Ci vuole coraggio ad esordire alla regia a 55 anni. Ce ne vuole un po’ di più a farlo con Gonzo Girl. E infine è al limite dell’incoscienza esporsi come attrice interpretando il personaggio più scomodo, una comprimaria da Oscar appesantita nel fisico e dalla vita. Patricia Arquette fa queste tre cose e incidentalmente ci racconta una storia bella, sexy, capricciosa e sopra le righe con il passo dell’autrice consumata e con il divertimento del neofita.
Sia chiaro, non è la prima volta che troviamo in un film un pigmalione affascinante e totalmente fuori fase e un’assistente innamorata e persa nel di lui mondo e la cineasta, qui, peraltro ha un immaginario infinito da cui pescare, dal gonzo journalism, che ha lasciato dietro di se articoli, libri, fotografie, quadri e altre opere dell’ingegno, fino a Terry Gilliam che, con Paura e Delirio a Las Vegas, ne ha riscritto la grammatica, narrativa e cinematografica.
Gonzo Girl, la trama
Alley Russo è una giovane e bellissima ragazza, ha talento nella scrittura ma finora non ha avuto molta fortuna. Trova il modo di diventare l’assistente del re del giornalismo gonzo (quel modo di scrivere e raccontare che mette insieme notizie, inchieste, artifici narrativi, stile romanzesco, impressioni personali ed eccessi di vita e di penna) e ne è felice: vuole imparare, capire se il sogno di un libro è possibile o rimanere una barista. In più ha bisogno di soldi.
Finisce nel ranch di Walker Reade. La storia è risaputa, perché Cheryl Della Pietra, a cui Alley è ispirata, ha raccontato la sua esperienza da assistente nel romanzo omonimo e lo scrittore era Hunter S. Thompson. La storia si dipana in poche settimane in cui Alley entra nell’universo Reade fatto di droghe, sensualità (sesso poco e insoddisfacente), un gineceo allo stesso tempo solidale in alcuni momenti di sorellanza e feroce quando diventa un harem al servizio del dispettoso e depresso sultano
Gonzo Girl
Cast: Willem Dafoe, Camila Rebecca Morrone, Patricia Arquette, Elizabeth Lail, Ray Nicholson, Sean Penn, Rick Springfield, James Urbaniak, Zoe Sideł, Leila George D'Onofrio
Regista: Patricia Arquette
Sceneggiatori: Jessica Caldwell, Rebecca Thomas, Cheryl Della Pietra
Durata: 107 minuti
E ancora feste, culto della personalità, parole. Immaginate, insomma, I demoni di San Pietroburgo, ma sotto acido.
La recensione del film di Patricia Arquette
Non si inventa nulla, Patricia Arquette, che non sia già nelle parole di Hunter S. Thompson e nelle immagini di Terry Gilliam. Questo, per onestà intellettuale ed estetica, va detto. Ma è un atto di umiltà creativa, suo e delle sceneggiatrici – grande intuizione far riscrivere il mito di un talento così fulgido ma anche machista da tre donne -, quello di non cimentarsi e confrontarsi con quelle invenzioni iconiche, ma usarle per dar forza al proprio racconto.
Ecco, allora, che al di là delle animazioni quasi beatlesiane, alla Yellow Submarine e I am the Walrus, della prima esperienza “acida” di Alley, il look di Walker – a Dafoe quegli occhiali, accessorio ormai impossibile da separare dall’estetica gonzo, stanno benissimo -, i party, le dinamiche relazionali pescano in quel lago fatto di coca, psichedelia, ottima musica, frasi fatte che Thompson ha raccontato in 14 libri, vari articoli e interviste.
Ovvio che il lato buddy un po’ si perde – ma non del tutto, grazie al “divo” Ray Nicholson – e che il fronte disperato e decadente è decisamente più soft della follia selvaggia dell’ex Monty Python. In fondo qui si rimane in una grande casa, si esce al massimo a fare la spesa, di ogni tipo, e l’unico fattore di vera tensione non erotica è la scadenza di un libro da consegnare che, se saltata, porterà alla restituzione di un anticipo monstre. Tutto già visto, ma Patricia Arquette restituisce con delicatezza un universo ruvido, scorretto e sessista, senza mai scadere nella caricatura.
