nei film del tedesco Christian Petzold, ha recitato anche ne La vita nascosta di Terrence Malick e in Happy End di Michael Haneke – Rogowski ha ammesso di sentirsi in difficoltà nel promuovere il film al festival mentre i colleghi americani sono in sciopero: “È una situazione strana, perché lo sciopero è molto importante: questa situazione, in cui le grandi piattaforme streaming hanno imposto contratti aggressivi, si sta verificando non solo in America, ma anche in Europa, dove le persone si ritrovano a lavorare per anni con basse retribuzioni”, afferma. “Quindi lo sciopero è fondamentale, ma non bisogna dimenticare che esiste anche un mercato europeo che esiste indipendentemente da tutto questo. E chiedere ai registi europei che non fanno parte degli streamer, degli studios o del sindacato di non sostenere i propri film non sarebbe nell’interesse di nessuno”.
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