“Non mi interessava un resoconto di Hunter S. Thompson ma più lo sguardo su un’epoca, gli anni ’90, che sono un momento di passaggio, dove ci sono ancora scrittori come lui, assistenti e la possibilità di crescere insieme. Ecco, la crescita è un tema che mi affascina e che ho sentito profondamente affrontando la mia prima regia”. Si sente, nella cineasta, la curiosità, la sensibilità di entrare nei personaggi disegnandoli, ritraendoli anche con tratti “spessi”, ma allo stesso tempo fermandosi un attimo prima della stilizzazione, dello stereotipo, scartando e guardandoli più a fondo.
Nei comprimari, lei compresa, questo si vede persino di più (l’amico star di Hollywood, che altri non è nella realtà che Johnny Depp, l’ape regina delle assistenti interpretata dalla regista stessa, la fidanzata di Walker), la caricatura rimane per i personaggi sullo sfondo, come lo spacciatore, irresistibile e silenzioso cameo di Sean Penn.
Il cast di Gonzo Girl
La forza di Gonzo Girl, va detto con chiarezza, è il cast. Patricia Arquette, attrice d’esperienza oltre che di talento, ha saputo costruirlo con intelligenza, assegnando il ruolo del protagonista a uno dei pochi capaci di tenerlo su tonalità rutilanti senza mai renderle grottesche. Willem Dafoe riesce a essere armonioso dove altri stonerebbero, a reggere acuti che ad altri spezzerebbero la voce. In alcuni momenti la sua performance è una vera e propria lezione di recitazione.
In un uomo che vive di eccessi, descritto in una fase di declino della propria arte, mascolinità e carisma, come sempre colora il suo personaggio di mille sfumature, laddove altri sceglierebbero una tinta unica e barocca. Il suo Walker trasuda ironia e malinconica disperazione (ricordiamo che Thompson si suicidò nel 2005, 13 anni dopo gli eventi raccontati), l’attore statunitense che ora abita a Roma sa misurarle all’interno di un istrionismo costante così che in filigrana si sentano e si vedano nitidamente, che ti arrivino addosso dopo lo stupore che provoca la brillantezza di una battuta o di un ritmo rispettato al millesimo di secondo.
Il fascino di Walker Reade, che lo differenzia da tanti altri personaggi simili già visti al cinema (e non solo), sta nella consapevolezza del suo mito, di essere un’icona, nel modo in cui ne approfitta ma anche di come generosamente ne faccia condivisione, a modo suo. E condivide, appunto, la scena probabilmente più bella proprio con Patricia Arquette: a letto, abbracciati, cantano Angie dei Rolling Stones. E noi con loro.
Camila Rebecca Morrone, la consacrazione
Ma la sorpresa vera, a cui siamo pronti a scommettere abbia giovato la guida della stessa Patricia Arquette – abbiamo amato nei ruoli più difficili o estremi o trasgressivi – è Camila Morrone, bellezza che toglie il fiato. E proprio questo la rendeva vulnerabilissima in un cast così pieno di fascino, bravura, esperienza. In più a lei toccano i look più parossistici, la sua bravura con le parole e la sua abnegazione d’assistente si uniscono a una devozione emotiva, intellettuale ed erotica sublimata in mise sexy ben oltre la caricatura (la troviamo vestita da Cow Girl con minigonna e top che sembrano ricavate dalla tovaglia di una trattoria, poi con rosa e sottoveste alla Brooke Shields e modello Pretty Woman nello shopping del primo giorno).
Riesce invece a tener testa a un maestro come Dafoe, così come a Patricia Arquette, mettendosi il film sulle spalle, perché se lui è il sole attorno a cui tutti girano, è la sua storia, quella di Alley, che fa da Caronte in questo inferno colorato, è il suo candore malizioso e incosciente su cui si poggia il nostro coinvolgimento. Sul set da quando ha 18 anni (ora ne ha 26), passata già per un racconto a suo modo simile come Bukowski, l’attrice argentina – che qui fa un’italo americana – non sbaglia nulla e l’agile sceneggiatura fa il resto, con dialoghi che a volte sono volutamente enfatici e scene cruciali che non scadono nel didascalico ma invece se ne servono.
Gonzo Girl è un film cool, di quelli di cui puoi essere orgoglioso. Un’opera prima di cui ricorderemo diverse scene e che nella memoria collettiva, con un po’ di fortuna, lascerà almeno un paio di battute notevoli.
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